Il prossimo autunno uscirà un nuovo volume della saga a fumetti di Asterix e Obelix, per festeggiare i sessant’anni dal debutto dell’opera dello sceneggiatore René Goscinny e del disegnatore Albert Uderzo. Non sappiamo se i galli saranno più clementi con gli invasori romani, se ridurranno le dosi di pozione magica per fare a pezzi le testuggini dei legionari o se rinunceranno a qualche incursione negli accampamenti di Cesare. C’è da scommettere che saranno battaglieri come sempre. D’altronde non c’è motivo per cambiare l’atteggiamento degli antenati dei francesi e adattarlo allo spirito del tempo della Francia di oggi. Nei rapporti, sempre turbolenti tra Italia e Francia, si comincia infatti a notare un cambiamento di prospettiva: i commentatori dei principali quotidiani d’oltralpe iniziano a domandarsi se l’Eliseo non sia andato troppo oltre nel dare lezioni a Roma negli ultimi anni sia in politica estera sia in politica economica.  

Les Echoes, quotidiano politico economico finanziario con una visione mondiale, constatava a che «l’Italia, questo paese e questo popolo che ci assomigliano più di ogni altro al mondo e con il quale noi francesi abbiamo una storia comune di duemila anni, è stata anche la sola a far fronte senza aiuti ai flagelli che le ha inflitto la storia recente e la sua geografia, cioè i terremoti (700 morti dal 2000), la lebbra della mafia e, in un altro registro, i 750 mila migranti che si sono arenati sulle sue coste dal 2011»

e quindi si chiedeva se non fosse eccessivo il contrasto europeo verso il governo Lega-Movimento 5 stelle che «è stato legittimamente eletto con voto democratico» ma è avversario diretto del presidente della Repubblica Emmanuel Macron perché epifenomeno del neopopulismo europeo.  

I contrasti sono sempre stati palesi in particolare in politica estera. Ha suscitato a lungo il risentimento tra politici e funzionari italiani l’ingerenza della Francia in Libia, una sfera di influenza tradizionalmente italiana, ormai perduta, fin dalla uccisione di Muhammar Gheddafi nel 2011, quando Roma si trovò di fronte al fatto compiuto. Con il governo populista le scintille sono aumentate e la retorica è diventata quasi triviale. Dalla Francia ministri e portavoce dicevano che l’atteggiamento italiano di chiusura verso i migranti africani faceva "vomitare" e Matteo Salvini veniva chiamato il "piccolo Mussolini" dopo avere accusato la Francia di “doppio standard” nella politica migratoria. La fase delle "parole mal riposte sembra essere superata", come ammette il quotidiano Figaro, “la Francia, che lo scorso autunno ha moltiplicato gli errori, ha cambiato atteggiamento”. E i toni caustici da parte francese sono scomparsi dopo che la legge di Bilancio italiana per il 2019 è stata piegata dalle “letterine” - così le chiamava Salvini in modo sprezzante - del commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, un politico socialista già direttore della campagna elettorale di Francoise Hollande. Da parte italiana certe accortezze non sembrano attecchire. Il vicepremier Luigi Di Maio ha apertamente appoggiato i “gilet gialli”, che stanno dando il tormento a Macron con violenti moti di piazza in corso da dicembre, dietro l’esplicita richiesta di dimissioni del presidente della Repubblica. Per non parlare di accuse di neocolonialismo in France Afrique da parte di Salvini e Di Maio che hanno motivato la convocazione dell’ambasciatrice italiana a Parigi all’Eliseo per chiarimenti. Se da parte francese, insomma, c’è una moderazione nei toni, da parte italiana proseguono le testate à la Zidane.

