Come si sta preparando il paese 

Nell’Al Bidda Tower, uno dei grattacieli che disegnano lo skyline della capitale qatarina, sede del Supreme Committee, i componenti del comitato organizzatore stanno lavorando alacremente per mettere a punto ogni dettaglio e assicurare ai visitatori un’accoglienza all’altezza, tra alberghi di lusso, navi da crociera e desert-Camp sparsi tra le biancheggianti e altissime dune che si spingono fino al confine con l’Arabia Saudita, lambendo il mare che si insinua fra le rientranze della costa.

I mondiali di calcio rappresentano uno step fondamentale nel programma di riforme denominato “2030 National Vision” attraverso il quale la monarchia guidata dall'emiro Tamim bin Hamad al-Thani punta a promuovere la cultura del paese, indipendente dal 1971, e a mostrare il “lato luminoso del mondo arabo”, ambendo a fare del Qatar “un catalizzatore di cambiamento positivo da un punto di vista delle politiche ambientali, economiche, oltre che sul piano sociale ed educativo”.

L’obiettivo di Doha è di attirare più di un milione di visitatori. Un target che appare molto ambizioso, considerando che i Mondiali si disputeranno per la prima volta in inverno, tra novembre e dicembre, e che il territorio destinato ad accogliere questo enorme flusso di tifosi-turisti è paragonabile per estensione alla Basilicata. La limitatezza geografica dei luoghi che ospiteranno la World Cup 2022 potrebbe essere tuttavia un vantaggio se comparata a quella della competizione che si è disputata in Russia nel 2018, poiché la vicinanza degli stadi potrebbe favorire la mobilità e consentire agli appassionati di assistere a più partite nello stesso giorno. Nella Penisola qatariota i due impianti più lontani distano tra loro circa 50 chilometri e tutte le strutture saranno collegate da una rete metropolitana all’avanguardia.

 

Gli otto stadi del Mondiale

Doha non sta badando spese. Per gli otto stadi (rispetto ai 12 inizialmente ipotizzati) teatro delle partite del Mundial sono stati stanziati tra i sei e gli otto miliardi di dollari. La spesa è alta soprattutto per le difficoltà ambientali connesse alla necessità di refrigerare al meglio campi e spalti. Gli impianti sono avveniristici, con tetti ricoperti di pannelli solari e costruiti in modo tale da essere "smontabili". Al termine della kermesse, in effetti, la capienza verrà ridotta o azzerata e le strutture saranno “riciclate” per altri progetti legati a sport, intrattenimento, sanità e saranno anche trasportate in paesi africani amici.

Sono soltanto due gli stadi già esistenti oggetto di  ammodernamento. Il Khalifa International Stadium, già pronto dal maggio 2017 con una capienza fissata in 40.000 posti, il minimo previsto dalla Fifa, e l’ Ahmed bin Ali Stadium di Al-Rayyan, in cui si è giocata la Supercoppa Italiana nel 2016 (vinta ai rigori dal Milan sulla Juventus). Ispirato alla sabbia dell’ondulato deserto qatariota, dopo i campionati verrà ridotto a 20mila posti e diventerà la casa della federazione Judo, della Boxe e di un medical center.

In tutti gli altri casi si è proceduto a innalzare nuovi stadi, ciascuno ispirato a un elemento della tradizione locale come l’Al-Wakrah Stadium, sito nell’omonima città a sud di Doha, a forma di vela e l’Al-Thumama Stadium che rappresenta il gahfiya, il classico copricaco intrecciato indossato dagli uomini. L’ Education City Stadium invece avrà  la forma di un diamante frastagliato, scintillante di giorno e incandescente di notte e sorgerà tra i campus universitari della Qatar Foundation.

Il Ras Abu Aboud Stadium, verrà assemblato su un isolotto artificiale al largo di Doha con  una serie di blocchi modulari componibili - tipo Lego - e sarà il primo stadio completamente smontabile della storia. Conclusa la manifestazione, non ne rimarrà più nulla.

Il più distante dal centro cittadino sarà l’ Al-Bayt Stadium di Al-Khor, con 60.000 posti, alla cui edificazione ha contribuito l’azienda italiana Salini Impregilo, e simboleggia nella forma esterna e finanche nel tessuto che ricopre internamente il tetto retraibile le tende qatarine.

