Chips, ma non solo. Dalle classifiche internazionali emerge che Far East e Gippone stanno rapidamente ribaltando la gerarchia tra le economie più avanzate dal punto di vista tecnologico. Fa impressione, sotto questo punto vista, il balzo in avanti della Corea del Sud passata dal decimo al quinto posto nella classifica del Global Innovation Index, l’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale che misura con vari parametri il grado di innovazione in 132 Paesi. Dietro la leadership di Svizzera, Svezia, UK e Stati Uniti si fa sotto la concorrenza asiatica: Singapore figura all’ottavo posto, la Cina sale alla posizione numero 12, davanti al Giappone al tredicesimo posto. Ma altri dati aiutano meglio a valutare l’avanzata del “secolo asiatico”.

Il club dei Paesi dalla crescita più rapida in termini di tecnologia comprende nelle prime cinquanta posizioni Turchia, Thailandia, Vietnam ed India.  Questi ultimi due Paesi, assieme alle Filippine, sono segnalati dall’organizzazione parigina quali «possibili new entry nella sfera dei grandi innovatori sistemici».

È un’avanzata a 360 gradi nell’economia del futuro, dal biotech all’elettronica al digitale. Ma il tuffo nel futuro è particolarmente evidente nel mondo a quattro ruote, dove, oltre al primato nella crescita dell’auto elettrica, favorita dal controllo delle terre rare da parte della Cina, brillano le esperienze di Toyota e Hyundai, entrambi grandi protagoniste della stagione dell’auto elettrica ma già proiettate sulla tecnologia dell’idrogeno, l’unica, secondo loro, in grado di risolvere il problema dell’inquinamento da diossido di carbonio. È questa la tesi che accomuna le due superpotenze dell’auto asiatica, divise da fiera rivalità ma concordi su un punto: l’idrogeno, per entrambi, è l’unica soluzione affidabile ed economicamente efficiente per la prossima generazione di veicoli. Una soluzione che, per certi versi, è   già realtà, inseguita in pratica solo dai gruppi asiatici (con l’eccezione di Bmw) che pure non lesinano l’impegno nei confronti nell’auto elettrica, a partire dalla realizzazione di batterie di nuovo tipo, in cui la sola Toyota investirà 14 miliardi di dollari entro il 2030.  Senza però crederci fino in fondo, a giudicare dalle parole di Akio Toyoda, il numero uno del colosso dell’auto giapponese, che non si fa troppe illusioni sulla portata della rivoluzione elettrica.

«Se vuoi raggiungere l’obiettivo della carbon neutrality – ha detto parlando ai colleghi dell’associazione dei costruttori nipponici – il nemico da battere è il diossido di carbonio, non i motori a combustione interna». È un’illusione, dunque pensare che l’elettrico sia una soluzione definitiva. Anzi, nel tempo porterà non pochi problemi, ha aggiunto, sfidando il pubblico con questa profezia sul futuro dell’automobile: «Non credo affatto che tra cento anni l’auto sarà ancora il mezzo più utilizzato per assicurare la mobilità delle masse».

Uno scenario futuribile per una sfida secolare in cui, ha ammonito «in cui non sarà importante stabilire chi vince o chi perde. Ma chi ce la farà a sopravvivere e chi no».  Un tono apocalittico all’apparenza esagerato, come si conviene ad un “paranoico di successo”, qualità che secondo Bill Gates è un requisito essenziale per primeggiare nel business dell’era digitale. E Toyoda, uno che è uscito vincente dalle crisi sistemiche che ha dovuto affrontare dal 2009 in poi (da Lehman Brothers al terremoto tsunami che ha distrutto gli impianti del gruppo o alle inondazioni che hanno reso inutilizzabili le fabbriche in Thailandia) è un manager che non si volta mai all’indietro, ma ama pensare ai traguardi da raggiungere domani, anzi dopo. Oggi sono almeno tre: la staffetta tra l’elettrico in arrivo a breve e l’idrogeno blu, la soluzione ideale l’ambiente; la realizzazione dell’auto a guida autonoma, un passaggio chiave per una nuova mobilità; la difesa della leadership dei costruttori di auto rispetto all’irruzione dei nuovi, più temibili concorrenti, da Waymo (costola di Google) ad Apple e ad Amazon, già pronta a sbarcare sulle strade con la start up Rivian.

