L’Oriente e l’Occidente, lo Yin e yang, è la storia di un eterno ritorno. Una storia che ben lo rappresenta è quella dell’artista Hidetoshi Nagasawa, che nasce nel 1940 in un piccolo villaggio della Manciuria dove il padre prestava servizio come ufficiale medico dell'esercito imperiale. Al termine del conflitto la famiglia è costretta a lasciare il paese, insieme a tutti i civili giapponesi residenti, a seguito dell'invasione da parte dell'Unione Sovietica. Per questo motivo, il tema del viaggio segnerà profondamente buona parte della sua produzione futura, attraverso i cronotopi della barca, della tenda e del viaggio. Stabilitosi a Kawagoe, piccolo centro non molto distante dalla capitale giapponese, frequenta il corso di «Architettura e design» presso la Tama Daigaku di Tokyo, dove si laurea nel 1963. Hidetoshi Nagasawa si sente artista, e già a partire dagli anni Cinquanta viene a contatto col gruppo Gutaj,d e si reca regolarmente alle esposizioni indipendenti organizzate al museo di Tokyo dal giornale Yamiuri Newspaper fino al 1964. All'età di ventisei anni, sposato da soli sei mesi, interrompe la germinale carriera di architetto per dedicarsi esclusivamente all'attività artistica e lascia il Giappone con soli cinquecento dollari ed una bicicletta. Il viaggio in bicicletta dura un anno e mezzo e lo porta a visitare gran parte dei paesi del continente asiatico, tra cui Thailandia, Singapore, India, Pakistan, Iraq, Afghanistan e Siria. Giunge in Turchia, e mentre si accinge a far ritorno in patria, l'ascolto alla radio di un'opera di Mozart lo spinge a proseguire: s'imbarca così su un traghetto che lo porta in Grecia e, da lì, con la sua bicicletta, sbarca a Brindisi. Il viaggio per l'Italia, tocca Napoli, Roma, Firenze, Genova e Milano. In quest'ultima città, gli viene rubata la bicicletta (come lo stesso Nagasawa ha effettivamente più volte raccontato), e così decide di fermarvisi definitamente in quell’agosto del 1967, rendendola casa sua. Ecco l’Oriente e l’Occidente: se il secondo avrebbe tentato di ripartire con un nuovo mezzo, il primo accetta l’ineludibile e vi ci vive.