Vorrei parlarvi di futuro. in particolare, dopo questo 2020 micidiale. Ne usciremo diversi? Non me la sento di rispondere con sicurezza a questa domanda. Tuttavia, un’idea ce l’ho: penso che i migliori ne usciranno ulteriormente migliorati mentre i peggiori riusciranno a dimostrare che non c’è limite al peggio. Ciascuno di noi avrà trovato il modo di amplificare il proprio modo di rapportarsi con il mondo, nel bene e nel male. Volete conoscere la mia personale definizione di migliori? Coloro che di fronte ad un problema si domandano come possono impegnarsi per risolverlo, nel quadro del bene comune. Coloro che sono disposti a cambiare idea, che preferiscono i dubbi alle certezze, che si esprimono con un linguaggio moderato, che non danno giudizi se non conoscono a fondo il tema. Coloro che provano senso del rispetto per la natura, che sanno chiedersi continuamente “dove sbaglio?”.

In poche parole, coloro che preferiscono aiutare piuttosto che giudicare. I peggiori? Semplice: il loro contrario.  I migliori non sono così pochi, penso che siano almeno la metà. Il fatto è che appaiono una minoranza perché la gente per bene non fa rumore, specie in un mondo dove i nuovi mezzi di comunicazione digitale amplificano i fragori e sono molto frequentati dai peggiori. Ora il fatto che i migliori ne escano ulteriormente migliorati costituisce un risultato molto positivo. I migliori sono un pubblico importante, potremmo definirlo un grande mercato. Ed è da loro che dobbiamo ripartire per fondare un Paese nuovo, dove vivano nuovi e migliori sentimenti. Perché siamo arrivati al punto che non servono nuove regole, di quelle ne abbiamo già tante, forse fin troppe. Ciò che occorre sono nuovi sentimenti: passare dalla sfiducia alla fiducia, dalla codardia al coraggio, dalla paura alla responsabilità, dal pessimismo all’ottimismo, dall’essere meschini al pensare in grande.

I migliori, per essere veramente migliori, devono sentirsi in grado di contagiare il resto del popolo verso questi nuovi sentimenti. Servono gesti nuovi, accompagnati da parole nuove. Proviamo a dividere in cinque parti ben definite le attività umane. Mangiare, amare, studiare, lavorare e sognare.

Se riflettiamo un attimo, sono queste le cinque cose basilari che facciamo nella vita. Ora proviamo a mettere una parola nuova vicino ad ognuna di queste attività. È chiaro che queste parole devono scaturire da nuovi sentimenti, migliori. Naturalmente le prime due attività umane, mangiare e amare, sono quelle fondamentali per assicurare la prosecuzione della specie. Infatti, la natura (prendetela nel senso di Dio o di selezione naturale a seconda di come la pensiate) ci ha messo sopra due orgasmi. Godiamo quando mangiamo e quando facciamo l’amore. Ma, se vogliamo distinguerci dagli animali, dovremmo imparare a meritarceli questi orgasmi. Dunque, vicino al gesto del mangiare mettiamoci la parola “terra”. Occorre rendersi conto che il cibo nasce dalla terra e che questa va rispettata se vogliamo nutrirci in modo sano e in armonia con l’habitat. Accanto all’attività di amare vorrei collocare la parola “riparare”. Si tende a non riparare più nulla, si cambia. E non mi riferisco solo a ferri da stiro o cellulari; non si riparano i matrimoni, le amicizie, diciamo le relazioni umane in generale. Occorre ricominciare ad essere capaci di riparare se si vuole, sul serio, amare. La terza attività umana si regge di fatto su di un terzo orgasmo, ma stavolta inventato da noi umani: non ce lo ha regalato nessuno. È la cultura, il piacere di sapere, di imparare. Per godere di ciò occorre studiare. Vicino all’esercizio dello studio mettiamoci la parola “mutare”.

