La chiamata che ti cambia la vita arrivò a Gianmaria Mossa in un momento delicato della carriera, all’epoca. Correva l’anno 2012, in quel frangente responsabile della divisione marketing di banca Fideuram, aveva la sensazione che fosse arrivato il momento di un cambiamento. Il momento ideale per ricevere l’invito di un “head hunter”: “Le telefono per conto del dottor Motta di Banca Generali che gradirebbe incontrarla”.  Un approccio diretto, abbastanza sorprendente alla luce delle regole in uso nel mercato dei manager, ove le selezioni procedono secondo canoni ben definiti, a tappe, senza far nomi in fase di primo approccio, in onore della cosiddetta riservatezza. Ma non era questo il caso: Motta, il numero uno di Banca Generali, non si era limitato ad un identikit perché, dopo una prima riflessione, aveva già preso una decisione sull’uomo. “All’epoca -confessa Mossa - ero già intenzionato a cambiare, perché non mi ritrovavo più a mio agio nell’azienda dove lavoravo. Ma non mi aspettavo di sicuro una chiamata così diretta, con tanto di nome e cognome.  Anche perché l’unico mio contatto precedente con Pier Mario Motta risaliva ad un incontro in un convegno dell’anno prima. E in quell’occasione ci eravamo beccati”. Ma dietro il temperamento “fumino” di Mossa, come lo definirà più avanti il numero uno della Banca del Leone, il manager aveva saputo intuire le qualità che andava cercando nel collaboratore cui affidare il compito di rafforzare la squadra, cioè il vero valore che può fare, al di là della reputazione del marchio e della solidità patrimoniale, la differenza nell’industria del Wealth Management. “Quel ragazzo mi piace – confidò ad un collaboratore parlando di Mossa dopo quella discussione a Bologna– è il meglio che possiamo trovare tra i nostri concorrenti”. Un giudizio che dice molto sulle scelte di Motta, alla ricerca di talenti, non di yes man più obbedienti che capaci di decidere in autonomia. Erano queste le caratteristiche del manager e dell’uomo che doveva cercare; d’altronde i mediocri si circondano di mediocri, i cavalli di razza, quelli che amano la libertà, sanno guardare oltre, alla ricerca del meglio. 

Prese così il via una storia di vera amicizia, maturata e cresciuta nel solco di un’ascesa professionale formidabile, che ha accomunato il Maestro e l’allievo fino all’epilogo triste, la scomparsa prematura di Motta che fino all’ultimo ha saputo però tener dritta la barra dell’azienda, senza negar nulla alla famiglia, l’altro pilastro solido di una vita troppo breve. Qualcosa di più di una storia aziendale di successo cui hanno contribuito uomini accomunati da idee e convinzioni nel business ma anche da valori condivisi, dentro e fuori la vita aziendale. Ma, al di là della sintonia tra i due manager, culminata in una staffetta nella continuità, quel che impressiona è la visione lungimirante di Motta, capace di lottare fino all’ultimo per raggiungere la mèta che si era fissato, per sé, per la famiglia e per la società diretta fino al commiato, sempre con precisa lucidità. Un’impresa di eroismo vero, mai gridato, ma favorito dal conforto di un punto di riferimento del “delfino” cui è riuscito a passare il testimone prima di cedere, il Venerdì Santo che ha preceduto la Pasqua 2016, alla malattia che lo aveva perseguitato negli ultimi anni. È la seconda grande lezione di vita: il capo azienda deve saper decidere in autonomia e solitudine, ma con l’umiltà che serve per valorizzare i propri collaboratori. E senza mai trascurare il tesoro dell’amicizia.

Tra i due, dopo il contatto via cacciatore di teste, scattò subito la sintonia. Ma con qualche intoppo. “Ricordo molto bene quell’incontro con Pier Mario – racconta Mossa – La prima cosa che colpì fu una sua osservazione di grande umiltà: abbiamo bisogno di linfa nuova”. Un’affermazione sorprendente perché Banca Generali era già al centro in un ciclo virtuoso di crescita, accompagnata da un ripensamento dell’organizzazione, imperniata sulla presenza di un direttore generale unico, a cui Motta aveva già messo mano avviando i contatti con la Banca d’Italia per la revisione dello statuto. Ma dietro quella struttura solida ma tradizionale, il manager era consapevole dei limiti di un modello commerciale da rivedere dalle fondamenta, senza sconti o compromessi. “In quel colloquio – ricorda Mossa – tracciò un quadro rigoroso e senza sconti di quel che era necessario fare per guidare il settore ad un salto di qualità: dalla figura tradizionale del private banker ad un assetto organizzativo più adeguato, in grado di sfruttare meglio le competenze, oltre alla potenza di fuoco garantita dall’impiego delle tecnologie. Una sfida che, tra l’altro, imponeva che i manager disponessero della necessaria autonomia per portare avanti la missione affidata dal capo azienda”. Musica per le orecchie di Mossa che fin dagli esordi in Allianz si era distinto per la sua intraprendenza come pioniere nello sviluppo di piattaforme ad hoc per il Wealth Management per poi dar vita, una volta approdato in Fideuram, al servizio di consulenza evoluta. Ma, nonostante le premesse, quel primo contatto andò a vuoto.