Costruire un’auto sarà mica meno complicato di un Phone?

Per non parlare della rivale di Taiwan, il colosso della manifattura elettronica Foxconn, la fabbrica degli i-Phone il cui proprietario, mister Gou, improvvidamente disse nel 2014 «costruire un’auto sarà mica meno complicato di un Phone». Oggi si è ricreduto ed ha cambiato strategia coinvolgendo numerosi partner (tra cui Stellantis) per superare i problemi posti dalle quattro ruote. Nel frattempo, però, Toyota ha accettato la sfida. Il gruppo nipponico ha appena fondato una nuova compagnia, il Toyota Research Institute - Advance Development, con l’obiettivo di sviluppare un software originale per le auto a guida autonoma coinvolgendo nell’impresa 2.500 dipendenti. E in meno di un anno il gruppo ha registrato due volte e mezzo i brevetti di Waymo. E senza trascurare, grande novità, l’aspetto umano. E’ stato creato un board di nuova concezione: la piccola rivoluzione non riguarda tanto l’inclusione ai vertici di un disabile, tra l’altro vincitore di una medaglia alle Olimpiadi nel basket in carrozzella, tanto per tradurre in pratica i suggerimenti di chi soffre un handicap, bensì, grandissima novità, la scelta di una donna, la prima manager salita ad una posizione di vertice in Toyota.  A loro è affidata la guida di una rivoluzione non solo tecnologica che culminerà, ha anticipato Toyota, nel cambio del nome: da Toyota Motor company, industria dell’auto, a Toyota Mobility Corporation. «Un modo per spiegare – ha detto il ceo – che i nostri concorrenti oggi sono Google, Apple oppure perfino Facebook. Sono a loro che penso di notte. Senza dimenticare che Toyota non ha cominciato facendo auto».

E Seul cosa fa?

Non meno determinato appare il “nemico di Seul”, il numero uno di Hyunday, Euisun Chung che ha appena lanciato “l’onda dell’idrogeno”, con un obiettivo: pianificare una nuova generazione di veicoli, non solo auto sportive ma anche camion e droni, basata sulle celle a combustione, un sistema più economico e potente delle attuali tecnologie. «Senza l’idrogeno – sentenzia Chung – qualsiasi tentativo di combattere il cambiamento climatico sarà incompleto». E già progetta un futuro di treni, navi, ma anche di robot e di aero taxi urbani capaci di sfrecciare tra i grattacieli delle metropoli d’Asia.  «Vogliamo celle combustibili utili per tutti gli usi. E saremo pronti nel 2040». Ma ancor prima arriverà il crossover Nexo ed il camion Xcient Fuel Cell oltre una sportiva in grado di passare da zero a 100 all’ora in 4 secondi. Ma prima sarà necessario risolvere i problemi legati alla costruzione delle celle a combustione. Certo, ci vorrà una decina d’anni prima che, nel 2030, le fuel cells di nuova generazione siano competitive con le batterie per l’auto elettrica che precede il modello ad idrogeno di 10 o 15 anni. Ma già adesso il costo delle fuel cells è sceso del 98 per cento e presto si vedranno sulle strade d’Asia giganteschi Tir ad idrogeno guidati davanti e dietro da droni, anch’essi alimentati da idrogeno pulito. Qualcosa del genere è in cantiere anche presso Toyota, la prima a lanciare sul mercato un modello ad idrogeno, la Mirai, di cui ha peraltro venduto solo 16.200 esemplari. Ma già batte alle porte un’altra rivoluzione: un motore a combustione interna che, invece di consumare benzina, userà idrogeno. Una sfida ai coreani? «È una buona idea». «Auguri», è la replica da Seul di mister Chung. Hyundai e Toyota sono tra le pochissime aziende che possono puntare, per competenza e forza finanziaria, sia sull’elettrico che sull’idrogeno».  Sì, il secolo dell’Asia è cominciato.