Non basta cambiare, occorre studiare per mutare: ciò che serve è quasi una mutazione genetica verso i nuovi sentimenti: fiducia … eccetera, li ho elencati prima. Accanto al nostro lavoro collocherei la parola “insieme”. Noi Italiani probabilmente siamo i più bravi al mondo a proporci da soli, ma non risultiamo particolarmente capaci a lavorare in branco. Individualmente possiamo aggiudicarci qualche battaglia ma le guerre si vincono con il branco. Dobbiamo imparare a lavorare insieme. Infine, sognare: è l’attività più suggestiva e, nello stesso tempo, determinante per creare progetti innovativi. Insieme ai sogni propongo, come nuova parola, “avvenire”. Trovo la parola avvenire più proattiva rispetto a futuro, più nostra, più coinvolgente. È indispensabile sognare il nostro avvenire, soprattutto in relazione alla vera e apocalittica emergenza di fronte alla quale ci troviamo, cioè quella ambientale. Perché è di questo che dobbiamo occuparci se vogliamo disegnare il nostro futuro. Abbiamo detto che servono gesti nuovi, raccontati da parole nuove e vi ho elencato quelle corrette dal mio punto di vista. Forse per definire il nostro nuovo rapporto con il pianeta basterebbe utilizzarne una, una parola sola, di due lettere … che in realtà è un prefisso: “ri”. Proviamo a mettere un “ri” davanti ai verbi che stanno ad indicare i nostri moti della vita. Ri-definire, ri-costruire, ri-condizionare, ri-generare, ri-prendere, ri-considerare, ri-vedere, ri-flettere, ri-usare … e potrei andare avanti ancora, ma ne aggiungo uno soltanto, imprescindibile: ri-fondare.

È giunto il momento di rifondare il nostro rapporto con la natura. Il 90% degli scienziati concorda nell’affermare che stiamo sottoponendo ad un rischio immane la prosecuzione della vita umana sul nostro pianeta. Dobbiamo darci una mossa e ciascuno deve fare la sua parte. La politica, le imprese, le famiglie, i singoli individui. Per quanto riguarda politica e imprese, se desiderano mantenere il ruolo centrale nel modello socioeconomico in cui viviamo, la società dei consumi integrata da welfare e servizi pubblici, è indispensabile che agiscano immediatamente su tre fronti. Primo: avviare un programma di trasformazione degli strumenti che producono polveri sottili, puntando ad azzerarle. Secondo: de-carbonizzare la produzione di energia, investendo esclusivamente sulle fonti rinnovabili, nell’intento di fermare l’eccesso di CO2 immessa nell’atmosfera. Terzo: ridurre al minimo la creazione di rifiuti e scarti attraverso il riutilizzo di tutto ciò che è stato consumato. L’Italia può diventare la nazione portabandiera a livello mondiale di questo nuovo modo di rapportarsi con la natura. È un luogo fortunato perché gode di acqua, sole e vento in misura straordinaria. Inoltre, è molto avanti sull’agricoltura biologica e sul recupero dei residui del consumo per realizzare nuovi prodotti, per esempio siamo i primi in Europa per il riuso di legname.

Chiudo con il nuovo gesto che ho deciso di mettere in campo personalmente. Si chiama Green Pea e consiste in un edificio grande e magnifico, costruito interamente con materiali riciclati e sostenuto da energia auto prodotta da fonti rinnovabili. All’interno venderemo veicoli elettrici e a bio-metano, energia e servizi “puliti”, abbigliamento e mobili costruiti in armonia con la terra, l’acqua e l’aria. E poi tanti libri, ozio creativo e ristorazione con cibi sani.

La nuova parola che accompagnerà questo gesto nuovo è in realtà un brevissimo slogan: “From duty to beauty”. Vuol dire che, per indirizzare definitivamente il nostro modo di porci con l’ambiente verso il giusto, dobbiamo spostare il valore del rispetto dal senso del dovere a quello del piacere. L’unico modo per fare presto è decidere di comportarci meglio non soltanto più per etica, bensì perché a farlo ci sentiamo meglio, piacevoli sia a noi stessi che agli altri. In una parola ci sentiamo belli, oppure “fighi”, a seconda di come preferite esprimervi. Spero tanto che Green Pea riesca ad aprire le porte, a Torino, entro fine anno e ancor più spero che queste nuove parole, “dal dovere alla bellezza”, siano comprese.