I vaccini stanno mettendo nell’angolo la prima pandemia globale e il mondo riparte, apparentemente da dov’era rimasto. Molti di noi sono stati colpiti o sfiorati dal virus, una generazione ci ha rimesso la vita ma a distanza di oltre un anno e mezzo dalle prime avvisaglie di Wuhan la spinta a lasciarsi alle spalle paura, dolore (ed errori) è fortissima e ha come leva l’energia compressa delle persone e delle imprese. L’economia punta in alto, anche oltre il rimbalzo “fisico”, e possiamo essere realisticamente ottimisti sul futuro prossimo. Perché dico che il mondo si muove apparentemente da dov’era rimasto? Perché contano soprattutto due fattori: il grado di efficienza dei sistemi economici e sociali al momento dello stop, e qui l’Italia e l’Europa erano e restano indietro su temi rilevanti quali la natalità o la digitalizzazione, e la quantità ben diversa di risorse pubbliche che le grandi nazioni stanno iniettando per sostenere la ripresa. Gli Stati Uniti hanno varato un piano rilevante, quasi sull’onda del New Deal di roosveltiana memoria, della Cina sappiamo poco eccetto che la sua economia è stata la prima a ripartire, mentre l’Europa ha fatto più di quanto ci si aspettasse, ma molto meno dei suoi competitor, e già ora progetta di tornare quanto prima all’austerità e al meccanico di rispetto dei vincoli di bilancio. Dunque, gli squilibri già esistenti e ben noti possono aggravarsi. Ma l’Italia e l’Europa (dove Angela Merkel si sta per ritirare dopo sedici anni di cancellierato e dove Emanuel Macron deve chiedere ai francesi la rielezione) hanno un asset in più: Mario Draghi è diventato in brevissimo tempo anche un leader politico, dopo essere stato leader economico internazionale alla guida della BCE.
Da premier ha riposizionato il nostro Paese all’interno dell’alleanza atlantica, ha dato una forte spinta alle vaccinazioni per riaprire le attività in sicurezza, mettendoci in grado di cogliere la ripresa economica e, ultimo ma non meno importante punto, è tornato ad essere decisivo a Bruxelles. Possiamo dire, senza tema di smentite, che le sliding doors che spesso ricorrono nella vita ci hanno favorito, e dobbiamo ringraziare Sergio Mattarella per averle aperte. Guardiamo dunque con grande fiducia e spirito positivo all'intendenza che dovrà seguire, alla capacità di spendere i fondi europei, alle riforme che bisognerà finalmente fare, ai giovani che devono trovare una vocazione oltre al lavoro, al debito che potrà essere ripagato solo con la crescita. Guardiamo con altrettanta fiducia ai cambiamenti che la pandemia provoca: una sanità, come si dice, più “di prossimità”; un’organizzazione del lavoro che misceli nel modo giusto home working e imprescindibile ritorno in ufficio ed alla vita di relazione, quella che sostiene il modello di sviluppo delle nostre città; e, magari, una revisione della stessa organizzazione statale, alla luce di un federalismo imperfetto che nell’emergenza poco ha funzionato. Il resto lo faranno, come sempre e più di sempre, i nostri imprenditori e le loro imprese: Infinito questa volta ci porta all’interno di alcune delle più importanti aziende multinazionali con Giovanni Ferrero, Giuseppe e Marco Lavazza, Remo Ruffini di Moncler, o Brunello Cucinelli, campioni del nostro capitalismo familiare che guidano, e ci raccontano, le grandi companies del Made in Italy. E di medie imprese come quella guidata da Francesco Mutti, che si muove nella stessa direzione, sia pure con taglia oggi diversa. L’imprenditoria italiana sta cambiando, e non solo per via di un ricambio generazionale che diventa sempre più visibile, ma per essere all’altezza di tempi interessanti e di sfide insieme più dure e più avvincenti. Nel mondo post pandemia la nostra Italia può giocare da protagonista, lo dico con fiducia ragionata, ma anche con quel tanto di comportamento da tifoso che in questa partita proprio ci vuole.