La Fiat Topolino con lo slogan «Sono stato il primo e resto il migliore» sulle fiancate, che fino a qualche anno fa era parcheggiata nel cortile dello stabilimento di Alba, in provincia di Cuneo, è ora collocata nell’atrio di Casa Ferrero, a Lussemburgo. È la nuova modernissima sede di sei piani in vetro e acciaio progettata dallo studio Perry Weber et Associés, inaugurata poco prima della pandemia. Il trasloco del furgoncino, soprannominato “Musone” per il lungo cofano anteriore, è un simbolo del cambio di passo che il gruppo nato nel 1946, ormai stabilmente sul podio mondiale delle industrie produttrici di cioccolato, ha compiuto negli ultimi sei anni. Quella “mitica” auto era appartenuta al fondatore dell’azienda, Pietro Ferrero: il pasticcere che creò il Giandujot. Un panetto da tagliare a fette a base di nocciole e cacao, da mangiare sul pane, da cui - su intuizione del figlio Michele Ferrero – nel 1964 scaturì la Nutella. Ora alla guida dell’impero dolce c’è il nipote Giovanni, nato lo stesso anno della mitica crema da spalmare alle nocciole. Dal primo settembre 2017 ha ceduto la sua carica di Ceo, per passarla al manager bocconiano Lapo Civiletti, di 60 anni. Il manager è in Ferrero dal 2004, dopo prestigiose esperienze in Mars (aziende americana al top mondiale con il 17% circa del mercato) e in Kraft: i due brand che precedono Ferrero nella classifica mondiale (ora Kraft, dopo vare fusioni e acquisizioni, si chiama Mendelèz, al secondo posto con il 16%). Il governo del gigante dolciario è passato dalla capitale delle Langhe, dove nel dopoguerra è sorta la prima «fabbrica della cioccolata» di famiglia, al Granducato del Lussemburgo, nel quartier generale vicino all’aeroporto Findel, dove lavorano oltre 1300 persone. Oggi la Ferrero è una multinazionale da 12,3 miliardi di fatturato (dati al 31 agosto 2020) con 105 società consolidate nel mondo e 31 siti produttivi, per la quale lavorano oltre 37 mila dipendenti di 120 diverse nazionalità. Il gruppo, anche dopo il recente cambio di governance, rimane una tipica family company, come ce ne sono tante in Italia, ma è la più grande e la più ramificata nei cinque continenti. Il capitale è rimasto saldamente in mano alla famiglia, ovvero i discendenti del fondatore Michele Ferrero. Ne fanno parte, oltre a Giovanni, con la moglie Paola e i due figli Michele e Bernardo: la signora Maria Franca, vedova di Michele, attiva nelle imprese sociali e alla presidenza della Fondazione Ferrero, e Luisa, la vedova di Pietro, il fratello di Giovanni - scomparso prematuramente nel 2011 per un infarto all’età di 48 anni mentre si allenava in bicicletta in Sudafrica - con i loro tre figli. Un tempo le decisioni sul futuro aziendale si prendevano attorno a un tavolo, nella villa sulla collina di Altavilla di Alba o in quelle in Costa Azzurra. Un metodo che non poteva più funzionare. Come ha scritto il professor Walter Zocchi nel suo libro Family business (Edizioni Il Sole 24 Ore, 2004) solo con il raggiungimento dell’equilibrio tra famiglia, azienda e patrimonio può esserci un futuro per il modello del capitalismo familiare. E Giovanni Ferrero - personalità poliedrica che ha scritto sei romanzi ambientati in Africa, dedicati a temi umanitari e sociali - ha profonde radici etiche e cattoliche, ereditate dal padre. In una delle rare interviste che nel 2013 ha concesso all’allora direttore di Famiglia Cristiana, Antonio Sciortino, ebbe a dire che la famiglia è «da sempre il cemento del successo della Ferrero», affermando di voler condividere questi valori con i propri collaboratori, che considera come una grande comunità familiare. Per il libro Mondo Nutella (Rizzoli 2014, tradotto in inglese, russo, olandese e armeno), Giovanni Ferrero mi spiegò così quel trasferimento dell’head quarter da Alba e Pino Torinese (dove fu costruito in centro direzionale, ora dismesso) a Lussemburgo: «Abbiamo scelto il Centro Europa perché qui si concentra la maggiore intensità di consumo di cioccolato e prodotti fuori pasto dolci, come snack, merendine, dessert al latte. Inoltre, qui hanno sede i nostri concorrenti del settore: ciò ci consente di operare in una prospettiva mondiale». L’orizzonte di sviluppo del gruppo, in continua crescita (+7,8 % del fatturato mondiale nel 2020 