 

Ora è la diffidenza reciproca la cifra delle relazioni franco-italiane tra speculari complessi di superiorità e inferiorità. Un altro problema ricorrente è stata la proposta di acquisizione da parte del costruttore navale italiano controllato dallo stato, la Fincantieri, della società francese Chantiers de l’Atlantique, ex STX. Macron aveva inizialmente cancellato l'accordo con una nazionalizzazione presumibilmente temporanea. L’8 gennaio scorso la Commissione europea ha annunciato di avere accettato una richiesta della Francia (e della Germania) di verificare se l'accordo inibirebbe la concorrenza. Le partite incrociate sono tantissime e toccano tutti i settori: lusso, agroalimentare, industria, telecomunicazioni. In Italia vengono solitamente registrate dalla stampa come un attacco, e definite “svendite”, con la costante lamentela per la mancanza di reciprocità degli investimenti. In effetti non è proprio così. Sul campo finanziario, il gioco dei transalpini è chiaramente molto più offensivo, per non dire aggressivo, dei cugini italiani. Secondo uno studio di KPMG, fra il 2000 e il 2018 tra Francia e Italia si sono realizzate operazioni per oltre 112 miliardi di euro, per due terzi del totale del controvalore si tratta di gruppi francesi che hanno fatto acquisti in Italia. Il 2017 è stato un nuovo anno record sia in termini di volumi con 44 transazioni, sia in termini di controvalore, 4,8 miliardi di euro, per le operazioni francesi in Italia. Nel 2016 erano state 34 operazioni, contro 21 italiane nell'esagono. 

Da Bulgari a Parmalat, passando per Bnl, per uno spettatore poco attento può sembrare che la squadra francese la faccia da padrone sia per possesso palla che per occupazione del campo avversario. Ma a ben guardare, anche gli italiani hanno segnato dei bellisimi gol. Campari ha comprato per 684 milioni di euro Grand Marnier, famoso marchio di liquore. Carte Noire, leader in Francia nel mercato del caffè, è stata acquisita da Lavazza per 700 milioni di euro. Canson, azienda fondata nel 1577 che produce e distribuisce carte ad alto valore aggiunto, è stata rilevata da FILA per 85 milioni di euro. Un’operazione modesta dal punto di vista economico ma importante dal punto di vista sentimentale per generazioni e generazioni di studenti francesi che hanno disegnato su fogli di “papier Canson”. Le tattiche sono diverse da un lato e l’altro del centrocampo. I francesi puntano sui settori strategici come il lusso, nella scia di LVMH, le telecomunicazioni con la scalata di Mediaset e Telecom Italia da parte di Vivendi, o la finanza con la recente cessione del gestore Pioneer, carico di titoli di stato, ad Amundi da parte di Unicredit.

 

I gruppi italiani fanno campagna acquisti dall’altra parte delle Alpi in una logica di sinergie (Lavazza/Carte Noire oppure la fusione Luxottica/Essilor per fare nascere un colosso degli occhiali da 50 miliardi di euro) o per permettere alle Pmi di superare il primo traguardo verso la loro internazionalizzazione soprattutto con acquisizioni nella meccanica (non troppo pubblicizzate dai media). La difesa italiana si rivela più permeabile, con un’economia più debole dopo la crisi in cui i grandi gruppi sono meno diffusi, la trasmissione generazionale nelle imprese è trascurata e lo stato, pur onnipresente, è meno forte. Colpa della debolezza delle istuzioni meno capaci e disposte a sostenere gli attori economici ma colpa anche del capitalismo italiano senza capitali. Il sistema Italia ha sempre fatto perno sul sistema bancario che si è rivelato troppo vulnerabile con la crisi di questi ultimi anni. L’Italia ha dovuto lasciare da parte operazioni di sistema per rassegnarsi a operazioni mirate ed in settori meno strategici per lo stato francese che conosce perfettamente l’arte della difesa a catenaccio quando i suoi interessi sono minacciati. Ma sembra che le cose stiano cambiando. La famiglia Berlusconi, sostenuto dal governo Gentiloni, si è difesa ad oltranza contro il blitz di Vivendi sul cuore del suo impero, Mediaset. Uno dei principali scopi di Vincent Bolloré di salire nel capitale di Telecom Italia era, secondo uno dei suoi più stretto tenente Arnaud de Puyfontaine, di creare una sorta di Netflix europeo, in grado di competere su scala globale. Mettere insieme le due principali potenze culturali europee per sfidare la superpotenza americana.

I ricordi delle «campagnes d’Italie » fatte da un corsaro bretone non hanno mai lasciato un buon ricordo agli italiani. Carlo Calenda, ex ministro dello sviluppo economico, ricordava che «l’Italia non è un paese per scorrerie», invocando «meccanismi di messa in sicurezza per i settori strategici del paese » e proponendo una « norma francese » o «norma anti-scorrerie». Una difesa che non è servita a molto: Vivendi può ribaltare di nuovo gli equilibri in Tim dopo che lo stato con Cdp si è accodato al fondo speculativo americano Elliott.

