Il bagno salvifico di Nuuk

Ogni domenica mattina, anche in pieno inverno, sul lungomare di Nuuk si può scorgere gente che si tuffa nel fiordo ghiacciato da una bassa scogliera che degrada in acqua, fra la statua della Madre del Mare e quella di Hans Egede, il padre fondatore della città. I due monumenti rappresentano la doppia anima che tende a definire lo spirito della capitale groenlandese. Egede, scolpito con un abito elegante e il colletto inamidato, probabilmente avrebbe preferito vedere gli impavidi nuotatori immergersi in preghiera nella chiesa da lui fondata, anziché nelle acque della baia di Nuuk, che in inverno sfiorano i 3 gradi centigradi. Il missionario danese sbarcò in Groenlandia nel 1721 con l’idea di modernizzare questa landa frigida e convertire gli Inuit al cristianesimo. La statua della Madre del Mare (o Sassuma Arnaa, nella lingua locale) ritrae una dea formosa, con i capelli fluenti e i seni scoperti, circondata da un tricheco, una foca, un merluzzo e un orso polare. Accovacciato ai suoi piedi, un uomo la pettina con deferenza. La scultura in pietra rappresenta un’antica leggenda secondo cui un tempo gli abitanti della Groenlandia sarebbero stati puniti da Sassuma Arnaa per aver maltrattato la fauna locale. La dea avrebbe allora minacciato di richiamare a sé tutte le ricchezze della Terra, trascinandole negli abissi per privare i locali di ogni fonte di sostentamento. L’uomo inginocchiato starebbe quindi facendo ammenda con la promessa di rispettare l’ambiente e cacciare in modo più sostenibile. Le due statue sorgono a poche centinaia di metri l’una dall’altra e sembrano studiarsi a vicenda, simbolo del braccio di ferro tra tradizioni locali e stili di vita importati, fenomeno che continua ancora oggi nella capitale più a nord del globo. 

Arrivano gli stranieri

Perché Nuuk sta vivendo un boom alimentato da una combinazione di fattori e accentuato dal cambiamento climatico: lo scioglimento dei ghiacci ha aperto nuove le possibilità di sfruttamento di risorse naturali e minerali nella regione, attirando frotte di aziende e lavoratori stranieri. Le condizioni geografiche hanno stimolato gli investimenti in tecnologie sostenibili, trasformando la città in un laboratorio per soluzioni contro il riscaldamento globale. Gli insediamenti remoti si affidano quasi sempre a generatori diesel per l’elettricità. Qui la maggior parte del fabbisogno energetico è soddisfatto dalla centrale idroelettrica di Buksefjord. La posizione strategica di Nuuk ha dato anche impulso al turismo artico, con decine di viaggiatori che la usano come porta d’accesso per ammirare l’aurora boreale e lasciarsi ammaliare dal fascino degli iceberg. Negli anni Settanta, la popolazione di questo avamposto a meno di 250 chilometri dal Circolo Polare non raggiungeva i diecimila abitanti. Negli ultimi quindici anni ha continuato a crescere e presto potrebbe superare le ventimila anime. Di conseguenza, le infrastrutture si stanno ampliando rapidamente. Per buona parte dell’anno, si vedono circolare slitte di tutti i tipi, ma anche automobili e persino qualche autobus pubblico. Appena fuori dal centro, però, non esistono strade asfaltate. In compenso abbondano le imbarcazioni usate per spostarsi lungo la costa, tempo permettendo. Dal porto vecchio partono i taxi del mare che portano in giro i turisti interessati a vedere le balene, pescare gli halibut o semplicemente ammirare il panorama artico dal mare. L’anno prossimo sarà ultimato l’ampliamento della pista di atterraggio dell’aeroporto che aprirà i collegamenti diretti con il resto del mondo.

