Palin vs Abramovich

Siamo a Nome, la cittadina portuale dell’Alaska che vanta un parcheggio per i voli privati grande quanto quello di Newark: «per vedere la Russia mi basta alzare lo sguardo dalla finestra» dice Sarah Palin, l’icona della destra reazionaria americana già governatrice dello Stato. Un pugno di miglia più in là, 83 chilometri per l’esattezza oltre un tratto di mare che nel passato remoto (13 mila anni o giù di lì) si poteva attraversare a piedi, spunta la riva della Chukotka, l’estremo lembo dell’Oriente siberiano, poco meno di 50 mila abitanti distribuiti su una superficie di 720 mila chilometri quadrati. Un territorio che contende al Sahara il primato del territorio più ostile e meno popolato del pianeta, ma che rappresenta il tesoro più prezioso dello scrigno di Roman Abramovich, l’oligarca più famoso, l’uomo dai tre passaporti (russo, israeliano e portoghese) che briga per ottenerne un quarto a Dubai perché un giudice di Lisbona ha messo in dubbio la sua discendenza da un ebreo sefardita cacciato nel ‘400 dal regno lusitano.

Eppure, nessuno interpreta meglio i misteri e le ambizioni della Russia di questo miliardario (nell’ordine la seconda persona più ricca in Israele, l'undicesima in Russia e l'uomo più ricco del Portogallo) che oggi vive in un prudente ma dorato esilio volontario in quel di Istanbul, a distanza di sicurezza dagli intrichi del Cremlino, e città chiave per trattare un’eventuale pace tra Mosca e Kiev. Nonostante pericoli e peripezie, l’ex presidente de Chelsea, non dimentica la “sua” Chukotka, la sua ricchezza, ma anche il jolly che Vladimir Putin intende giocare per rilanciare la sfida globale all’Occidente. Passa di qui il filo comune che lega la storia dell’orfanello di Saratov che un giorno avrebbe vinto la Champions League con il Chelsea, con le ambizioni imperiali dell’ex agente del Kgb che vuol rifondare l’impero degli Zar. Mentre altri oligarchi in odore di tradimento cadono come birilli, Abramovich ha conservato finora con il beneplacito del Cremlino le sterminate royalties sul sottosuolo della regione che ha guidato da governatore dal 2000 al 2008 ma su cui esercita ancora una salda presa dal suo resort in terra turca, ospite di  una villa da 20 milioni di sterline (50 mila euro al mese secondo i tabloid inglesi) che comunque non basta a fargli dimenticare il Chelsea e gli assets londinesi requisiti dal Regno Unito per la sua affiliazione al clan Putin.

Le rotte, i progetti geopolitici ed il nucleare.

