Centodieci anni e non sentirli. Anzi il secondo secolo di vita per la Noberasco, storico produttore italiano di frutta secca, il cui controllo resta saldamente in mano ai discendenti dei fondatori, è cominciato all’insegna delle novità. Una pioggia di nuovi prodotti, destinati a rinnovare l’offerta, uno stabilimento di produzione rivoluzionario a Carcare, il più automatizzato d’Europa in questo settore, ma soprattutto un nuovo stile manageriale, favorito anche dall’arrivo nella stanza dei bottoni della terza e quarta generazione dei Noberasco. Il ricambio si compie due anni or sono, nel 2016, quando alla presidenza arriva Gabriele Noberasco, classe 1956, campione di rally e grande appassionato di corse. Ad assumere le deleghe operative è il nipote Mattia, di parecchi anni più giovane, capace però di farsi apprezzare come il direttore generale che in dieci anni ha raddoppiato il fatturato dell’azienda. La chiave per decifrare il salto fatto dalla società savonese sta proprio qui: un business vecchio come il mondo, quello della frutta secca, diventa quanto di più moderno esista. E il processo per arrivare sul mercato con gli oltre 100 prodotti della società leader in Italia nel segmento della frutta secca e disidratata entra negli annali della storia d’impresa come uno dei primi successi di Industria 4.0. Un caso che dimostra come siano indispensabili i robot e le nuove tecnologie per fare il salto di qualità e di produttività necessario a stare su mercati sempre più complessi e competitivi. Indispensabili ma non bastevoli se l’obiettivo è quello di creare un nuovo clima aziendale e una diversa consapevolezza condivisa a tutti i livelli, dall’amministratore delegato all’ultimo fattorino, degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

E infatti la vicenda della società fondata nel 1908, ad Albenga, da Benedetto Noberasco, dimostra quanto conti saper coinvolgere l’intera popolazione aziendale, se si vuole migliorare davvero.

I numeri del cambiamento

Soltanto negli ultimi due anni Noberasco ha aumentato del 40% la propria forza lavoro, con i dipendenti che ora sono 140 e ha aperto il nuovo stabilimento di Carcare che occupa un’area di 70mila metri quadrati, per la cui realizzazione sono stati investiti 40 milioni di euro. Il nuovo stabilimento contiene tre linee di pastorizzazione, 10 linee di confezionamento che sfornano 150 tonnellate al giorno di frutta secca e disidratata e un magazzino interamente automatizzato che accoglie oltre 8mila bancali di prodotto finito. Immenso. Da quando è in funzione il fatturato è già aumentato del 20%.  Nel corso del 2017 la «fabbrica della frutta», così la chiamano gli abitanti del piccolo comune dell’entroterra ligure che la ospita, ha confezionato oltre 35mila tonnellate di frutta secca.

L’ultimo esercizio, chiuso il 31 dicembre dello scorso anno, ha fatto segnare un fatturato record: 135 milioni di euro con una quota di export del 10%, destinati a diventare 140 nel 2018. Qualche anno prima, precisamente nel 2014, è nato il sito di e-commerce, utile, oltre che per acquistare direttamente online i prodotti della società ligure, anche per comprendere la vastità della sua offerta. 

Il Giappone in riva al Bormida

Sulle rive del Bormida, varcando i cancelli dello stabilimento tutto vetri, e riflessi colorati, si ha quasi la sensazione di toccare con mano il kaizen in versione italiana. La strategia del miglioramento continuo alla giapponese, sposata dagli anni Ottanta dai colossi nipponici dell’auto e dell’elettronica, qui assume caratteristiche impensabili.D’altronde la missione aziendale è chiara, e compare in tutti i siti, fisici e virtuali, dell’azienda. Perfino sul portale dedicato al commercio elettronico.

«Permettere il consumo della frutta lontano dal momento del raccolto, senza comprometterne i contenuti nutrizionali, puntando sull’innovazione e costruendo la migliore relazione con clienti e consumatori finali».

l come conseguire questo obiettivo rappresenta, almeno per ora, un caso unico nel panorama imprenditoriale italiano. «Cari stakeholders - scrive nella presentazione dell’ultimo bilancio sociale l’AD Mattia Noberasco - il mondo cambia sempre più velocemente e noi cambiamo con lui. Ogni giorno siamo coinvolti al 100% in un processo di studio, adattamento e anticipazione dei nuovi bisogni e delle nuove opportunità...». Lo scenario in cui questo cambiamento continuo si realizza è unico. Ed è quella che Mattia definisce la «Fabbrica del Futuro» (le maiuscole sono le sue), senza la quale «non saremmo qui», chiarisce, «o meglio non avremmo potuto gestire la crescita dei volumi, del fatturato e lanciare sul mercato i prodotti che hanno innovato la nostra categoria».

La fabbrica del futuro

Ma che cos’ha di speciale l’impianto di Carcare? Possibile che sia talmente decisivo da rappresentare lo spartiacque fra la vecchia e la nuova Noberasco? Il segreto probabilmente sta nella capacità di coniugare i prodotti antichi, uguali a centodieci anni fa, quando Benedetto e Maddalena Noberasco che con un capitale di sole 2000 lire, iniziarono l’attività, con quelli più moderni. Proposti non più come prodotti di fine pasto delle feste ma come snack energetici e salutistici destinati agli sportivi, agli studenti, a chi vuole rimanere in forma.