La prigione architettonica

Oggi Nuuk è una città a cavallo tra due mondi: indigena – il 90% della popolazione groenlandese è Inuit – ma cosmopolita; tradizionale ma moderna; isolata ma dinamica. Ovunque abbondano i contrasti: la parte vecchia, che ospita il museo nazionale e il porto coloniale, pare un villaggio di pescatori, con ruscelli incontaminati e prati di erbe selvatiche che crescono fra le case; nella vicina Myggedalen, le villette in legno dipinte di blu, giallo, rosso e verde, affacciate sul mare coi tetti a punta, offrono panorami da cartolina. Ma basta spostarsi di pochi minuti dalla costa per trovare quartieri dormitorio fatti di schiere di palazzi di cemento in stile un po’ sovietico, ricoperti di graffiti ormai diventati icone della città. Proseguendo ancora s’incontrano palazzi modernissimi dal tipico design nordico, tutto vetro, legno e spigoli. C’è anche una prigione che ha vinto un premio di architettura nel 2017. Il centro, che si gira facilmente a piedi, vanta ristoranti gourmet che offrono cucina groenlandese moderna, negozi di moda e gallerie d’arte contemporanea. Una di queste, la Nuuk Lokalmuseum, è stata ricavata da una vecchia rimessa per barche ed è collegata al museo omonimo, che organizza mostre di vario genere. Il Katuaq Center, con la sua facciata ondulata rivestita in larice e ispirata alle forme dell’aurora boreale, è un gioiello di architettura che vanta un’ampia offerta culturale: concerti, spettacoli teatrali, performance e cene a base di grigliate di renna e altre prelibatezze locali.

Una tapas a Nuuk?

Ogni due anni il quartiere ospita una biennale di arte Nordica, la Nuuk Nordic Culture Festival. Ma in tutte le stagioni, non mancano i bar di tendenza dove gustare tapas groenlandesi a base di grasso di balena e carne di narvalo affumicata, innaffiate da fiumi ottima birra locale. A colazione gente del posto di solito beve caffè nero filtrato, ma dai barattoli di latte condensato tenuti in bella mostra sui banconi s’intuisce che i bar sono frequentati anche da clienti con gusti diversi. Effettivamente, la nutrita comunità d’immigrati dal sudest asiatico, soprattutto tailandesi e filippini che qui sembrano avere il monopolio delle consegne, ordinano spesso caffè-latte dolce. Oltre a rendere la città più cosmopolita, la loro presenza fa sì che Nuuk sia forse l’unico posto al mondo dove è possibile gustare il curry di renna piccante.

Pur essendo facile perdersi nel lato più urbano della città, la natura resta la protagonista indiscussa. Arroccata su una penisola rocciosa (“nuuk” significa proprio penisola in Kalaallisut) che chiude uno dei più grandi fiordi del mondo, la cittadina è circondata da acqua, tundra e dai picchi delle montagne Ukkusissat e Quassussuaq. Un paesaggio selvaggio fatto di rocce, muschi e ghiacci. Per la gioia di chi ci vive, non c’è uno scorcio da cui non sia possibile ammirare la natura. Appena il meteo lo permette, tutti escono a caccia, a pesca o semplicemente a perdersi into the wild. Persino ai detenuti più meritevoli è consentito farlo, se accompagnati da una guardia.

Nell’ultimo decennio, Nuuk ha vissuto un periodo davvero eccezionale. La rinascita della città non ha solo attirato l’attenzione internazionale. Ha anche instillato un senso di orgoglio tra i suoi abitanti. Tuttavia, la transizione da villaggio sonnolento a metropoli dell’Artico non è tutta in discesa. Bilanciare questo sviluppo con l’esigenza di preservare l’ambiente unico che la circonda, come ricorda il monumento alla Madre del Mare affacciato sulla sua baia, resta un compito delicato. Così com’è difficile trovare un punto di equilibrio fra l’aumento delle opportunità, la pressione demografica e l’adozione di stili di vita più cosmopoliti da un lato. E il mantenimento dell’identità culturale che la rende unica dall’altro. Sul lungomare di Nuuk, le figure della Madre del Mare e quella di Hans Egede continuano a studiarsi da lontano. Chissà se nei prossimi anni riusciranno a trovare un compromesso.