Cronistoria recente a tappe a cura de «Il Giornale dell’Arte» sul grande tema delle «Restituzioni», e sul ruolo della cultura in un’epoca post-coloniale. Volutamente rapsodico, il pezzo ripercorre un anno di rapporti diplomatici e culturali, per lo più, tra Europa ed Africa sul difficile tema del «restituire».

 

Restituzioni all’Africa: la Francia non si arrende

24 novembre 2020 di Luana De Micco.

Il 6 ottobre il Parlamento francese ha votato una legge che prevede la restituzione al Benin e al Senegal di manufatti che furono bottino di guerra in epoca coloniale. Il trasferimento in Benin riguarda 26 reperti del «Tesoro di Behanzin» portati via dall’esercito coloniale francese nel 1892, in occasione del saccheggio del Palazzo Abomey. Tra loro, tre statue di re, scettri, troni e quattro porte con bassorilievi che sono entrate nelle collezioni del Musée du quai Branly. Il Senegal ritroverà la sciabola attribuita a El Hadji Omar Tall, condottiero e capo spirituale dell’impero Toucouleur, sconfitto dai francesi nel 1864. L’oggetto, che appartiene al Musée de l’Armée, è oggi esposto nel nuovo Musée des civilisations noires di Dakar, inaugurato nel 2018. Il progetto di legge, che è stato ratificato in Senato il 4 novembre, è il risultato di un lungo processo iniziato, nel novembre 2017, da Emmanuel Macron in un discorso all’Università di Ouagadougou, in Burkina Faso, nell’intento più generale di rilanciare le relazioni politico culturali con i Paesi africani. È a quel punto che si sono gettate le basi delle «restituzioni temporanee o definitive del patrimonio africano all’Africa». Nel dicembre 2019, l’allora ministro francese della Cultura Franck Riester era poi partito per il Benin, dove si sta lavorando all’apertura di un museo nell’antico Palazzo Reale di Dahomey, per stringere accordi di collaborazione culturale con il presidente Patrice Talon. Nel 2018 un rapporto choc degli studiosi Bénédicte Savoy e Felwine Sarr aveva stilato l’inventario degli oggetti d’arte africana presenti nelle collezioni dei musei francesi censendone ben 46mila, entrati in Francia tra il 1885 e il 1960 per saccheggi o acquistati a costi irrisori, la maggior parte dei quali sono conservati al quai Branly. I due studiosi raccomandavano la restituzione «incondizionata» delle opere. Ma a distanza di tre anni dal discorso di Macron, Parigi non prevede nulla di tutto ciò. L’attuale progetto di legge è un testo ad hoc, che riguarda questi casi specifici, e non una legge di principio generale. In effetti, il testo ha deluso il presidente del Benin Talon che, come ha detto al giornale «Jeune Afrique», sperava in una «restituzione globale sulla base di un inventario preciso». […] «Non è un atto di pentimento o di riparazione, né una condanna del modello culturale francese», ha detto la neoministra della Cultura, Roselyne Bachelot, al momento del voto dei parlamentari. Il testo lascia molto scetticismo. Alcuni temono che si crei una sorta di reazione a catena, con il rischio di sollevare crisi diplomatiche: e se anche altri Paesi presentassero simili rivendicazioni? Che fare con le opere rinvenute in scavi archeologici passati? La questione è molto complessa. Emmanuel Kasarhérou, direttore del quai Branly, canaco di origine (melanesiano della Nuova Caledonia, Ndr) ed entrato in funzione a maggio, ha fatto notare in un’intervista al settimanale «Le Point» che non tutti gli oggetti acquisiti dalla Francia in epoca coloniale sono il risultato di saccheggi: «La nozione di restituzione implica un atto illegale in partenza, ha detto. La presenza di oggetti venuti da lontano nei musei è anche il risultato di scambi, di acquisti o di doni. A mio avviso, la restituzione è solo una delle soluzioni possibili. Un oggetto deve poter viaggiare, essere prestato, messo in deposito, oppure essere restituito se implica situazioni storiche sensibili».

 

I Paesi Bassi in prima linea sulle restituzioni

30 marzo 2021 di Catherine Hickley.