Lo stabilimento vero e proprio assomiglia da vicino a una gigantesca «camera bianca» da frequentare indossando tuta, guanti e mascherina, come nei reparti sterili dei grandi centri di ricerca americani e giapponesi. La frutta morbida arriva essiccata e viene reidratata e pastorizzata in tre impianti diversi, ciascuno in grado di servire due linee di confezionamento a caldo e sterilizzazione. Poi ci sono altre quattro linee riservate alla frutta secca. I prodotti, una volta terminata questa fase della lavorazione, concludono anche il loro percorso a contatto con gli esseri umani. Una volta confezionato, il prodotto viene gestito da tre robot Kuka e poi movimentato da muletti senza guidatore all’interno del magazzino automatizzato: un gigantesco blocco fatto si scaffali capaci di sopportare ciascuno svariate tonnellate di carico, che si snodano a perdita d’occhio per centinaia di metri in lunghezza e svariate decine in altezza.

Il processo è interamente automatizzato. Perfino i controlli previsti dalle certificazioni avvengono di sorpresa e sono interamente gestiti da un sistema di intelligenza artificiale.

Qui Industria 4.0, si può davvero vedere nella sua dimensione fisica. Oltre gli slogan che hanno tenuto banco negli ultimi due anni.

A dimensione d’uomo

Ma a fianco della componente interamente robotizzata c’è una dimensione che crea un habitat in cui la dimensione umana è prevalente. La dimensione antropologica della fabbrica del futuro non è meno originale né meno decisiva di quella robotica. I dipendenti della Noberasco hanno a disposizione una area fitness e benessere, completa di tutti gli strumenti e gli attrezzi per tenersi in forma. È sempre aperta nell’orario di lavoro ed accessibile a tutte le 140 persone che lavorano a Carcare. Questo all’interno dello stabilimento. All’esterno c’è invece una grande area verde, sempre a disposizione dei dipendenti. Intanto il giardino dei frutti perduti con una distesa di piante biologiche quali albicocco, castagno, ciliegio, fico, pruno. E poi c’è l’orto biologico dove si coltivano verdure di stagione e l’angolo delle piante aromatiche che quotidianamente vengono utilizzate nella cucina della mensa ma sono anche a disposizione del personale della società, che le può cogliere e consumare a casa. Una nuova visione dei rapporti sociali all’interno dell’impresa. «Quello di Noberasco è un approccio olistico», ci spiega il professor Silvio Barbero, fondatore di Slow Food e vicepresidente dell'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Un approccio che mette in gioco rapporti fra impresa e dipendenti molti diverso dal consueto. «A Carcare funziona un welfare davvero innovativo», racconta Barbero, «intanto la possibilità per i dipendenti di fruire di spazi attrezzati per svolgere attività fisica, all’interno del complesso industriale, ma soprattutto la riorganizzazione della mensa aziendale in una logica molto attenta alla sostenibilità, alla tipicità, con un vero e proprio orto, condotto da una persona pagata dalla Noberasco, che sforna i prodotti tipici del territorio e i cui prodotti sono messi a disposizione dei dipendenti che li possono raccogliere e portare a casa, in base a regole che consentano a tutti di fruirne. Un messaggio di attenzione alle produzioni locali e di sostenibilità ambientale, con un forte richiamo culturale. Un messaggio di attenzione alla terra che invoglia a recuperare un rapporto nuovo con il cibo e l’alimentazione».

Qualcosa di diverso dai tradizionali orti aziendali per i quali le imprese si limitano solitamente a mettere a disposizione il terreno e forse le sementi.

«Si tratta di vero welfare», spiega ancora Barbero, «capace di affiancare gli elementi etici e culturali alla componente economica.

Cibi buoni, sani e per le quantità consentite, anche completamente gratuiti. Fra l’altro di recente la Noberasco, alla tradizionale gamma di prodotti, ne ha aggiunti di nuovi a base di verdura essiccata o disidratata: un ulteriore legame con l’esperienza riservata ai dipendenti.

Sostenibilità e Tracciabilità

«Ma oggi non si può più valutare la qualità di un prodotto se non in una visione più ampia. Olistica appunto», spiega sempre il professor Barbero, «la qualità organolettica è importante ma non basta più. La qualità dev’essere sostenibile, misurabile in termini di ricadute ambientali delle produzioni, salute delle persone e rapporto con l’elemento sociale. Oggi le aziende del made in Italy devono aggiungere questi aspetti, li devono raccontare, con un marketing diverso che orienti i consumi non solo da un punto di vista del prezzo ma introducendo tutti quei valori che assieme al gusto rappresentano il nuovo confine della qualità alimentare. Giusto valorizzare i prodotti del territorio e della tradizione che devono coniugarsi però con le grandi sfide del pianeta. A cominciare da sostenibilità e l’etica sociale dei prodotti. Il cibo non può diventare oggetto di speculazione o sfruttamento». Ed è proprio questa la nuova sfida raccolta da Noberasco, con un impegno puntuale anche sul fronte della tracciabilità delle materie prime utilizzate ogni giorno per sfornare decine di milioni di confezioni di frutta e verdura secche o disidratate.