Addirittura  un’intera nuova cittadina Lusail sta venendo su a circa 20 chilometri dalla capitale Doha intorno allo stadio da 80mila spettatori in cui si dovranno celebrare le partire di debutto e la finale del Mondiale,  il Lusail Iconic Stadium. Nei pressi di questa nuova area residenziale, dove vivranno circa 260.000 persone, è situato il Losail International Circuit realizzato nel 2003 con un costo complessivo di 60 milioni di dollari per le corse del MotoGP. Nella stessa area sono presenti la Lusail Arena, palazzetto da oltre 15.000 posti già utilizzato in occasione dei Mondiali di Pallamano del 2015, la Federazione ciclistica del paese, il poligono per il tiro con l’arco e quello del tiro a segno. Una vera e propria Cittadella dello Sport, insomma. Il Lusail Iconic Stadium è stato affidato alle cure dell’architetto Norman Foster, già autore della ristrutturazione di Wembley, che si è ispirato ai giochi di ombre e luci della lanterna fanar. Avrà una copertura trasparente integrale  e un mega impianto di condizionamento per garantire una temperatura costante tra i 26 e i 28 gradi. A farsi carico della costruzione, in continuità con la “Stadium Diplomacy” che ha portato il Governo cinese a fabbricare oltre 160 stadi nel mondo, dal sud est Asiatico, al Centro America, e in particolar modo in Africa, sarà la China Railway Construction Corporation, in un contesto di relazioni economiche sempre più intense tra Pechino e Doha.

L’isolamento e il mondiale “extralarge”

Questi stadi sono sufficienti per ospitare i 64 match in cui si articola la competizione a 32 squadre. Discorso più complesso sarebbe stato quello dell’allargamento a 48 nazionali. Il sogno del presidente della Fifa Gianni Infantino era quello di anticipare ampliare la rosa delle squadre partecipanti al Mondiale da 32 a 48 dall’edizione nordamericana del 2026, per la quale questa riforma è già in calendario, al 2022. La Fifa era pronta a votare per il sì nel congresso in programma a giugno 2019. Ma la netta opposizione del Qatar ha fatto svanire il piano. “Nelle attuali circostanze, una tale proposta non può essere messa in pratica”, ha annunciato lo scorso 22 maggio la Fifa.

C’è da dire che la Coppa del Mondo del Qatar ha assunto sempre più un ruolo “geopolitico”. E poteva diventare a tutti gli effetti  uno strumento per risolvere la crisi in atto del Golfo. Dall’estate 2017 Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi ed Egitto hanno isolato Doha per la sua eccessiva vicinanza a formazioni dell’islamismo radicale come i Fratelli Musulmani, i gruppi salafiti e il movimento palestinese Hamas e soprattutto alle posizioni dell’Iran sciita. Il conseguente embargo commerciale ha messo a dura prova il Qatar, impegnato nello sforzo produttivo per l’organizzazione dell’evento calcistico, ma per converso ha spinto l’emirato qatarino ad implementare proprie attività agricole e di allevamento che ne stanno progressivamente assicurando l’autosufficienza alimentare, un tempo delegata alle importazioni dai paesi limitrofi. L’accusa al Qatar da parte di Riad e dei suoi alleati appare poi in gran parte pretestuosa, dato che il wahabismo, dottrina religiosa che è la vera base ideologica dei movimenti islamici più integralisti, da Al Qaeda all’Isis, ha la sua culla proprio in Arabia. Nell’ottobre 2017 in alcuni commenti su Twitter il ministro per gli Affari esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, aveva messo apertamente in relazione la crisi diplomatica con la manifestazione iridata.  “L'organizzazione dei Mondiali – aveva affermato Gargash - non deve essere macchiata dal sostegno a individui estremisti e a figure terroristiche, perciò una revisione delle politiche del Qatar è indispensabile se vuole ospitare i Mondiali di calcio del 2022. Il Qatar deve ripudiare le politiche di sostegno all'estremismo e al terrorismo”.

Infantino aveva così iniziato a tessere la sua tela per promuovere un riavvicinamento tra le potenze della regione attraverso l’allargamento della rassegna del 2022. Un’idea nata già nel giugno 2018 sulle tribune dello stadio Luzniki di Mosca, mentre il numero uno della FIfa assisteva al match inaugurale del mondiale russo tra i padroni di casa e i sauditi, assiso tra il presidente Vladimir Putin e Mohammed Bin Salman.