E comunque per pararsi dai francesi, l’Italia ha lasciato un varco per i cinesi. La discrezionalità sugli investimenti esteri, in particolare extracomunitari, da parte del governo è monca: non è stato aggiunto estesa ai comparti ad alto contenuto tecnologico cui la Cina è particolarmente interessata.  La debolezza arrivata all’unisono dei costruttori edili italiani, da Astaldi a Condotte passando per Trevi, sarà probabilmente oggetto di apprensione ulteriore. Sta infatti motivando nell’establishment preoccupazione per potenziali mire di colossi francesi, come Vinci, e a proposito s’avanza l’idea di fare intervenire Cassa depositi e prestiti per creare un maxi-polo delle costruzioni tricolore con l’ingresso nel capitale di Salini-Impregilo che è in salute. Ma aldilà dei cori da stadio, la Francia e l’Italia devono capire che giocano nella stessa squadra: l’Europa. E questa è una consapevolezza che però pare ancora lontana. Lo si vede dalle convocazioni nei circoli importanti. Il vertice annuale tra Italia e Francia, previsto per il 2018 a Roma, è stato dimenticato. Il Trattato del Quirinale, firmato da Macron e Gentiloni nel 2017, avrebbe dovuto stabilire una relazione speciale tra Italia e Francia come quella tra Francia e Germania. E invece la Francia approfondirà i suoi rapporti con la Germania durante il Trattato di Aix-la-Chapelle, firmato il 22 gennaio. L’Italia sarà spettatrice.

E se c'è una ripicca possibile per l'Italia è quella di non fare vedere ai francesi i capolavori made in Italy. Parigi aveva pensato di organizzare quest’autunno una gigantesca mostra al Louvre per onorare la memoria di Leonardo. Il governo italiano, infatti, ha deciso di non rispettare gli accordi presi dal precedente esecutivo fermando il maxi prestito di opere del maestro. «Leonardo è italiano e in Francia ci è solo morto. Lui non è Leonardò ma Leonardo e dare al Louvre tutti quei quadri significa mettere l'Italia ai margini di un grande evento culturale, anche perché pure i Lincei stanno preparando una loro mostra per agosto”, ha spiegato la sottosegretaria al ministero per i Beni e le attività culturali. Se la cultura non ha frontiere o nazionalità, i suoi rappresentanti hanno un passaporto per l’esecutivo di  Conte. Il direttore degli Uffizi, il tedesco Eike Schmidt condivide questa linea.

«Il Louvre ci ha richiesto sia dipinti sia disegni – ha dichiarato – Noi non daremo nessun quadro, ma siamo assolutamente aperti al prestito di disegni di Leonardo da Vinci. Stessa regola dei francesi. Il Louvre giustamente non fa viaggiare la Gioconda».

La Francia fu l’ultima casa di Leonardo da Vinci morto vicino ad Amboise 500 anni fa il prossimo 2 maggio. Fu l’amico di Francesco I, sovrano colto e raffinato, amante dell'arte soprattutto italiana che lo fece venire nel regno con il titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi ed una pensione di 5.000 scudi. Al di là delle ripicche ci sono tentativi di avvicinamento. Per trovare un momento di distensione in questa fredda culturale bisogna cercarlo non nelle grandi sale dei musei ma sui piccoli schermi delle Tv. Dopo il francese, tedesco, inglese, spagnolo e polacco, Arte, il canale culturale europeo, ha debuttato anche in italiano. Da ottobre, è disponibile nella lingua di Dante la versione sottotitolata dell'offerta gratuita in streaming video di oltre 400 ore di programmi, 300 di concerti e spettacoli, oltre a cinema, documentari, mostre, storia, scienze, inchieste e magazine. I capolavori portati via dai soldati di Napoleone per riempire il Louvre saranno comunque facile oggetto di propaganda. Una propaganda che dimentica come le legioni romane facevano la stessa cosa nell’impero dei Cesari. Forse saranno le prossime avventure di Asterix a ricordare che la reciprocità è sempre esistita, nel bene e nel male, e che Francia e Italia hanno più cose da condividere che questioni su cui combattere.