rispetto all’anno precedente) anche grazie a recenti importanti acquisizioni, ha un lungo arco temporale, di un decennio, che Giovanni Ferrero – studi a Bruxelles, dove è cresciuto e ancora vive, e poi specializzazione in marketing negli Stati Uniti – ha annunciato in uno dei pochi interventi pubblici in Italia, durante un convegno all’Expo di Milano: raggiungere il raddoppio del fatturato entro il 2027, puntando come driver di sviluppo su America e Far East. «Ogni generazione – disse – deve esplorare nuove frontiere del possibile, portarsi al di là delle colonne d’Ercole del già fatto. Abbiamo avuto un fondatore con un tratto indiscutibile di genialità creativa». Venendo meno il contributo del “Signor Michele” – come lo chiamavano in azienda -, di chi inventò prodotti ever green come i Mon Chéri, la Nutella, gli Ovetti Kinder, i Tic-Tac, le praline Ferrero Rocher, caratterizzati da una originalità assoluta rispetto ai concorrenti, in quell’occasione Giovanni spiegò di voler avviare una nuova fase «pragmatica di rafforzamento» attraverso investimenti «in grado di generare il valore necessario». Una dichiarazione di intenti che segnò un cambiamento di rotta piuttosto sensazionale, per chi aveva conosciuto la prudenza del padre Michele, contraddistinta da precise regole: la Ferrero incominciava a esportare uno dei suoi prodotti-azienda in un Paese; se aveva successo, vi insediava una società locale; infine costruiva uno stabilimento per produrlo. Così successe per Mon Chéri in Germania, per Nutella in Francia e Belgio, per Tic-Tac nelle Americhe, per Raffaello in Russia. Lo shopping attuato negli ultimi cinque anni dai manager dei felpati uffici di Findel – protetti da una statuina della Madonna di Lourdes come tutti i siti produttivi Ferrero, per volontà di Michele che ne era profondamente devoto – è stato impressionante: si stima un investimento totale, in acquisizioni, di circa 6 miliardi di euro. Nel 2015, a pochi mesi dalla scomparsa del padre, il figlio comprò la britannica Thorntons, antica azienda di praline fondata nel 1911. Poi in Belgio fu la volta di Eurobase International (gomma di base) e della Delacre, specializzata in biscotti. Nel 2017 incominciò la conquista degli Stati Uniti: prima Fannie May (chocolate confectionary), quindi Ferrara Candy (chewing gum e caramelle). E fece scalpore sui mercati internazionali l’acquisizione di tutto il ramo dolciario della Nestlé americana, con brand molto cari ai consumatori, come Butterfinger, BabyRuth, 100Grand, Raisinets e Wonka: un’operazione che da sola aveva un valore stimato dalla stampa internazionale intorno ai 2,36 miliardi di euro. «Sono marchi iconici – commentò Giovanni Ferrero, evidentemente pensando a quelli creati dal padre in Europa – ricchi si storia e di grande riconoscibilità». Nel 2019 il gruppo italiano è entrato nel business dei biscotti, degli snack alla frutta, delle crostate della Kellogg Company, sempre negli Usa, mentre in Europa sono arrivati i gelati del gruppo spagnolo Ice Cream Factory Comaker (ICFC) - che ha uno stabilimento in Italia a Castel d’Ario, vicino a Mantova, finora specializzato in prodotti “privat label” - e i famosi biscotti danesi Royal Dansk e Kjeldsens del Kelsen Group (che era in mano alla Campbell Soup Company). Gli ultimi acquisti sono recenti: nell’ottobre 2020 il business dei biscotti a marchio Foc’s e a dicembre gli snack healty di Eat Natural. E i marchi storici, quello creati dal «Signore albese della cioccolata», al quale una trentina di Comuni delle Langhe hanno dedicato piazze, giardini, fontane, oltre al nuovo ospedale sulla collina tra Alba e Bra entrato in funzione come presidio anti Covid-19, ancora nel cuore dei consumatori di tutto il mondo? In Ferrero spiegano che la strategia di acquisizioni è tesa proprio al loro consolidamento nei nuovi mercati. Ora per entrare nei magazzini Wallmart anche la Nutella non deve aspettare davanti alla porta di servizio, come un tempo: nonostante abbia più di cinquant’anni, è sempre una signora molto sexy, in grado di sedurre i suoi lovers anche con la brand extension: è clamoroso il successo in Italia dei Nutella Biscuits, che nel 2020 ha raggiunto un miliardo di pezzi venduti, tutti prodotti nel nuovo stabilimento di Balvano, in Basilicata, generando 