Il principe ed erede al trono di Riad, ispiratore del Saudi Arabia’s Vision 2030, manifesto politico-economico del Regno di cui il mondiale di calcio sarebbe un addendum prestigioso, sta emulando le strategie di soft power messe a punto dai cugini emiratini negli anni scorsi per accreditarsi in Occidente e ridimensionare l’impatto mediatico derivante della “scarsa attenzione” ai diritti umani da parte della monarchia saudita. Lo sport e il calcio (come dimostra la recente scelta di acquisire i diritti per tre finali della Supercoppa italiana per 25 milioni di dollari e le trattative in corso per quella spagnola) sono un passaggio non secondario di questo processo. Nel caso di un mondiale extralarge, il Qatar sarebbe stato costretto a “condividere” il torneo, data la necessità di un numero maggiore di impianti. Ed Emirati ed Arabia Saudita erano gli unici paesi dell’area ad avere già stadi pronti all’uopo. Gli Emirati hanno appena organizzato mondiale per club e Coppa d’Asia. In Arabia al King Abdullah Sports City Stadium di Gedda (60mila spettatori), invece, si è da poco giocata la Supercoppa italiana.

Il Qatar ha fatto da subito sapere di essere restio a rinunciare anche solo parzialmente all’esclusiva sulla World Cup, sia pure in cambio dello stop all’embargo. Neanche lo scenario di una partnership con paesi neutrali come Kuwait e Oman ovvero l’incremento degli incassi (la Fifa ha già commissionato uno studio di fattibilità secondo cui un Mondiale a 48 potrebbe generare entrate aggiuntive per 400 milioni di dollari) hanno convinto l’emiro Al Thani. Pronto anche a far saltare il banco di fronte a soluzioni non gradite. L’escalation di tensione nel Golfo tra Washington e Teheran, accusata di aver contribuito al sabotaggio di alcune petroliere ormeggiate nello Stretto di Hormuz, tuttavia ha dissuaso tutti dal procedere nella direzione del mondiale a 48 (non va dimenticato che in Qatar gli americani hanno la loro più grande base aerea mediorientale e diecimila soldati di stanza).

Diritti tv, Supercoppa Italiana e calciomercato

Lo scontro con l’Arabia Saudita si sta incancrenendo, d’altronde, invadendo anche piani che dovrebbero essere immuni dai dissidi diplomatici. Alcuni mesi fa perfino un evento apparentemente lontano dalla contesa panaraba come la Supercoppa italiana tra Juventus e Milan è stata oggetto di polemiche. Al Obaidly, Ceo di BeIn Media Group, il network globale di canali sportivi qatariota collegato ad Al Jazeera, si è lagnato con l’ad della Lega Calcio, Luigi De Siervo, della decisione di andare a disputare la sfida a Gedda. Dal Qatar accusano l’Arabia Saudita di supportare attivamente la piaga della pirateria attraverso il sostegno più o meno diretto alla piattaforma beoutQ. La regione del Golfo, spiegano da  BeIn, rappresenta uno dei mercati più importanti e in rapidissima crescita nell’ambito di sport e intrattenimento live, e se il tentativo dell’Arabia Saudita di minare le regole sul copyright arriverà a buon fine danneggerà fatalmente anche una delle più importanti fonti di entrate della Serie A. Per questo è stato chiesto alla Lega di unirsi all’azione legale della comunità sportiva internazionale contro la pirateria di beoutQ, che è già sotto investigazione da parte della World Trade Organization.

Un altro terreno di confronto/scontro tra Doha e Riad è il mercato dei calciatori. La Saudi Professional League e la Qatar Stars League, le due leghe calcistiche, stanno facendo incetta di giocatori spendendo cifre molto rilevanti per due realtà finora assolutamente “marginali” in questo settore: circa 52 milioni di euro i club dell’Arabia Saudita e 43 quelli del Qatar. Già nel 2018 come emerso nell’ultimo report Fifa Tms il campionato saudita era stato secondo per spesa complessiva in Asia, alle spalle della Cina, nonché il settimo al mondo. L’anno solare da poco concluso ha visto i sauditi spendere oltre 150 milioni di euro, con un incremento del 444% rispetto al 2017. Netto anche il balzo in avanti del Qatar che nel 2018 aveva speso 12,1 milioni di dollari (+227% rispetto al 2017) e già nelle prime settimane del 2019 ha quasi quadruplicato la somma immessa sul mercato. Il record per un singolo giocatore arriva proprio dal Qatar, più precisamente dall’Al Duhail, che ha speso 35 milioni per il giapponese Nakajima. La stessa società che ha versato otto milioni nelle casse della Juventus per portare a casa il difendore Benatia. In Arabia Saudita, invece, il primato se lo contendono Al Ahli e Al Ittihad, entrambe con 10 milioni a testa, spesi rispettivamente per il trequartista rumeno Stanciu e per la punta serba Prijovic. In Arabia si è trasferito anche Sebastian Giovinco. L’attaccante italiana ha lasciato la Mls e i Toronto Fc e si è accasato all’Al-Hilal dove guadagnerà 30 milioni di dollari in tre stagioni.

