L’arancia, raccolta in un agrumeto ai piedi dell’Etna, viene caricata sul camion che, tempo poche ore, prenderà la via del mare dal portodi Catania. Entro il giorno successivo, il frutto raggiungerà un supermercato di Copenaghen, pronto per essere gustato da una famiglia danese, in contemporanea (se non prima), dei consumatori siciliani. Tutto lungo le vie d’acqua, salvo pochi minuti su strada a inizio e a fine viaggio. Un sogno? No, un traguardo possibile, già a portata di mano nel Nord del Vecchio Continente grazie all’efficienza delle infrastrutture e, non meno rilevante, dell’organizzazione che sta dietro le vie d’acqua «quel che manca al nostro Paese, che non si è mai dotato di una “politica del mare”», sospira Achille Onorato, 33 anni, giovanissimo amministratore delegato di Moby, esponente della quinta generazione di una delle grandi dinastie marittime del Bel Paese lungo e stretto che non sempre ha tributato alle vie d’acqua l’attenzione che meritano.     

  

Ma qualcosa finalmente sta cambiando, aggiunge Achille, promosso un anno fa da papà Vincenzo, oggi presidente («ma è più attivo che mai − sottolinea l’ad – resta lui il motore del gruppo»): le autostrade del mare, «di cui ho sentito parlare fin da bambino» finalmente, stanno prendendo forma.«Siamo partiti due anni fa – spiega il manager – e stanno ottenendo ottimi risultati». Il sistema si sviluppa su due hub: uno sul Tirreno, l’altro, base Ravenna, sull’Adriatico, con l’obiettivo di consentire il trasporto via mare delle merci da Nord a sud e viceversa, in alternativa al traffico su gomma.

«I vantaggi sono numerosi: i mezzi viaggiano sempre pieni, all’andata come al ritorno. I costi si riducono fino a tre volte, anche perché viene alleggerito il lavoro degli autisti, che possono essere impiegati dalle aziende in lavori più profittevoli».

Il mercato, insomma, cresce anche se non è facile far prevalere una mentalità nuova tra i tanti padroncini italiani dell’autotrasporto, anello fragile di un sistema che stenta a fare un salto di qualità obbligato: dal semplice autotrasporto a un sistema logistico integrato, la prossima tappa della trasformazione del pianeta Moby. «Ma in Italia siamo indietro per carenza di infrastrutture a partire dal terzo Valico, che ci consentirebbe di tagliare tempi e costi del trasporto, nonché di ridurre i danni ambientali, integrando i porti con le principali linee ferroviarie». Così si accentua il divario di efficienza «anche perché  – aggiunge Onorato – il sistema non si accontenta più del semplice trasporto merci assicurato dall’armatore vecchio stampo:

«Oggi il mercato chiede un approccio integrato che ci impone di allargare il nostro campo d’azione. Vede questa bottiglia d’acqua – continua indicando il tavolo – Non basta più che io la faccia uscire dalla fabbrica. Ormai, in sintonia con il mio cliente, devo occuparmi del prodotto fino allo scaffale e poi, dopo il consumo, anche della fase di smaltimento. Compresa l’eliminazione della plastica, come intendiamo fare entro un anno sulle navi di Moby». 

Non è facile muoversi tra le secche del sistema Italia. Prendiamo i porti: «In questo campo non si riesce a fare squadra. A differenza di quanto avviene in altri paesi le strutture non si specializzano. Tutti, insomma, vogliono fare tutto, e spesso lo fanno male regalando traffico alla concorrenza. Adesso arrivano i cinesi, «chissà che non sia la svolta. Mai non mi stupirei se fossimo in grado di far perdere la pazienza anche a loro». Perché tanta sfiducia? «Le racconto questa: abbiamo messo a punto una joint venture logistica con la prima società tedesca per il traporto di auto. Abbiamo individuato Piombino, città in gravissima crisi occupazionale, quale sede dell’investimento da 20 milioni in grado di garantire 150 posti di lavoro. La Regione si è subito attivata, ma l’investimento è fermo perché attendiamo da sei mesi la risposta delle autorità portuali. Noi italiani ci siamo abituati, gli altri no».  

