Professor Geraci, ormai si parla apertamente di Guerra Fredda bis tra Cna e Stati Uniti. Anzi, sembra l’unico punto su cui concordano Democratici e Repubblicani. L’Australia si dota di sommergibili a propulsione nucleare, in compenso i caccia cinesi violano a centinaia i cieli di Taiwan.  Dobbiamo dar l’addio una volta per tutte alla coesistenza tra le superpotenze? E con quali prospettive? «Vista dalla Cina la temperatura mi sembra meno calda. Da più di un anno a questa parte assistiamo ad un’escalation di accuse da parte americana. Ma i cinesi tendono a non reagire. Per un motivo semplice. Buona parte delle accuse riguardano, dagli Uiguri ad Hong Kong, questioni che Pechino giudica di politica interna, in cui non vengono tollerate incursioni altrui. Noi non giudichiamo, mi dicono, la repressione degli afroamericani in Alabama od il divieto di aborto in Texas. Né, peraltro, ci esprimiamo sulla mafia in Sicilia».

Si può dissentire con questo ragionamento, ma è comunque saggio stare ad ascoltare il parere di Michele Geraci, ex sottosegretario allo Sviluppo Economico nel governo gialloverde, protagonista di primo piano dell’accordo con Pechino sulla Via della Seta, presto finito nel dimenticatoio. Da allora Geraci, laureato in Ingegneria elettronica a Palermo, un master alla Sloan School del Mit, una lunga esperienza in banche d’affari (Bofa, Merrill Lynch, Donaldson Lufkin & Jenrette) si è concentrato sull’insegnamento a Shanghai, presso la New York University, e alla Nottingham Ningbo China, due influenti Think Tank del Celeste Impero.

∞ Non è facile, professor Geraci, capire quel che sta effettivamente accadendo in Cin: crisi immobiliari, rigurgiti moralistici, repressioni delle minoranze e frenata dell’economia. Siamo alla vigilia di grandi cambiamenti?

Francamente non ci credo. La situazione, vista dall’interno, è di grande stabilità e di consenso al regime. Se ci fossero, per paradosso, le elezioni, il presidente Xi le vincerebbe alla grande perché interpreta un sentimento diffuso.

∞ Cioè?

La Cina è ancora un Paese che tende al socialismo. Ma il tragitto, come sempre in politica, non è una linea retta, bensì si procede a zig-zag, con accelerazioni e passaggio di vario tipo, magari al limite della legalità. Anche perché non è certo facile governare un Paese di 1,4 miliardi di abitanti in un momento così delicato, tra emergenze climatiche e pandemia.

∞ Magari a danno della libertà come l’intendiamo noi. A partire dalla libertà di stampa.

È un diritto che i cinesi non hanno mai avuto e di cui non molti sentono la necessità. Al contrario, la cosa più importante è la pancia piena.

∞ Senza dimenticare la crisi del mattone. Che effetti può avere il crollo di Evergrande o di altre immobiliari?

L’obiettivo è quello di far pesare il meno possibile la crisi sui risparmiatori e i proprietari delle case, scaricando il più possibile le responsabilità sugli speculatori, veri o presunti tali.

∞ È un segnale che le diseguaglianze stanno crescendo, alla faccia del socialismo?

È una percezione piuttosto che una realtà suffragata dai dati. Se pensiamo al rapporto città/campagna, l’indicatore più importante, la percentuale di distribuzione della ricchezza è la stessa di fini anni Settanta; in città il reddito è di 2,7 volte superiore alla campagna ove oggi vive il 40% della popolazione. Dal punto di vista statistico è molto difficile quantificare le disparità di reddito in città. M qui conta la percezione: l’ostilità popolare so è concentrata contro gli iper-miliardari. Ma, a mio avviso, non c’è una critica di classe contro chi si è arricchito. Il bersaglio è la corruzione ed i rapporti illeciti tra i potenti che consentono la creazione di ricchezze immeritate”.