 

Nei Paesi Bassi l’iter per la restituzione degli oggetti d’arte legati all’epoca coloniale sta procedendo velocemente. Il 29 gennaio il Governo presieduto da Mark Rutte ha deciso che le operazioni per i rimpatri saranno gestite in modo centralizzato, mentre a dicembre 3,5 milioni di euro erano stati assegnati a un consorzio di ricerca composto dalla Vrije Universiteit di Amsterdam e da nove musei che analizzerà ogni aspetto della questione, da quelli pratici a quelli politici e storici, e produrrà un vademecum sulle procedure da adottare in materia. […] A capo del progetto di ricerca, della durata prevista di 4 anni, ci sono Susan Legêne, preside della Facoltà di Studi umanistici della Vrije, e Wayne Modest, direttore del Nationaal Museum van Wereldculturen (Nmvw, Museo Nazionale delle Culture del Mondo) secondo i quali circa il 40% delle collezioni etnografiche olandesi (circa 450mila pezzi tra Museum Volkenkunde di Leida, Tropenmuseum di Amsterdam e Afrika Museum di Berg en Dal) è riconducibile al colonialismo. «Analizzeremo l’origine dei manufatti, il tragitto che hanno percorso, se furono acquistati, trafugati, frutto di dono o scambi, quali elementi valutare per la restituzione e quali pratiche adottare. Infine, cercheremo anche un modo per fare i conti con il nostro passato», dice Modest, che però mette in guardia anche sul rischio di innescare una sorta di «gara» fra nazioni.

 

Un museo per i Bronzi del Benin restituiti dalla Germania

21 ottobre 2021 di Catherine Hickley.

 

Il Governo tedesco e la Commissione nazionale nigeriana per i musei e i monumenti hanno firmato un memorandum d’intesa che stabilisce un calendario per la restituzione dei manufatti trafugati nel 1897 dal Palazzo Reale del Benin nel corso di un’operazione condotta dall’esercito britannico. L’accordo apre la strada a un testo più formale, da firmare entro la fine dell’anno, e prevede il trasferimento della proprietà di circa 1.100 cosiddetti «Bronzi del Benin» dai musei tedeschi alla Nigeria nel secondo trimestre del prossimo anno. Lo annuncia Andreas Görgen, responsabile del Dipartimento della Cultura del Ministero degli Esteri tedesco: «Con questo accordo, abbiamo compiuto il prossimo passo importante. Al di là della questione delle restituzioni, stiamo definendo il futuro delle nostre relazioni di politica culturale con la Nigeria». Il protocollo d’intesa prevede anche un accordo quadro per progetti congiunti nel campo dell’archeologia, dell’istruzione e delle infrastrutture museali. La Germania ha accettato di contribuire alla costruzione di un nuovo museo, l’Edo Museum of West African Art, per ospitare i bronzi del Benin vicino all’Oba Palace, il Palazzo Reale di Benin City, nel Sud del Paese. Anche dopo il trasferimento della proprietà, alcuni bronzi rimarranno in Germania per volere del Governo nigeriano, spiega Görgen, che per conto del Governo tedesco ha firmato il documento ad Abuja, capitale della Nigeria. I 1.100 reperti che verranno restituiti l’anno prossimo appartengono ai musei tedeschi che conservano le più grandi collezioni di bronzi del Benin: i musei di Etnologia di Berlino, Stoccarda, Colonia, Lipsia e Amburgo. L’Ethnologisches Museum di Berlino ha il più consistente nucleo di bronzi del Benin in Europa dopo il British Museum e dei circa 520 oggetti provenienti dall’antico Regno del Benin presenti nelle sue raccolte, circa 440 sono riconducibili al raid britannico.

 

 

Le 26 opere che torneranno nel Benin

25 ottobre 2021 di Luana De Micco.

