Davide Quadrio, che vive a Shanghai dal 1991 e lavora tra Asia e Europa, è profondo conoscitore della realtà artistica dell’Estremo Oriente in tutte le sue sfaccettature. È fondatore e direttore di Arthub, piattaforma senza scopo di lucro con sede a Shanghai e registrata a Hong Kong, dedicata alla creazione e alla diffusione dell'arte contemporanea dal 2007, attiva sia in Asia che nel resto del mondo. Per la 13° Biennale di Gwangju, Corea del Sud, nell’aprile di quest’anno, ha prodotto e curato il progetto The Procession: Through the Gates, sorprendente parata inaugurale ricca di energia creativa. Ha fondato e diretto (1998-2010) il BizArt Art Center, primo laboratorio creativo indipendente senza fini di lucro a Shanghai, per promuovere la scena artistica contemporanea locale. È stato direttore artistico dello spazio creativo Bund18 a Shanghai dal 2005 al 2008. Dal 2020 è Visiting Professor allo IUAV di Venezia nel Dipartimento di Arti Visive e Moda.
È una figura di riferimento dell’arte contemporanea internazionale in Asia; data la prolifica e massiccia attività, definirlo curatore e produttore è riduttivo; è molto apprezzato anche il suo cinese, cosa non ovvia per molti occidentali.
La vita in Cina.
[Michela Moro] Com’era la Cina quando ci sei arrivato? Senza fare tutta la storia, qual è adesso il panorama?
[Davide Quadrio] Davide Era l’inizio degli anni ’90, sono stato principalmente a Shanghai e Pechino. Erano città nella fase germinale della rivoluzione economica che le avrebbe completamente stravolte meno di una decina di anni dopo. Shanghai sembrava una città ferma agli anni Trenta, con quartieri bassi di case in legno rosso… Pudong era il granaio della città e il fiume toccava ancora il Bund senza barriere architettoniche. Andare dall’Italia in Cina era tornare indietro nel tempo. Trent’anni dopo Shanghai è forse l’espressione efferata di un futuro distopico ma estremamente eccitante.
[MM] In Europa si parla genericamente di Far East, ma le realtà sono radicalmente diverse tra loro e, malgrado viaggi e tecnologia, ancora poco conosciute. Puoi farci qualche esempio di differenze tra i paesi che preferisci, e rispetto all’Europa?
[DQ] In generale l’Europa e il mondo occidentale sono piuttosto ignoranti rispetto all’Estremo Oriente. Se parliamo dell’asse Cina-Corea-Giappone potrei scrivere pagine e pagine di commenti e interpretazioni. Ho lavorato specialmente in Cina, ma spesso anche in Corea, come per l‘ultima Biennale di Gwangju, e in Giappone. Sono universi culturali che condividono aspetti sociopolitici e filosofici comuni, ma che hanno identità e sub-identità straordinarie. Pensiamo all’Italia e alle differenze tra regionalismi e identità linguistiche diverse accumunate dal Mediterraneo, che lega e collega. Così il Far East è una regione unita e divisa.
[MM] Dal punto di vista artistico la Cina ha fatto da traino nel corso degli anni? Quali sono adesso i paesi ‘emergenti’?
[DQ] È il sistema dell’arte occidentale che ha usato la Cina come luogo di espansione di un mercato potenziale, la Cina non ha fatto da traino. Questo avviene in maniera sistematica: Sudamerica, Indonesia, Filippine, recentemente l’Africa. Sento l’India entrare in una fase espansiva potente. Vedremo.
I paesi emergenti
[MM] Hai lavorato molto, e lavori, con artisti emergenti che esprimevano/esprimono una posizione politica – intesa in senso lato - attraverso il proprio lavoro. Quali sono i più interessanti tra i giovani?
[DQ] I collettivi intorno a BizArt avevano un valore politico già soltanto perché esistevano in un contesto che non aveva un sistema di “supporto” artistico per giovani emergenti. Per dodici anni BizArt è stato un luogo mitico dell’esercizio di produzione artistica continua: una specie di work-shop permanente. Gli archivi di BizArt e Arthub sono stati pubblicati due anni fa nel libro tripartito Shanghai Contemporary Art Archival Project 1998–2012, Arthub: From China to a Global Network 2008–2018, Aurora Museum and Arthub: Contemporary Art within a Historical Collection 2013–2016, Milano, Mousse Publishing, 2018.
Artisti come Xu Zhen, Yang Zhenzhong, Zhang Qing, Tang Maohong, Geng Jianyi, Zhang Peili, ma anche Qiu Zhijie solo per citarni alcuni, pochissimi rispetto al numero che è passato negli spazi di Bizart - letteralmente centinaia - sono tutti artisti che avevano e hanno uno spirito critico e politico graffiante.
Credo che questo rimanga nei loro lavori, ma essere politici non vuol dire solo essere nel lato “accusatorio” del sistema, ma anche all’interno di esso. Hanno integrato il loro drive politico mediandolo nella pratica. Credo che con l’esperienza sia importante entrare come voce autonoma, critica e fattiva in sistemi più grandi e pericolosi da un certo punto di vista, ma necessari, appunto, se si crede in un aspetto critico e di responsabilità verso i contenuti artistici e le possibili ripercussioni sulla società.
[MM] Ci parli della FarEastFarWest Collection, di cui sei parte fondante?
