A metà del secolo scorso pochi capirono l’importanza che i container navali avrebbero avuto per l’economia globale. Nel 1956 un imprenditore dei trasporti su camion, Malcolm McLean, ebbe la geniale idea di caricare l’intero contenitore delle merci su una nave, anziché le merci prese singolarmente. Fu l’inizio di una rivoluzione che permise di trasportare più beni su navi sempre più giganti, di fluidificare gli scambi commerciali, di aumentare i traffici nei porti maggiori come Amburgo, New York o Singapore. Oggi il 90% dei commerci transcontinentali avviene su navi cargo. Sono le “scatole” che hanno reso “piccolo il mondo e grande l’economia mondiale”.

Un’altra scatola che rende il mondo più piccolo (e più grande) ce l’abbiamo in tasca: lo smartphone. Sono passati solo dieci anni dal lancio della sua versione più famosa ed iconica, l’iPhone, introdotto sul mercato il 29 giugno 2007 a Cupertino. Ma sono bastati perché oggi ci siano più dispositivi mobili nel mondo di quanti sono i suoi abitanti: oltre 8,1 miliardi (uno in più ogni secondo che passa), contro 7,2 miliardi di individui stimati. Una rivoluzione che ha prodotto effetti spesso trascurati perché, come ha osservato Leif Wenar, docente di filosofia e legge al King’s College di Londra, “spesso i nostri desideri sono così potenti che dimentichiamo i vortici di molecole che rendono possibile soddisfarli” (Il re nero, Luiss University Press, 2016). In tutte le macchine elettroniche, inclusi smartphone, tablet, e laptop, si fa grande uso di alluminio e silicio, litio per le batterie, stagno nelle saldature, tungsteno per la vibrazione, metalli rari come ittrio e lantanio negli schermi e nella fotocamera, rame e oro (oltre a idrocarburi raffinati e lavorati). Si tratta di metalli superconduttori, la cui catena produttiva inizia nelle miniere africane, europee, americane, asiatiche e si può concludere con una ricerca su Google, un selfie su Instagram, un post su Facebook e Twitter o l’acquisto di un libro su Amazon: tutti colossi del capitalismo digitale incubati nella mitologica Silicon Valley.

Ci sarebbero gli estremi per rinnovare sospetti e accuse di sfruttamento coloniale. Ma l’aura buonista che ammanta l’industria digitale, “sociale” e “sostenibile”, l’ha finora sottratta al maltrattamento riservato in secoli recenti a settori caratteristici del progresso umano e responsabili della maggiore interdipendenza tra blocchi economici. Come è sempre capitato dal XVIII secolo in poi, da quando lo zucchero coltivato su larga scala ai Caraibi, pilastro dell’impero britannico e manna dell’élite inglese, fu oggetto del primo boicottaggio etico in stile no global perché a raccoglierlo erano gli schiavi comprati in Africa. “Se acquistiamo il prodotto siamo complici” scriveva l’attivista William Fox in un pamphlet del 1791 contro i mercanti, i padroni di schiavi e i negrieri. “Per ogni chilo di zucchero che usiamo, è come se consumassimo mezz’etto di carne umana.” Arduo rintracciare un simile j’accuse nell’era digitale. Tuttavia un lato controverso c’è, perché il commercio di minerali, quando è sregolato, fornisce guadagni a organizzazioni terroristiche e apparati paramilitari, in particolare in centro Africa, nel nord est della Repubblica democratica del Congo, dove ci sono molte miniere. Il Congo proviene da due guerre civili laceranti ed è uno dei paesi con il più basso PIL pro-capite al mondo.

Dai paesi confinanti, come il Rwanda, penetrano miliziani per approvvigionarsi di minerali utili all’industria elettronica da vendere sul mercato nero. L’Amministrazione americana dell’ex presidente democratico Barack Obama in una disposizione del Dodd-Frank Act - una massa di vincoli che ha snervato il sistema finanziario - invocava una regolamentazione della filiera per i maggiori produttori di hardware.Il provvedimento è stato oggetto di critiche, per via del rischio di danneggiare sia i mezzi di sostentamento dei minatori congolesi sia la competitività economica delle aziende tecnologiche americane. Secondo il sito Cipher Brief il suo successore repubblicano, Donald Trump, volendo riformare l’atto potrebbe assumere un atteggiamento più blando, con l’esito di accordare un processo di autoriforma
da parte del governo congoles. Per questo qualcuno rinuncerebbe al pc o all’iPhone, come l’attivista Fox fece con lo zucchero?