141 milioni di fatturato, come del B-Ready, le mini-baguette di pane croccante farcita di crema alle nocciole. Ma in realtà questa scelta non è un cambio di rotta rispetto al “mantra” dell’intoccabilità dei marchi che aveva sempre predicato Michele Ferrero: fu lui stesso a incominciarne la sperimentazione, prima della sua scomparsa a 89 anni, nel mitico laboratorio Soremartec di Montecarlo, dove risiedeva. Esiste una precisa divisione dei compiti tra il presidente esecutivo, ruolo mantenuto da Giovanni Ferrero, e il Ceo Lapo Civiletti: il primo è ancora saldamente alla guida del gruppo, e si concentra sullo sviluppo di strategia, indirizzi di business e innovazione di lungo termine. È appunto il vantaggio di una family company, il cui manager non deve rispondere agli azionisti con successi di corto raggio, distribuendo dividenti anno dopo anno. In verità l’azienda macina utili a due cifre, che però la famiglia ha sempre voluto reinvestire, fino al 2015 soltanto in nuovi stabilimenti. L’ultimo nato, con una spesa di 300 milioni di dollari – secondo China Daily – è quello cinese, ad Hangzhou, pittoresca capitale dello Zhejiang: si tratta dell’investimento più importante mai realizzato da un’azienda italiana in Cina, ricordò Giovanni Ferrero con orgoglio, «un primo passo strategico per la conquista dei nuovi mercati asiatici». Mentre infatti le possibilità di crescita in Europa sono piuttosto limitate, con mercati saturi, i consumi di cioccolato pro-capite dei cinesi - inferiori ai cento grammi l’anno, contro i 4,3 negli Usa o i 9 di Svizzera e Paesi Nordici – lasciano ben sperare per il futuro. Mentre dunque Civiletti si occupa del business a breve e medio periodo, la strategia di sviluppo è affidata alla famiglia, che vuole assicurare la continuità dei valori di “ferrerità” – così definita – della cultura aziendale. È quella formula che Giovanni ha riassunto, nell’introduzione al rapporto di Responsabilità Sociale del gruppo (CSR) del 2016 come il “Modo Ferrero di fare le cose”: «L’amore per le cose fatte bene, il rispetto e la dedizione per soddisfare i nostri consumatori, la cura costante della qualità, oltre a una straordinaria creatività. Questi valori sono le nostre radici. Questo è il Dna della nostra azienda di famiglia». Oggi il nuovo obiettivo è la sostenibilità ambientale della produzione e delle confezioni, come dimostrano certi esperimenti per un vasetto di Nutella in plastica compostabile in corso in UK o la promessa di tracciabilità totale entro il 2030 delle materie prime contenute nei prodotti dolciari. Su questi progetti sono al lavoro gli Innovation Center sorti a New York City e Singapore, dediti alla open innovation, per ripensare l’esistente con occhi diversi. La storia continua. C’è stato una virata, con l’accentramento del potere decisionale a Lussemburgo rispetto alle filiali nazionali, soprattutto di Francia, Germania, Italia, che poteva dare l’impressione di procedere per linee non coordinate, con le acquisizioni di nuovi marchi (mai cercata prima, nonostante la grande liquidità del gruppo), con il lancio dei gelati avvenuto in Italia e Francia con gli stecco Rocher e Raffaello nella primavera 2021 (Michele non ci credeva, nel 2006 tentò di convincere i consumatori a comprare il Gran Soleil, innovativo sorbetto venduto fuori dal comparto frigo da congelare nel freezer di casa, ma non ebbe successo). Ora Ferrero non è più sinonimo soltanto di cioccolato, ma anche di biscotti-pasticcino, di caramelle e di gelati. Però le due linee sembrano affiancarsi, aumentando la capacità di penetrazione dei marchi storici, senza cannibalizzarli. E quindi la reputazione del gruppo continua a crescere, senza scossoni, nel segno di una continuità tra management e famiglia. Del resto negli ultimi sei anni la Ferrero si è aggiudicata il primo posto nella classifica dei Best Brands in Italia per cinque volte, compresa la ricerca condotta nel 2021 dalla piattaforma indipendente Gfk: fu superata nel 2018 soltanto dalla Ferrari. Sono i marchi che vengono riconosciuti dagli italiani come figure di riferimento, si legge nelle motivazioni Gfk, delle figure di riferimento con le quali convivono da anni, «che non li hanno mai traditi e li accompagnano nella buona e nella cattiva sorte».