Il “Qatargate”

D’altro canto, il mondiale qatarino di problemi “diplomatici” ne ha avuto fin dagli albori. Da sempre aleggia sullo stesso lo spettro della corruzione. La stampa internazionale, in particolare anglosassone, ha dato spazio in questi anni al cosiddetto Qatargate, pubblicando a più riprese documenti tesi a dimostrare come nel 2010 i dirigenti dell’epoca della Fifa siano stati pagati profumatamente per assegnare a Doha l’evento. A ciò si sono aggiunte le denunce provenienti da diverse organizzazioni umanitarie sul trattamento dei lavoratori stranieri impegnati nei cantieri e sull’elevatissimo numero di incidenti sul lavoro. Doha ha sempre respinto ogni tipo di insinuazione, sia sulle condizioni degli operai sua sulle imputazioni di brogli. Sul punto lo scorso maggio il portavoce del Supreme Committee, Al-Naama, è stato tranchant e ha voluto chiudere ogni discorso:

“Qui ci sono diritti uguali tra donne e uomini, le donne votano e sono elette, e possiamo promuovere la nostra visione. La nostra risposta alla corruzione è l’apertura. Non abbiamo paura di niente, siamo sempre aperti alle indagini internazionali, alle critiche costruttive e agli aiuti. Sappiamo che ci sono state delle mancanze sul piano dei diritti dei lavoratori, vogliamo risolvere la situazione e collaborare con tutti. In ogni caso sono passati nove anni dall’assegnazione dei Mondiali. Se ci fosse stato qualcosa di solido sarebbe venuto in superficie. Penso sia una perdita di tempo continuare a parlare di corruzione”.

Nonostante le rivelazioni dei tabloid inglesi e il rapporto curato dall’ex procuratore federale Usa, Michael Garcia, che hanno demolito la nomenklatura della Fifa cresciuta all’ombra di Josep Blatter,  e l’intervento in ambito penale di molti tribunali (specie negli Stati Uniti) chiamati a verificare le voci di frodi e tangenti, l’edizione 2022 non è stata revocata al Qatar. La sequenza di fatti e l’incastro di circostanze, però, sono tali da continuare ad alimentare ricostruzioni dietrologiche e complottistiche sui fatti maturati tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011.  Nel novembre 2010, dieci giorni prima dell’assegnazione del mondiale, si svolse una misteriosa cena all’Eliseo tra tre illustri commensali:  Michel Platini, numero uno dell’Uefa; Tamim bin Hamad al Thani, allora emiro in pectore del Qatar; e il padrone di casa, presidente della Repubblica francese,  Nicolas Sarkozy. Fu il prologo della riunione del 2 dicembre, a Zurigo, in cui il comitato esecutivo della Fifa votò i paesi a cui devolvere l’organizzazione dei campionati del mondo del 2018 e del 2022. Era la prima volta in cui l’assegnazione avveniva congiuntamente. Per l’edizione del 2018 ebbe la meglio la Russia contro la favoritissima Inghilterra. Per i Mondiali del 2022 erano in lizza l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud e gli Stati Uniti e appunto il Qatar. Alla quarta e decisiva votazione, 14 voti su 22 andarono all’emirato, beffando gli Usa. Sei mesi dopo, il 31 maggio 2011, la squadra della capitale, il Paris Saint Germain, di cui il presidente Sarkozy è un acceso tifoso, veniva ceduta dal fondo Usa Colony Capital al Qatar Investment Authority. Il fondo sovrano di Doha, con risorse per oltre 350 miliardi di dollari istituito nel 2005, stava contestualmente avviando in quel periodo una campagna finanziaria finalizzata ad assorbire quote di rilievo, tra le altre, in Airbus, Volkswagen, Lagardère, Virgin, Credit Suisse e Veolia Environnement, scalando le vette delle multinazionali occidentali alle prese con il rallentamento dell’economia dopo il default di Lemhan Brothers del 2008 e lo scandalo dei mutui sub-prime. Il Psg rientrava perfettamente nel piano di diversificazione del Qatar per allocare in maniera redditizia i profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e soprattutto di gas naturale (l’emirato è il primo produttore mondiale di gas liquefatto). Nella carica di presidente del club parigino venne insediato Nasser Ghanim Al-Khelaïfi, classe ‘73, ex giocatore e vicepresidente della Federazione Asiatica di Tennis, e nel 2006 anche direttore di Al Jazeera Sports. Proprio l'emittente qatariota Al Jazeera Sport, lanciata nel 2003 all’interno del network Al Jazeera e diventata la principale rete sportiva del Medio Oriente, il 13 dicembre 2010 annunciava l'acquisto dei diritti in esclusiva di Champions ed Europa League per la Francia e si preparava ad assorbire anche quelli della Ligue 1, il campionato transalpino, con il marchio “BeIN Sport” e lo slogan “Ton coeur battra au rhytme du sport”.