 

Solo per qualche giorno, dal 26 al 31 ottobre, il Musée du quai Branly espone le 26 opere che Parigi si prepara a restituire al Benin, in Africa Occidentale. Si tratta del «Tesoro di Béhanzin», sottratto come bottino di guerra dall’esercito coloniale francese nel 1892 nel saccheggio del Palazzo di Abomey, capitale del regno di Dahomey (l’attuale Benin). Esso comprende tre statue di re, scettri, troni e quattro porte con bassorilievi entrate nel museo etnografico del Trocadero nel 1893 e quindi, nel 2003, al quai Branly. […] I reperti raggiungeranno, forse prima di fine anno, il Museo di Ouidah, nell’attesa che vengano terminati i lavori del futuro Museo dell’epopea delle amazzoni e dei re di Dahomey. Un progetto lanciato ufficialmente lo scorso giugno e che sarà realizzato con la collaborazione e il sostegno finanziario della Francia, tramite l’Agenzia francese per lo sviluppo (Afd) e un investimento di 35 milioni di euro. Oltre alla realizzazione del nuovo museo, il progetto prevede anche la valorizzazione del sito di Abomey, patrimonio Unesco dal 1985. Costa d’Avorio, Ciad, Mali, Madagascar ed Etiopia hanno a loro volta avanzato formali richieste di restituzione a Parigi.

 

Restituzioni: c’è un modello austriaco

20 maggio 2022 di Flavia Forandini.

 

Newyorkese trapiantato in Europa, un dottorato in Storia dell’Arte a Princeton e uno in Giurisprudenza a Yale, Jonathan Fine, 52 anni, è il nuovo direttore del Weltmuseum, il Museo Etnografico parte del complesso museale del Kunsthistorisches Museum, nella capitale austriaca. Prima di giungere a Vienna, è stato a lungo curatore delle collezioni di Africa occidentale, Camerun, Gabon e Namibia al Museo Etnologico di Berlino e, dal gennaio 2020, è stato direttore di tutte le collezioni dell’istituzione tedesca. Prima sulle rive della Sprea e ora sulle rive del Danubio un tema che Fine si è trovato ineludibilmente di fronte è quello scottante della restituzione di manufatti provenienti da contesti coloniali.

 

In Austria finora il tema restituzione è stato strettamente collegato alle opere razziate nel periodo nazista, e un’apposita legge del 1998 ha prodotto in oltre vent’anni un continuo e ingente flusso di opere riconsegnate agli eredi dei legittimi proprietari: una gigantesca operazione basata su sistematiche ricerche sulla provenienza. Ora a livello internazionale l’attenzione è focalizzata maggiormente sui contesti coloniali. Il Weltmuseum ha 180 pezzi ascrivibili ai manufatti cosiddetti del Benin. Per lei quanto è importante il tema della provenienza?

 

È estremamente importante capire come gli oggetti del museo hanno lasciato il luogo in cui erano stati prodotti, quali sono stati i tragitti che li hanno portati altrove e come sono giunti a Vienna. Nel contesto coloniale, i bronzi del Benin sono in qualche modo un’eccezione perché, anche se non conosciamo i loro percorsi verso il mercato dell’arte, le circostanze di violenza che ve li fecero giungere dopo l’invasione britannica del Regno del Benin nel 1897 sono chiare. Sembra dunque un caso facile, ma vi sono molte zone grigie da valutare e la nostra collezione è in un certo senso particolare, perché comprende anche oggetti che gli Asburgo acquisirono nel XV o XVI secolo, non frutto di razzie.

 

Lei pensa sia moralmente accettabile tenere in mostra oggetti la cui provenienza non è stata chiarita, come sta facendo il Weltmuseum?

 

Direi che è importante che i musei non nascondano il loro problemi. Ma io non vedo un problema etico nell’esporre oggetti la cui provenienza non è nota, a patto che si tematizzi la questione. Credo sia invece irresponsabile esporre oggetti senza entrare nel merito della loro storia, là dove sussistano dubbi. Nel nostro museo per esempio i gruppi di oggetti dal Regno del Benin e dall’Etiopia hanno origini che vengono ben tematizzate e spiegate circa il perché e il come si trovano qui.

 

In quale misura potete avvantaggiarvi delle procedure della Commissione sulla provenienza e del comitato consultivo per la restituzione di opere razziate dai nazionalsocialisti?

