Il corpo e la macchina. Una storia lunghissima, costellata di domande, speculazioni, fantascienza ed iperrealismo. Quanti anni sono passati da Asimov alle macchine a guida autonoma, da Hugo Cabret alle mani bioniche artificiali. Abbiamo costruito macchinari inutili (al lavoro produttivo ed utilitaristico) con Jean Tinguely, e macchine decisamente utili come le stampanti 3D che confezionano valvole cardiache a minori costi. Ci siamo chiesti che sentimenti possano provare, questi congegni, abbiamo sperato li potessero provare, e ci speriamo ancora. Abbiamo introdotto l’erotismo nell’universo robot, insinuando il concetto di sesso tra uomo e macchina, e poi lo abbiamo socialmente denigrato – ma è impensabile che la questione resti così per sempre. L’account Instagram di Geumhyung Jeong, artista di Seul del 1980 (l’età è un fattore importante per questo tipo di ricerca, perché indica la sua appartenenza ad un vecchio mondo, ad una generazione ancora fortemente analogica, polarizzata nei generi sessuali, fuori dal web), ha come immagine il suo indice che preme il seno in plastica di un manichino sprovvisto di capezzolo. È un’indicazione: Geumhyung porta il suo mondo interiore su un palco visuale del tutto a-sessuale. I suoi manichini non sono mai uomini o donne ma semplicemente oggetti che replicano corpi, teste, braccia, gambe, collegate a porzioni di macchina, chassis che si muovono lentamente sulle loro ruote un po’ giocattolo, un po’ veritiere, con fili e meccanismi in vista. La sua robotizzazione della realtà, che ha molto a che fare con il movimento, è ancora primordiale, come quei super computer IBM che vediamo nei film della prima NASA, e ci ricordano che il robot ha a che fare con l’umano e che siamo all’alba di un nuovo momento storico, e come ogni volta dovremmo avere la capacità di essere così saggi da non voler correre; e come ogni volta inciamperemo. La voce di Geumhyung Jeong è interessante per questo: parla di futuro in un modo che sembra del tutto passato, per nulla attuale. Ci porta nel mondo robotico con occhi analogici e fisici, cercando correlazioni spaziali, nel movimento di queste macchine imperfette ed embrionali, e in tutto questo ci pone una domanda: come sarà il futuro quando queste macchine smetteranno di essere così primordiali? Cosa ne sarà delle relazioni e del nostro modo di intendere questa socialità, quella di uomini che si muovono nel mondo e che verranno sempre più intermediati da macchine? Un giorno l’artista Richard Prince in un’intervista disse una cosa molto ovvia e al contempo molto significativa. Faceva più o meno così: «i social network che usiamo tanto oggi sono stati creati, ideati, programmati da ragazzini di vent’anni. Ti ricordi che cos’eri a vent’anni? È come se gli strumenti più utilizzati della contemporaneità avessero dentro quella visione del mondo invincibile e terribilmente velleitaria di chi è appena uscito dall’adolescenza». Ecco perché è utile guardare al futuro che ci appare sempre più liquido con gli occhi di una ragazza del 1980: da chi vorreste venisse programmato il robot che terrà compagnia a vostra madre ultranovantenne o quello con cui farete l’amore in una casa di appuntamenti? Da un ventenne o da un quarantenne? La domanda non è così assurda come può apparire. Quando si guarda una performance di Geumhyung Jeong, macchine che si muovono avanti ed indietro a fatica, movimenti sinuosi o minimi, non si può non avvertire con chiarezza una cosa: l’empatia. Un sentimento che non ha nulla di robotico, e che è definitivamente umano. L’empatia scomparirà, lo sta già facendo. Pochi giorni fa un ragazzo è stato accoltellato nel tentativo di soccorrere una ragazza aggredita per strada: quella è l’empatia, ossia la capacità di porsi nello stato d'animo o nella situazione di un altro individuo. È facile pensare che se avessero reagito più persone, anziché una sola, quella coltellata, per fortuna non mortale, non sarebbe partita. In altri termini, se più persone avessero provato empatia, una rete più solida, più avvolgente, più forte, sarebbe calata su quella strada, riducendo gli effetti collaterali di questa brutta storia. Questo ci insegna Geumhyung Jeong, che il mondo di domani, per noi tanto impronosticabile, sarà ancora vivibile se sapremo tenere aperte le relazioni umane: l’uomo è tale perché comunica, ossia, dal latino, perché «mette in comune», «compie il suo dovere con gli altri (composto di cum insieme e munis ufficio, incarico, dovere, funzione)». Questo sono i robot di Geumhyung, un monito per l’uomo che saremo.