“Per il momento – disse Motta – ti posso offrire il posto di numero tre”. Mica poco, anche perché l’organigramma della società era stato appena messo a punto con il consenso dalla casa madre e di Banca d’Italia. Di qui la richiesta di accontentarsi, almeno per il momento. Ma Mossa, all’epoca 36 anni appena compiuti, aveva le idee ben chiare: “Grazie lo stesso – fu la replica – ma non fa per me”. Forse perché istruito dalle esperienze precedenti, il manager si era persuaso che il progetto poteva funzionare solo se fin dall’inizio, non ci fossero stati filtri tra i manager operativi ed il capoazienda. “Fui molto chiaro: voglio tutte le deleghe perché voglio rispondere solo a te”. Un messaggio forte, in un certo senso temerario visto che l’andamento della domanda in quel momento premiava più Banca Generali che l’azienda in cui lavorava Mossa. Ma la chiarezza, quando si ha a che fare con un vero leader, il più delle volte paga: Motta accettò di rivedere l’organigramma. Due settimane, Il tempo necessario per ottenere la revisione dello statuto con la previsione di due direttori generali e l’operazione prese finalmente il via. In maniera informale, con un week end primaverile a Roma: i due manager a mettere a punto le prime mosse passeggiando in via del Corso mentre le signore pensavano allo shopping.

Poi la comunicazione ufficiale alla Rete:” Vi comunico con grande soddisfazione il rafforzamento della squadra manageriale che ci aiuterà nel coordinare la repentina accelerazione nella crescita della nostra società”.

 Iniziò così, luglio 2013, l’attività di un tandem di grande successo, nel pieno rispetto delle attitudini individuali. “Non posso dimenticare – ricorda Mossa – la presentazione ufficiale alla rete in occasione della nostra convention. Per coordinare i vari interventi, quello di Pier Mario, del direttore finanziario ed il mio, era stato scelto un coach con l’obiettivo di uniformare la comunicazione, comprese le canoniche slides. Io ho cercato di rispettare la regia ma, durante le prove, ho capito che così facendo veniva meno la spontaneità della comunicazione. Alla fine, ha deciso lui: lasciategli fare quel che vuole, disse”. Per poi aggiungere, rivolto a me parlando ai partecipanti dell’edizione successiva, anno 2015 (quando la League si tenne in Calabria) “Seguitelo, lui rappresenta il futuro e vi porterà in alto”.

Formidabili quegli anni. All’insegna della continuità, perché Motta, grande motivatore, aveva già avviato un’azione di supporto e di training della Rete, da lui “ripulita”, privilegiando il merito e la voglia di crescere dei più bravi, un mix di competizione e di meritocrazia che è stato alla base dello straordinario incremento dei portafogli (dai 7 milioni del 2005 a più di 24 nel 2016). Ma il trend ha preso una grande accelerazione grazie all’azione del “delfino” che fin dall’inizio ha puntato sulla formazione, sui prodotti e sui servizi su misura resi possibili dall’innovazione tecnologica. Ma con una premessa precisa: “La tecnologia funziona in quanto sostegno al rapporto umano, la premessa indispensabile per un’attività di successo che passa inevitabilmente dai processi e dal supporto che la tecnologia riesce a garantirci. Per una rete come la nostra, al vertice del settore con portafogli medi che si avvicinano ai 30 milioni pro-capite, o nel caso addirittura della rete di wealth management con masse medie tra i 75 e gli 80 milioni, una delle priorità è quella di erogare servizi in tempi veloci e con accuratezza, riconoscendo le esigenze personali di ciascun nostro consulente e dei loro clienti”.  Una formula che funziona, come dimostra l’appeal crescente esercitato sui talenti, anche con l’inserimento di nomi molto noti nel settore e l’accelerazione nei reclutamenti top: da una media di circa 60-70 unità nel 2013, ad oltre le 100 unità nel 2014 e 120 nel 2015, un trend proseguito anche in seguito.

Formidabile quella coppia.

“Un tuo difetto è che sei troppo fumino” continuò a ripetere Motta tanto per frenare (ma non troppo) la grinta del discepolo, ancora troppo giovane per praticare l’arte del compromesso. Ma anche qui, a far da trait d’union tra i due, c’è un sentimento forte: l’amore per la libertà. “Mi ha sempre ripetuto che la cosa più importante è non tradire mai i valori dell’uomo libero”.

Una regola di vita che Motta ha praticato senza esitare a rinunciare ad una comoda carriera in banca per affrontare una sfida senza rete. Ma i meriti del professionista rappresentano solo una parte, forse la meno significativa, delle imprese compiute dall’uomo, al momento del tramonto, prematuro e crudele quanto può essere una vita che si spegne troppo presto, a 57 anni, dopo una malattia incurabile. Il caso ha voluto che l’epilogo culminasse con una data speciale, il Venerdì Santo del 2016. Una tragedia annunciata che Motta ha voluto affrontare con la massima consapevolezza, senza concedersi mai debolezze o cedimenti, piuttosto che cercare pietà o compassione. debolezze o cedimenti. L’uomo sa di poter contare su un collaboratore prima e poi un amico fidato, il “discepolo” Mossa, cui delegare non solo la continuità nella banca che ha fatto crescere negli anni, ma anche per consigli e aiuto alla sua famiglia nella gestione dei propri bisogni. Ma sa anche di dover completare la missione nei confronti dell’allievo, come si addice ad un vero leader. “Pochi giorni dopo la sua scomparsa – rivela Mossa – mi chiamò un suo amico, uomo di grande rilievo nel mondo finanziario con un suo messaggio”. Quale?” Gian Maria, è arrivato il momento di esser fumino”.

Ovvero, non accettare compromessi, magari accompagnati dallo zuccherino di un aumento di stipendio. Il posto di numero uno dev’essere tuo. E così è andata: da condirettore generale ad amministratore delegato nell’aprile del 2017. “Lo stesso giorno – ricorda con un sorriso velato di tristezza Mossa – in cui Banca Generali è entrata tra i quaranta titoli dell’indice Ftse Mib, un traguardo a cui Motta teneva in maniera particolare”. Missione compiuta via discepolo.