 

La legge austriaca del 1998 è stata creata per risolvere la questione di alcune categorie di oggetti entrati nelle collezioni pubbliche in seguito a espropriazioni naziste e non restituite dopo la guerra. Vi sono alcuni princìpi che considero importanti e che possiamo mutuare da quegli organismi. Innanzitutto, che la ricerca sulla provenienza deve essere condotta in modo indipendente rispetto ai musei, e che nessun direttore o addetto di un museo può bloccare le ricerche o nascondere documenti. In secondo luogo, che anche la decisione di raccomandare o non raccomandare una restituzione è indipendente dal museo interessato. Un altro elemento che considero importante è che l’Austria ha compiuto il passo di ancorare in una legge le sue procedure riguardanti l’arte espropriata dai nazisti, il che significa disporre di un’approvazione democratica e non soggetta ai venti mutevoli che spirano da ambiti politici. In altre parole, c’è un chiaro insieme di criteri e c’è una chiara procedura, ed entrambi sono trasparenti. È un’importante distinzione rispetto ad alcuni altri Paesi europei. L’Austria ha una legge che permette la restituzione senza l’esplicita approvazione del Parlamento per ogni singolo caso e questo abbassa la barriera per le restituzioni, però salvaguarda al tempo stesso la procedura da decisioni basate su criteri mutevoli. In Francia hai bisogno di un atto parlamentare per restituire qualcosa e questa è una soglia molto alta da varcare. In Germania il processo decisionale è essenzialmente politico. Non ritengo che i tedeschi procedano interamente a vista ma senza una legge i cambiamenti nell’approccio tendono a essere più possibili ed è molto più difficile per gli operatori del settore sapere quale sia la loro collocazione in questo processo. Queste differenze sono significative e perciò penso sia importante approfondire alcuni precedenti creati dall’Austria per il contesto nazista, e vedere come potrebbero applicarsi a questioni poste da oggetti coloniali. Non posso prevedere o prevenire ovviamente le conclusioni del comitato, ma penso che la legge sulle espropriazioni naziste potrebbe aiutare a stilare norme per le restituzioni coloniali, e comunque mi pare che l’iniziativa della segretaria di stato Mayer circa i manufatti coloniali dimostri un positivo impegno del Ministero della Cultura e del Governo rispetto alla questione.

 

Il Weltmuseum restiuirà i bronzi di Benin?

Il dialogo con la Nigeria è in corso e quindi non ho una risposta definitiva. Tuttavia, sarei molto sorpreso se non raggiungessimo una soluzione simile a quella di altri Stati europei. Un esito in questa questione potrebbe anche aprire nuove vie per mostre collaborative con le autorità nigeriane, per esempio con il Museo Nazionale di Lagos, che ha una collezione semplicemente straordinaria, senza eguali al mondo per qualità, ampiezza e profondità, e poco esposta al di fuori della Nigeria. E vi sono molti altri eccellenti musei in tutta l’Africa: in Senegal, Namibia, Sudafrica, Camerun...

 

Il Weltmuseum possiede anche un altro manufatto oggetto di contesa, la «corona di Montezuma», registrata nell’ultimo scorcio del XVI secolo negli inventari dell’arciduca Ferdinando II del Tirolo e sempre rimasta in Austria. È un tema che ricorre ormai da molti anni, e recentemente un gruppo di attivisti ha nuovamente richiamato l’attenzione sull’importanza che quel manufatto riveste per il Messico.

 