L’affare Neymar

Doha peraltro non ha mai celato le use intenzioni nell’adoperare la leva dello sport per “raffinare” la propria immagine e accreditarsi agli occhi del mondo come un Paese affidabile. Spesso e volentieri, nei momenti clou, ha schierato la sua “ammiraglia calcistica”, il Paris Saint-Germain (foraggiata abbondantemente dalla Qatar Tourism Authority con un assegno da 150 milioni all’anno e da varie aziende di stato qatarine). Due anni fa, dopo l’isolamento decretato dall’Arabia saudita e dai suoi alleati, con l’accusa di essere un paese amico dei jihadisti, e il diniego del Barcellona di proseguire nel rapporto commerciale con la  compagnia di bandiera Qatar Airways (che pure era stata il primo sponsor di maglia del team catalano) motivato con analoghe ragioni - che ebbero perciò una eco mediatica dall’impatto pesantissimo - il Qatar decise di uscire dall’angolo con una mossa altrettanto clamorosa:  strappando proprio al Barcellona il gioiello brasiliano Neymar, in un affare da 600 milioni tra clausola rescissoria e ingaggi, per fare di colui che nel 2022 sarà probabilmente il calciatore più forte e glamour del pianeta la stella della squadra e il testimonial della World Cup.

Calcio e pallamano

Per il Qatar il calcio e il Mondiale 2022 sono un affare di Stato. I due milioni di abitanti (di cui solo 200mila autoctoni) hanno dimostrato del resto la grande passione per questo sport lo scorso febbraio, in occasione della vittoria della Coppa d’Asia da parte della Nazionale, quando si sono riversati per le strade della città vecchia e sul lungomare della Corniche dando luogo a una settimana di festeggiamenti come non se ne erano mai visti da quelle parti. La squadra allenata dallo spagnolo Felix Sanchez, che non aveva mai superato i quarti di finale della competizione, ha colto la prima storica affermazione battendo nella gara decisiva per 3 a 1 il Giappone. Il torneo continentale si è giocato negli Emirati Arabi, nonostante l’embargo. Nel corso della manifestazione il Qatar ha battuto per 2 a 0 l’Arabia Saudita e ha travolto in semifinale per 4 a 0 i padroni di casa guidati in panchina da Alberto Zaccheroni tra le proteste del pubblico che ha lanciato in campo sandali e bottigliette a testimonianza di un clima tutt’altro sereno. Per farsi trovare pronti all’appuntamento mondiale il governo qatariota ha promosso una politica di formazione sui prospetti più interessanti e ha investito quasi due miliardi di dollari in un centro di eccellenza, l’Aspire Academy (d’inverno ha già accolto i ritiri di top club come Psg e Bayern) che punta a rendere entro il 2020 la migliore accademia al mondo. Ma sta anche attuando un’intensa strategia di “naturalizzazioni”: il capocannoniere della Nazionale, Almoez Ali, è di origini sudanesi. Una strategia su cui la Fifa dovrebbe vigilare affinché non si riproduca un fenomeno “pallamano”, quando nel 2015 il Qatar, che aveva ricevuto l’incarico di ospitare i mondiali, ha ottenuto il secondo posto nel torneo grazie a un’ardita campagna di “naturalizzazione” di giocatori stranieri estesa, dicono le malelingue, anche a qualche arbitro. Il Qatar è stato perfino accusato di aver “assunto“, pagando viaggio, vitto e alloggio, una sessantina di tifosi spagnoli. Se il Mondiale 2022 cambierà per sempre in meglio il Qatar, c’è infatti da augurarsi che non cambi in peggio e per sempre il Calcio.