[DQ] La FarEastFarWest Collection, con sede a Shanghai, commissiona e acquisisce opere di arte asiatica contemporanea. L’idea è di costruire una collezione attraverso una produzione costante. Creata con il patron Eric Guichard (Tech founder, seed investor and contemporary art collector recita il suo profilo LinkedIn, n.d.r.) è stato il modo per affrontare la produzione artistica e curatoriale in maniera che si potesse storicizzare un periodo storico preciso in Cina e Asia, circa dal 2006 al 2013. La mostra Third Realm, al MoCP, Museum of Contemporary Photography, Chicago e alla Polygon Gallery di Vancouver, ha mostrato parte della collezione. Attraverso fotografia, film, installazioni e performance, le opere di artisti provenienti da Cina, Thailandia, Filippine, Giappone, Corea, Indonesia, Bangladesh, e i progetti sviluppati in Asia da artisti internazionali come Paola Pivi, presentano una visione dall'alto dell'arte asiatica contemporanea e del contesto in cui è realizzata. E’ stato un esperimento molto interessante e in qualche modo esplorativo per trovare supporto e capitalizzare un momento storico eccezionale in Asia.
E il mercato?
[MM] Come funziona il mercato nel Far East? Da qui si vede quanto le aste specializzate in arte orientale raggiungano cifre importanti, ma il resto del mercato?
[DQ] Nella mia pratica il mercato esiste lateralmente. M’interessano di più le contaminazioni con aziende e con strutture di produzione in cui innestare pratiche artistiche importanti. L’Asia mi ha insegnato ad andare oltre strutture semplicistiche e tabù rispetto a quello che è “culturale” e “commerciale”. L’oggetto artistico diventa commerciale nel momento in cui è costruito come tale, sia in un museo che in una galleria. A me interessa l’economia della produzione più di quella dell’investimento.
[MM] Le aste locali contano quanto le nostre?
[DQ] Certo. Voi vedete aste di case internazionali, Sotheby’s, etc., ma in Cina, come in Corea, Taiwan o Indonesia, ci sono case d’aste potentissime specializzate in arte contemporanea “tradizionale” (inchiostro su carta) che battono per milioni di euro. Nessuno le conosce in Italia, ma localmente sono imprescindibili.
[MM] Le gallerie più importanti dal tuo punto di vista?
[DQ] Ne cito alcune di Shanghai: ShanghART Gallery, Shanghai Gallery of Art, Antenna, Vanguard, MadeIn Gallery, Bank Gallery. Due sono state aperte da italiani: Capsule da Enrico Polato e Aike da Roberto Ceresia.
[MM] Il ‘sistema’ dell’arte funziona lì allo stesso modo che noi?
[DQ] Ormai molte cose si sono globalizzate, ma il tessuto culturale è molto complesso e diversificato. Contemporaneo è inteso in una maniera più eterogenea di quanto sia percepita in Europa, per esempio. Tecnologia, tradizione, internazionalizzazione sono tutti ingredienti di una ricetta complessa in Cina e in altri paesi asiatici.
Il collezionismo cinese
[MM] Come operano i collezionisti orientali? Hanno art advisors? Le collezioni sono interessanti?
[DQ] Come dovunque ci sono collezioni interessanti e orrende, ci sono collezioni come investimento e collezioni che parlano di un interesse profondo verso l’arte. Molti collezionisti aprono musei come il Tank Art Center a Shanghai, il Yuz Museum, e ancora il Long Museum, il HOW Art Museum… sono operazioni immobiliari integrate con lo sviluppo della città di Shanghai.
[MM] E le gallerie occidentali che lavorano in Cina sono ben inserite nel panorama locale? Sono punti di riferimento per i collezionisti?
[DQ] Interessanti per me sono le gallerie che hanno aperto in Cina dall’interno, diventando appunto punti di riferimento locali.
[MM] Quali sono secondo te i musei più interessanti?
[DQ] Parlo ancora di Shanghai, i musei in città sono ormai centinaia e parlare di tutta la Cina sarebbe impossibile. Power Station of Art è il museo pubblico super interessante e vibrante, sede della Biennale di Shanghai; altri musei li abbiamo citati, poi c’è Aurora, che ho curato per quattro anni, con un’incredibile collezione di arte antica, e lo Shanghai Museum… ogni mese apre qualcosa di nuovo.
[MM] Le realtà online sono ben sviluppate?
[DQ] Sì, sviluppatissime ed efficientissime.
[MM] L’Italia è un buon recettore di arte orientale contemporanea?
[DQ] L’Italia è ancora sospettosa rispetto all’arte contemporanea, in generale. Come molti paesi in Europa, l’Italia ha una visione esorcizzante e semplicistica del mondo a Est - Che comprende cosa? Qual è l’immaginario asiatico, Cina come Giappone come Tailandia come Indonesia come Mongolia? - Dopo venticinque anni in Cina ho ritrovato un’Italia ancora poco informata di quello che avviene nel cuore del futuro economico e sociopolitico in Asia. Bisogna studiare, capire ed entrare in reale conoscenza con altre culture per cambiare l’asse culturale intorno a cui ruotiamo. C’è paura di quello di cui non si hanno riferimenti per comprendere, e si generalizza appiattendo. Mi sembra che sia ancora molto così. Un consiglio per gli amici collezionisti: invece che comprare è meglio partecipare al processo creativo, permettendolo. Gettatevi nei progetti con gli artisti e i cultural producers (definizione che mi piace più di curatore): è li che l’arte si fa vera, inspirante e realmente trasformativa. Si viaggia assieme per un periodo. È una bella metafora di come io lavoro. Compagni di nave…