Dal punto di vista storico, per la conquista dell’Impero azteco e dell’America centrale da parte della Spagna siamo di fronte a un innegabile contesto di violenza e distruzione; diciamo anche che è del tutto oscuro come la Corona lasciò quei luoghi. Va detto inoltre che anche in contesti molto violenti è possibile e pensabile che avvenissero scambi e doni. Penso inoltre che si tratti di un oggetto che è stato in Austria per oltre 4 secoli, che cioè oggi esiste perché è stato parte delle collezioni asburgiche. Detto questo, io credo che quell’oggetto dovrebbe essere reso disponibile per i messicani, affinché godano della sua vista in Messico. Sfortunatamente i conservatori sia messicani sia austriaci che l’hanno esaminata hanno affermato che l’oggetto non sopravviverebbe al viaggio, per via della sua estrema fragilità. L’iridescenza color smeraldo delle oltre 400 piume di quetzal in strati sovrapposti è per esempio data dal fatto che sono in parte attorcigliate e ritorte, e questo le rende massimamente fragili. Pensi che durante la nostra ultima mostra sugli Aztechi, fra il 2020 e il 2021, l’esposizione era al piano terra, ma per vedere il pezzo più importante, cioè la corona, dovevi salire al primo piano: non poteva essere spostata. Sappiamo che molti musei hanno usato lo stato di conservazione di oggetti come mezzo per evitare di restituirli o prestarli, perciò, mi rendo conto che possa essere difficile credere a quanto dico, ma è un tema che ho discusso molto molto ampiamente con i conservatori. Contrariamente ai bronzi del Benin, che non presentano problemi di trasporto, la corona non resisterebbe alle vibrazioni e men che meno a eventuali urti. Non è come con dei dipinti, dove puoi intervenire se si stacca del colore o si danneggia: le barbe delle piume si staccherebbero.

 

Il Metaverso di Macron-bis

14 giugno 2022 di Luana De Micco

 

Da poco rieletto, il presidente francese rilancia le restituzioni, nuove commesse pubbliche per i giovani artisti e l’estensione del Pass Culture a tutti i ragazzi, oltre a un «metaverso europeo». Ma imbarazzano i rapporti con l’Arabia Saudita. Sul piano internazionale, Macron ha avviato nel 2018 un laborioso processo di restituzione delle opere d’arte africane saccheggiate all’epoca della colonizzazione, che si è concretizzato, fine 2021, con il rimpatrio in Benin del «tesoro di Behanzin», 26 oggetti preziosi che appartenevano al Musée du quai Branly e di recente esposti per la prima volta al Palais de la Marina di Cotonou, residenza ufficiale del presidente della Repubblica del Benin. La Francia si è impegnata inoltre a finanziare la costruzione del futuro museo di Abomey (l’antica capitale del regno di Dahomey, fondato nel 1625 e caduto con l’occupazione francese alla fine del XIX secolo; i suoi palazzi reali sono Patrimonio Unesco, Ndr) che accoglierà le opere. È stata poi votata a febbraio la legge che autorizza la restituzione di 15 opere dei musei francesi agli eredi delle famiglie ebree alle quali erano state sottratte dai nazisti, tra cui «Rose sotto gli alberi», l’unica tela di Gustav Klimt del Musée d’Orsay.

 

«Un accordo si potrebbe fare» con la Grecia per i marmi del Partenone

16 giugno 2022 di Gareth Harris

 

George Osborne, presidente dei trustees [consiglieri d'amministrazione, ndr] del British Museum, ha dichiarato che un «accordo si potrebbe fare» sulla condivisione dei marmi del Partenone con la Grecia, alimentando l'annoso dibattito sulla riunificazione delle opere del V secolo A.C. ospitate nel museo londinese dall'inizio del XIX secolo. In un'intervista rilasciata ieri ad Andrew Marr durante una trasmissione all'emittente radiofonica LBC, Osborne ha dichiarato che «potrebbe essere stipulato un accordo che permetta di raccontare entrambe le storie, ad Atene e a Londra, a patto che ambedue le parti affrontino la questione senza troppi preconcetti e condizioni... Da persone ragionevoli si potrebbe organizzare qualcosa che valorizzi al massimo i marmi del Partenone, ma se una delle due parti non è aperta al dialogo, allora l'accordo non ci sarà mai». Quando Marr ha chiesto se alcuni dei marmi potessero «essere spostati in Grecia almeno per un po’ prima di tornare a Londra», Osborne ha risposto che «questo tipo di accordo» potrebbe essere adatto, anche se non può «parlare a nome di tutti gli amministratori del British Museum». L'anno scorso Boris Johnson, dopo aver incontrato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, ha chiarito che spetta ai consiglieri del British Museum la decisione di restituire (o meno) i marmi del Partenone alla Grecia. In quell'occasione un portavoce del governo aveva dichiarato al quotidiano «The Guardian»: «Il British Museum opera in modo indipendente dal governo. È libero, giustamente, da interferenze politiche... Qualsiasi questione sulla collocazione delle sculture del Partenone è di sua competenza». […] Nel frattempo, le comunità greche e gli studiosi di tutto il Regno Unito si riuniranno al British Museum il 18 giugno per chiedere la riunificazione delle sculture del Partenone. La protesta, organizzata dal Comitato britannico per la riunificazione dei marmi del Partenone, segna anche il 13° anniversario dell'apertura del Museo dell'Acropoli di Atene. Le statue del V secolo a.C. sono conservate al British Museum dal 1816, dopo essere state rimosse dal tempio del Partenone sull'Acropoli dagli agenti che lavoravano per il nobile scozzese Lord Elgin, allora ambasciatore presso la corte ottomana, con il permesso del governatore ottomano di Atene. Le sculture sono esposte al British Museum dal 1817.

