Un ombrello dalla raggiera rotta, impedito ad aprirsi, è ancora un ombrello? Forse diventa qualcosa di diverso, ed è per questo motivo che dobbiamo dargli un’ulteriore caratteristica, aggettivarlo: un ombrello rotto. Eppure potrebbe iniziare da qui un’ulteriore storia, come quando i papà di un’altra epoca davano ai loro figli un pezzo del cambio della macchina o il volante per giocare. Il tempo ludico allargava le maglie fisiche dell’uso dell’oggetto per quello che era stato progettato, e un suo nuovo ciclo di vita partiva. È un po’ quello che è successo a Ibrahim Mahama, ragazzo ghanese – difficile etichettarlo come artista al giorno d’oggi -, con un sorriso contagioso che ha deciso di raccontare una storia dal titolo exchange-exchanger, che potremmo azzardarci a tradurre l’oggetto-oggetto. La storia è semplice: uno di quei maghi da cortile raduna un po’ di bambini, prende un ramoscello, lo avvolge di carta, lo mostra al pubblico, chiede che ne venga data una definizione, un bastoncino dice qualcuno, e poi lo scortica dall’interno rimuovendo la carta e il primo strato di legno. E adesso che nome gli dareste?, fa alla propria audience, non è più un ramoscello, né un bastoncino di carta. È da questo racconto che inizia la vita dell’exchange-exchanger, un oggetto che si è staccato dal suo spazio e dal suo tempo prestabiliti, connaturati, propri, e inizia una nuova vita. Allo stesso modo Ibrahim Mahama adesso prende sacchi di carbone e di cacao, due delle materie che il proprio paese esporta con maggior profitto fuori dai confini africani, e inizia un lungo processo umano che li trasformerà in qualcosa di diverso, in un lenzuolo ampissimo e coprente che vestirà alcune architetture prima di Accra e poi di Kassel, passando per Venezia, per lui significative. Processo. Una parola che spesso viene avvicinata al mondo delle aziende e poco a quello dell’arte. Qui però è quanto mai calzante, perché Ibrahim Mahama non può e non vuole lavorare da solo, gli servono persone – le richiama spesso, «my contributors», «my people» -, per trovare i sacchi, proporre alle aziende di export di scambiare sacchi usati con sacchi nuovi, per cucirli insieme in questa sorta di gigantesca maglia per palazzi, per muoverli e farli adagiare alle spigolature in cemento e ferro delle strutture che vuole coprire. Il lavoro si intitola e si intitolerà sempre “Exchange-Exchanger 1957 –2057”. Il primo è l’anno di indipendenza del Ghana, un momento fondamentale per tutte le persone, le povere persone che, che sia verità, presunzione o percezione, hanno immaginato di poter vivere liberamente muovendo da quella dichiarazione verso il progresso. Il secondo è un ipotetico tempo futuro che ci dice un’ultima cosa sull’oggetto-oggetto, questo non è più un sacco e nemmeno una costruzione pubblica, è qualcosa di diverso, con cui ognuno di noi spettatore dovrà avere a che fare, mettersi nel suo cono di ombra. Ma anche questa nuova vita avrà una fine, o una trasformazione, in un tempo in cui lo stesso mago (o Ibrahim Mahama, se preferite) non ci sarà più, sarà lontano, non disporrà del potere di infondere una nuova goccia di vita. Ci sarà forse qualcuno in quel momento a prendere tra le mani il ramoscello?