Insomma, ci vuole pazienza, un pizzico di fatalismo partenopeo intriso di saggezza epicurea ma con il coraggio e la sfrontatezza di un “mascalzone latino”, il nome della barca con cui Vincenzo Onorato si è imposto nel mondo della vela tra i grandi protagonisti dell’America’s Cup e che oggi è ancorata nel cuore di Napoli, per sostenere un’altra nobilissima impresa promossa da Vincenzo: Mascalzone Latino è oggi una scuola di vela riservata ai bambini delle aree a rischio della provincia napoletana, perché, come dice il patron Vincenzo Onorato «a Napoli i circoli di vela sono circoli aristocratici dove vanno i figli di papà con la pancia piena e senza motivazione. Noi vogliamo avvicinare al mare quei bambini che nemmeno l’hanno mai visto il mare, puntando sulla loro voglia di farcela, sulla loro motivazione, che è fortissima, e incanalandola verso qualcosa di positivo». «Non tutti arrivano fino in fondo, – commenta Achille – abbiamo registrato anche fallimenti, ma abbiamo offerto finora un futuro a un centinaio di ragazzi indirizzati verso l’Istituto Nautico o stage nelle aziende”.

Grazie a questo spirito, le difficoltà non fanno paura. E poi, nonostante i tanti ritardi (grazie anche alla scossa di Bruxelles), qualcosa sta finalmente cambiando. A partire dalle autostrade del mare, modalità di trasporto green delle merci da e per il Mediterraneo che abbatte i costi dell’inquinamento (1,81 euro per mille tonnellate/chilometro contro i 4,9 del trasporto su strada). Grazie agli investimenti pubblici effettuati negli ultimi anni Moby (così come per Grimaldi e altri operatori) hanno potuto dar l’avvio a diversi hub da cui far transitare le rotte delle merci sottratte al trasporto su gomma. «Siamo partiti due anni – racconta Onorato – su due direttrici, ovvero da Ravenna a Catania e da Genova a Catania passando per Livorno, e la direttissima tra Napoli e la Sicilia. In due anni abbiamo triplicato i volumi: siamo partiti da 1.500 metri di carico lineare, siamo arrivati a 4mila metri, togliendo così dalla strada 4mila camion». E si tratta solo dell’inizio. «Oggi per la Sicilia transitano per motivi commerciali 6 milioni di veicoli destinati a uscire dall’isola, ma solo un milione di questi mezzi usa la nave per andare a Napoli. È legittimo sperare che le ditte, anche le più piccole, comincino a percepire sempre di più i vantaggi delle autostrade del mare», così come i viaggiatori hanno ormai preso atto della “rivoluzione” avviata con il passaggio del servizio dalla vecchia Tirrenia posseduta dallo Stato alla Moby.

«Il trasporto passeggeri vale circa la metà della nostra attività» spiega Onorato. E rende di più del traffico merci? «Sì, è più redditizio anche se siamo comunque in piena crescita sul fronte merci». Al contrario, una vota privatizzata nel 2012 la Tirrenia dopo aspro confronto, è stato necessario un grosso lavoro di riqualificazione dell’attività rispetto al passato, a partire dalla flotta: «Tirrenia – spiega Onorato – è una società che ha sempre servito la Sardegna ma con sede a Napoli, senza un grande rispetto per le esigenze del territorio e in particolare dell’utenza sarda. Per questo ci siamo attrezzati per l’ascolto dei nostri clienti cercando di rimuovere le debolezze, a partire dalla stagionalità dell’offerta, concentrata in estate, e dalla qualità del servizio offerto. Penso di poter dire che siamo passati, tanto per fare un paragone, dal livello di linea ferroviaria locale all’alta velocità, con una forte impronta locale». «I prodotti serviti su Moby Lines sono esclusivamente sardi – tiene a precisare – dal latte ai prodotti dell’artigianato. Abbiamo anche inaugurato un grande shop su una delle nostre navi. Così cerchiamo di contribuire al rilancio dopo la crisi: il mercato stenta a eguagliare i picchi raggiunti nel 2008, anche se si registra una certa ripresa. E noi, che siamo in Sardegna dal 1850, quando la corsa terminava a Tempio Pausania, vogliamo fare la nostra parte». Magari anche nei mari del Nord. Da tre anni Moby opera nel Baltico grazie a una joint venture con una compagnia russa tra San Pietroburgo, Tallin, Stoccolma ed Helsinki. «I marinai – sottolinea Onorato – hanno un regolare contratto di lavoro italiano, quello che garantiamo a tutti i nostri dipendenti». Mascalzoni sì, ma onesti.