 

Storico accordo di restituzione tra Germania e Nigeria

5 luglio 2022 di Alessandro Martini

 

Dopo l’esempio della Smithsonian negli Stati Uniti, il Governo tedesco prosegue nel suo ambizioso programma di restituzioni, firmando un accordo chiave che trasferisce la proprietà di oltre 1.100 opere alla Nigeria. Due dei manufatti in bronzo del Benin, una testa di re (o «oba») e una targa del XVI secolo, sono stati consegnati ai rappresentanti nigeriani durante un’apposita cerimonia il primo luglio. All’appuntamento di Berlino, il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha dichiarato: «I bronzi del Benin tornano a casa... È stato sbagliato appropriarsi di questi manufatti e trattenerli per 120 anni». L’ambasciatore della Nigeria in Germania, Yusuf Tuggar, ha twittato che «è stato un giorno storico con la cerimonia della firma tra i Governi di Germania e Nigeria per il trasferimento incondizionato della proprietà di 1.130 pezzi culturali dei Bronzi del Benin. La Germania ha aumentato il proprio impegno per riparare ai torti coloniali. Inizia una nuova era nella diplomazia culturale». L’accordo pone fine a decenni di dispute sui manufatti in bronzo e avorio (i «Bronzi del Benin» comprendono anche oggetti in ottone e avorio e non solo in bronzo) saccheggiati dall’esercito britannico nell’attuale Nigeria meridionale nell’ambito di una spedizione punitiva nel 1897. Dagli anni ’60, la Nigeria ha ripetutamente chiesto il loro rimpatrio. L’anno scorso, il Governo tedesco e la Commissione nazionale nigeriana per i musei e i monumenti hanno firmato un memorandum d’intesa che stabilisce un calendario per la restituzione dei manufatti saccheggiati dal Palazzo reale del Benin. […] Baerbock ha spiegato che un console e uomo d’affari tedesco, Eduard Schmidt, acquistò la testa di un oba un paio di settimane dopo il saccheggio del 1897. «Con lui, il bronzo arrivò in Europa. Questa è una storia di colonialismo europeo. Non dobbiamo dimenticare che la Germania ha avuto un ruolo attivo in questo capitolo della storia recente». I 1.100 reperti da restituire appartengono a diversi musei tedeschi che oggi detengono le maggiori collezioni di Bronzi del Benin: i musei etnologici di Berlino, Stoccarda, Colonia, Lipsia e Amburgo. Il Museo Etnologico di Berlino possiede il più grande nucleo di Bronzi del Benin in Europa dopo il British Museum. […] Ma non tutti gli oggetti contesi saranno restituiti. «Non tutti i Bronzi presenti nelle collezioni dei musei tedeschi torneranno immediatamente in Nigeria. La parte nigeriana si è dichiarata disposta a lasciare alcuni manufatti qui in prestito, in modo che possano continuare a essere esposti in Germania. Questo è un gesto molto speciale di fiducia e di amicizia tra i due Paesi» […].