In Afghanistan il movimento di guerriglieri talebani e il governo di Kabul si disputano le abbondanti risorse minerali di un territorio in guerra da così tanto tempo che chi è nato nel 2001, con l’inizio dell’operazione militare americana “Libertà duratura”, tra due anni sarà in età di leva e potrà partecipare alla missione (incompiuta). Un resoconto del 1932 sul giornale ufficiale locale Anis prevedeva che le risorse minerali afghane - oro, petrolio, ferro, rame  - avrebbero ricoperto una “importanza crescente nel mondo di oggi domani”e nelle “future rivoluzioni economiche”. Sette anni fa gli Stati Uniti avevano scoperto che c’è l’equivalente di 1.000-3.000 miliardi di dollari in risorse minerali vergini, pietre preziose comprese. Per il presidente Hamid Karzai si arriverebbe a 30 mila miliardi. Un memo interno del Pentagono parlava dell’Afghanistan come l’“Arabia Saudita del litio”, un metallo strategico essenziale per batterie perché garantisce migliori performance di durata, usato anche nelle automobili Tesla di Elon Musk.

E che dire dei cavi sottomarini, il cuore delle grandi infrastrutture strategiche del mondo sempre connesso, ultima spiaggia della globalizzazione? Se nel Novecento le ferrovie hanno funzionato da “alimentatore dei commerci oceanici”, nella definizione di uno dei padri della geopolitica, Halford John Mackinder, i cablaggi sottomarini sono la rete che alimenta l’economia della informazione, fino alle “scatole” degli smartphone.

Oggi le grandi compagnie come Google, Amazon, Facebook e Microsoft sono diventate esperte nella posa di cavi sottomarini e spesso si alleano per realizzare opere molto costose: richiedono la costruzione di cavi stratificati lunghi decine di migliaia di chilometri, poi sfilati da enormi navi posacavi in viaggio per mesi sugli oceani. Per esempio Facebook e Microsoft si sono alleate per collegare la Virginia alla Spagna con un cavo transatlantico. Google e Facebook stanno lavorando a un cavo tra Los Angeles e Hong Kong. Google guida un consorzio che connetterà Singapore all’Australia e ha collegato il Giappone all’Oregon: quest’ultimo è il cavo con la maggiore capacità di trasmissione esistente, di 60 terabits al secondo pari a circa 1.600 dvd che possono essere trasmessi attraverso l’oceano Pacifico ogni secondo. La stessa velocità a cui viaggiano i dati, gli ordini di acquisto e le informazioni sulle preferenze dei consumatori.

Con la piattaforma MetroPulse collegata al sistema di intelligenza artificiale Watson, in onore del fondatore Thomas, la Ibm fornisce informazioni a 6.000 clienti di ogni settore industriale sul comportamento dei consumatori. “Ci sono molti dati che tutti noi condividiamo attraverso gli smartphone. Abbiamo la Weather company (stazioni meteo), in media una persona controlla il meteo cinque volte al giorno e con la geo-localizzazione è possibile sapere che c’è un dispositivo in un dato posto in un esatto momento. Questo, combinato con le informazioni che arrivano da società telefoniche, fonti governative, pubbliche, private e social network, permette, sempre nel rispetto delle norme sulla privacy, di capire il movimento delle persone e che cosa si dice sui social in un momento molto preciso in un punto ben definito”. Il mondo, insomma, oggi si muove sfiorando un touch screen.

 

“Spesso i nostri desideri sono così potenti che dimentichiamo i vortici di molecole che rendono possibile soddisfarli.” Leif Wenar, (Il re nero, Luiss University Press, 2016)