Ma perché la Chukotka è così importante per il miliardario e per lo Zar? Una terra ostile, tra le ultime ad esser domate dagli esploratori che affrontarono gli yupik, gli orgogliosi indigeni siberiani che nel 1917, fecero fuori due rappresentanti di Mosca venuti ad instaurare lo Stato bolscevico. Così come era successo due secoli prima ad Afanasy Shestakov, l’ammiraglio di Pietro il Grande sterminato assieme all’equipaggio con bastoni e coltelli, come tanti trichechi. Una terra dimenticata che nel corso degli ultimi anni, complice il riscaldamento climatico, si scopre tra le più fredde del pianeta, e tra le più calde dal punto di vista geopolitico – e per capirlo basta uno sguardo alla carta geografica.  Benvenuti nello stretto di Bering, porta d’accesso della Northern Sea Rout, ovvero la strada marina che, con il riscaldamento globale, dovrebbe presto consentire alle navi commerciali di ridurre in maniera sensibile il tempo di percorrenza da Ovest ad Est facilitando tra l’altro lo sfruttamento delle immense ricchezze dell’Artico. Una scommessa vitale per la Russia di Putin che, nonostante lo sforzo della guerra in Ucraina, non ha rallentato gli investimenti per dotarsi di nuove navi rompighiaccio e di infrastrutture portuali adeguate a sostenere il progetto. E così, nonostante non manchino le difficoltà tecniche e geopolitiche, Mosca ha ribadito di recente che il 2024 sarà l’anno cruciale per la nuova rotta da cui dovrebbero transitare 80 milioni di tonnellate di merci. Più un desiderio che un obiettivo credibile almeno in tempi così ravvicinati. È prematuro, secondo gli esperti, l’utilizzo di rotte artiche per le grandi navi portacontainer che governano il commercio mondiale. Le loro dimensioni, l’elevato pescaggio e la mancanza dei requisiti tecnici per la navigazione in territori ostili come l’Artico ne pregiudicano l’utilizzo. Inoltre, dopo l’incidente della Ever Given, l’Egitto ha annunciato l’ampliamento del Canale di Suez sia in ottica preventiva, sia scommettendo su un aumento dei traffici via Mar Rosso. Non sembrano esserci perciò attualmente i presupposti di invertire le rotte da Sud a Nord. Eppure, Mosca ci crede. Alexey Likhachev, CEO di Rosatom, operatore della flotta rompighiaccio a propulsione nucleare della Russia, ha ribadito che «insieme a Novatek, abbiamo in programma di lanciare la navigazione lungo tutto l’anno nella parte orientale della NSR all’inizio del 2024. Questa è una decisione davvero storica, importante per lo sviluppo dell’intero Artico e di particolare importanza, ovviamente, per l’economia del nostro Paese».  Lo stesso Putin ha da poco annunciato la costruzione di una nave di supporto alla flotta nucleare che può già annoverare, tra l’altro, la portacontainer a propulsione nucleare (unica al mondo) Sevmorput, oltre al nuovo rompighiaccio a propulsione nucleare Ural. Intanto Rosatomflot sta già svolgendo una serie di attività di supporto per la flotta nucleare provvedendo al rifornimento dei reattori nucleari sui rompighiaccio esistenti, sette in tutto per ora, in attesa che entrino in servizio altre cinque unità.  Ma per garantire un futuro all’Autostrada del Nord non basta assicurare la navigabilità tra i ghiacci, scommettendo sul riscaldamento della terra. Occorre installarci una rete di servizi, porti, ma non solo, che devono sorgere lungo la rotta. A partire dall’ energia che dovrà essere fornita dalle centrali nucleari galleggianti della linea Akademik Lomonosov. La prima di queste centrali (ne sono previste cinque), trainata per oltre seimila chilometri da Murmansk, è stata ormeggiata a Pevek, estremo lembo del nord-est siberiano che affaccia sullo stretto di Bering, a pochi metri dalla scuola che è l’orgoglio della regione: 512 studenti alloggiati in edifici nuovi, costruiti nel 2005 grazie all’allora governatore Abramovich che pagò tutto di tasca propria. Così come fece con l’ospedale, il municipio ed i complessi residenziali che contrastano con gli spettrali casermoni post-sovietici abbandonati durante la drammatica crisi degli anni Novanta, quando la popolazione della regione, complice la crisi finanziaria, precipitò da 140 a poco meno di 50 mila abitanti. Anche per i nativi ciukci, non più di 14 mila pastori di renne, l’arrivo del magnate ha un effetto miracoloso: l’aspettativa di vita passa da 34 a 38 anni, per lo più per merito della campagna contro l’alcoolismo: che qui toccava vette siderali (sei volte tanto la media russa, popolo che non abbonda comunque di astemi).

La collezione di minerali.

È così che ha preso corpo l’asse tra il nuovo padrone della Russia, deciso a sfruttare fino in fondo il valore strategico di una terra estrema e la sospetta generosità dell’oligarca cresciuto all’ombra della perestrojka, ricco come Creso dopo aver ceduto una quota di Sibneft già comprata a prezzi di saldo grazie alla compiacenza di Boris Eltsin. Il nostro Roman, classe 1966, entrato in politica, decide di puntare su questa landa disabitata. Effettua investimenti di tasca sua ma in realtà paga le tasse a sé stesso. E da governatore si aggiudica enormi giacimenti di oro e rame, come quelli di Baimsky, che vantano riserve di rame per 9,5 milioni di tonnellate e 10,5 milioni di once d’oro. O il distretto di Bilibino, più ricco del mitico Klondike sulla sponda americana: oro, rame, ma anche tungsteno, platino, argento, litio e le altre terre rare, materie prime indispensabili per le rinnovabili. Un tesoro dietro cui, spesso con schermi societari quasi inespugnabili, spunta Abramovich che ha ceduto a Kaz Mineral, società kazaka quotata alla City, parte delle quote dei suoi tesori artici. Chissà, forse dietro l’innamoramento iniziale di Abramovich per l’Artico c’è un aspetto sentimentale: il ricordo di un’infanzia durissima, orfano a tre anni di entrambi i genitori, i nonni vittime, appena un anno dopo, delle purghe staliniane. E così finì a Komi sulle rive del mar Bianco affidato ad uno zio. Ma la creazione dell’avamposto più prezioso del nuovo impero è soprattutto una questione di business e di strategia politica ed economica. La centrale galleggiante di Pevek, la prima del mondo, serve sì a portare calore ed energia alla regione ma è soprattutto uno degli scali strategici lungo i seimila chilometri della North Sea Rout. Al pari della baia di Rytkuci, “il grembo del mondo” per i pastori ciukci che qui portano le loro renne, almeno 25 mila, a ingrassare prima del parto. Tra cinque anni, però, tutto finirà: il nuovo porto, per cui è stato stanziato un miliardo di dollari, scaccerà le renne. La tundra sarà così destinata a sparire, metro dopo metro, mentre le acque assorbiranno il cianuro impiegato per estrarre l’oro. Ed intanto le navi di Putin trasporteranno il rame di Abramovich verso la Cina. Storia di quello che sarà sullo scacchiere più importante del mondo che verrà. 

Credits fotografici Sirio Magnabosco ©