 

 

 

 

Non decolla il piano di restituzione francese all’Africa

14 luglio 2022 di Gareth Harris

 

Sono passati quasi cinque anni da quando il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato il suo piano «rivoluzionario» per restituire il patrimonio africano al continente. La sua dichiarazione in Burkina Faso, nel novembre 2017, secondo cui «il patrimonio africano non può stare solo nelle collezioni private e nei musei europei» aveva riacceso il dibattito sui manufatti coloniali, ma da allora la posizione del Governo francese sulle restituzioni è «confusa», afferma l’attivista del Partito Comunista Pierre Ouzoulias, uno dei tre senatori francesi che stanno cercando di istituire una Commissione nazionale di esperti che verrebbe consultata su qualsiasi futuro caso di restituzione non europea. Dal 2017 la Francia ha rimpatriato 28 oggetti africani: una sciabola del XIX secolo al Senegal e 26 oggetti al Benin. Attraverso i canali diplomatici, aggirando il Parlamento, il Paese ha anche restituito la corona dell’ultima regina del Madagascar, Ranavalona III, come prestito a lungo termine dal Museo dell’Esercito francese. Il percorso di restituzione è stato comunque impervio. Nel dicembre 2020 il Senato si è scontrato con il Governo sulla legge per restituire al Benin e al Senegal i 27 manufatti di epoca coloniale presenti nelle collezioni museali. L’Assemblea nazionale e il Senato hanno approvato all’unanimità la legge in prima lettura nel dicembre 2020, tuttavia il mese precedente una Commissione congiunta di senatori e deputati non era riuscita a raggiungere un accordo sulla formulazione finale.

 

Decisioni caso per caso

L’Assemblea nazionale ha il potere di scavalcare il Senato, come ha fatto il 17 dicembre 2020 votando la legge sulla restituzione. In particolare, nel novembre 2020, durante un’audizione al Senato, l’allora ministra della Cultura Roselyne Bachelot aveva avvertito che il Governo intendeva mantenere il controllo sulle restituzioni, che dovevano essere decise «caso per caso», senza l’interferenza di una Commissione. La neoministra della Cultura, Rima Abdul-Malak, non ha risposto a una richiesta di commento.

 

Il 10 gennaio, il Senato francese ha approvato un disegno di legge, proposto dai senatori Catherine Morin-Desailly, Max Brisson e lo stesso Ouzoulias, per istituire la suddetta Commissione nazionale di esperti. Il progetto di legge propone anche di facilitare la restituzione dei resti umani presenti nelle collezioni pubbliche francesi. Non è ancora stata fissata una data per la discussione del progetto di legge all’Assemblea nazionale. Il progetto di legge del Senato potrebbe comunque essere presentato a partire da luglio, quando i nuovi legislatori si insedieranno all’Assemblea nazionale. La direzione che Macron prenderà è oggetto di dibattito tra gli esperti di rimpatrio. Alex Herman, autore di Restitution: The Return of Cultural Artefacts (Lund Humphries, 2021), afferma: «Guardo al discorso di Macron del 27 ottobre 2021 al Musée du quai Branly-Jacques Chirac di Parigi come a un’indicazione della direzione che probabilmente prenderà: nessuna Commissione nazionale, ma piuttosto un quadro per la “restituibilità” che consenta ai musei di prendere le proprie decisioni in materia di “deaccessione”, laddove giustificato».

 

Messaggi contrastanti

Nel frattempo, il presidente Macron aveva chiesto a Jean-Luc Martinez, ex presidente direttore del Musée du Louvre poi travolto da un pesante scandalo, di stabilire un quadro legislativo per le future restituzioni. Martinez, nominato un anno fa ambasciatore di Francia per la cooperazione internazionale sul patrimonio culturale (funzioni in parte sospese), come primo passo aveva effettuato un viaggio in Benin e Senegal. Ouzoulias ci ha spiegato i motivi dell’impasse: «La posizione del Governo sulle restituzioni, è confusa. Ha spiegato al Parlamento che non era possibile proporre una legge quadro e che preferiva attuare leggi eccezionali. Poi ha affidato a Martinez il compito di lavorare su un quadro legislativo. Martinez, sedutosi di fronte alla commissione del Senato, ha rifiutato di dire in cosa consiste».

 

Per un ulteriore approfondimento teorico abbiamo dedicato anche la rubrica «Il filosofo» di questo numero al tema con un articolo sempre a cura de «Il Giornale dell’Arte».