∞ Non è una caratteristica solo cinese però.

Vero. Ma qui Xi JingPing si è rivelato molto abile nel cavalcare il sentimento popolare, prima con le campagne contro la corruzione, poi contro i superricchi. Non si tratta di punire il benessere ma di far ripartire l’ascensore sociale, come non avviene quasi più in Occidente.

∞ La campagna avrà ripercussioni sul lusso. Il made in Italy ha di che temere?

Penso di sì. Mi sembra scontato che i ricchi dovranno adottare uno stile di vita più sobrio. Almeno per un po’.

∞ Parlando di made In Italy, le intese raggiunte durante la visita di Xi in Italia sono rimaste sulla carta. a che punto sono oggi i nostri rapporti con Pechino?

Scarsi, quasi inesistenti, I cinesi non hanno alcuna fiducia in quello che arriva da Roma perché hanno capito che non c’è un vero interesse da parte nostra, semmai solo un po’ di propaganda. A Pechino non si capisce cosa noi vogliamo per davvero.

∞ Le cose possono migliorare?

Senza presunzione, credo che senza di me sia difficile, Mica perché io disponga di arti magiche, ma Xi ha capito che Geraci non è un partigiano pro-Cina come viene dipinto, ma uni che si preoccupa del business delle imprese italiane, Sono convinto che senza la Cina l’Italia non abbia alcuna possibilità di avere un’effettiva ripresa dell’economia. È come se negli anni Cinquanta avessimo fatto a meno del rapporto con gli Stati Uniti.

∞ Quanto vale l’interscambio con Pechino?

Secondo i miei conti il nostro export è almeno tre volte quel che appare dalle statistiche ufficiali. Parliamo di 38 miliardi di euro. Ma la porta di Pechino è la strada per raggiungere i Paesi del Far East che tutti assieme valgono altrettanto. Per non parlare dell’Africa.

∞ Gli italiani però sono ben presenti o no?

L’assenza di una rappresentanza adeguata si fa sentire anche perché non abbiamo grandi aziende. Certo, ci sono le PMI. Alcune, penso a Lavazza, fanno un ottimo lavoro con buoni profitti. Ma non c’è la ricaduta di sistema. Talvolta per colpa loro.

∞ In che senso?

Ma lo sa che qui c’è una delegazione del Molise? Che cosa volete che combini a Shanghai. Un Paese serio, che vuol contare arriva con il presidente della Repubblica, con Mario Draghi che gode di alta reputazione ed una delegazione di operatori economici al massimo livello.

∞ Possiamo puntare sulla cultura?

Difficile, dati i precedenti. Di Maio a suo tempo ha sospeso i voli dalla Cina. Ha fatto bene, gliel’avevo suggerito io. Ma si è dimenticato di avvertire i cinesi ed è uno sgarbo di quelli che non si dimenticano come la goffa figura della Lombardia che ha pensato di citare la Cina per danni. Ma per noi i cinesi sonio quelli che mangiano i topi. Difficile parlare di cultura.

∞ Torniamo alla Guerra Fredda. Lai non la vede?

No, anche se è un anno che noi Occidentali li provochiamo. Al punto che alcuni miei amici di Taiwan sono molto preoccupati: gli Usa, dicono, sono i nostri amici più fidati, ma ci aiuteranno se lo scontro di fa duro oppure se ne andranno come in Afghanistan? Insomma, c’è una politica che vuol risolvere i problemi. E ce n’è un’altra che, per vari motivi, non fa che crearne di nuovi. E poi?

 ∞ Già, poi?

Il parallelo con la Guerra Fredda non regge. La Cina non è la vecchia Urss, ma un Paese ben collocato nello scacchiere dei rapporti economici con relazioni solide in Asia centrale, Africa, Nuova Zelanda. È un’illusione che possa finire in un vicolo cieco come la vecchia Unione Sovietica.