EDITORIALE

Infinito è il piccolo motivo d’orgoglio perché il primo numero del nostro magazine è piaciuto a molti, se non a tutti vorremmo dire. Con l’idea di suscitare qualche pensiero meno schiavo di una cronaca incalzante, abbiamo messo mano ad argomenti fondamentali, sia pure non definitivi, perché per inoltrarsi nel nostro Infinito ci vuole paziente ottimismo e non impaziente scetticismo.

Solo così possiamo apprezzare Victor Burgin, che ci ricorda che l’infinito tecnologico siamo in realtà solo noi, poiché il cervello umano e non altro è lo chassis di tutta questa evoluzione digitale nella quale siamo immersi: nonostante tutte le promesse di felicità e l’infinità dei mondi che ci aprono, le tecnologie infinite non esistono, scrive l’artista già concettuale negli anni Sessanta del secolo scorso. E noi siamo d’accordo. Non cito tutti gli autori per non togliervi il piacere di scoprirli all’interno, ma non ci siamo risparmiati temi impegnativi, e molto, riflettendo ad esempio sulle FAANG, l’acronimo di Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google che sta monopolizzando le vite di tutti a partire dai dati personali di ciascuno. E ci siamo posti un dubbio serio: poiché nel passato i monopoli venivano smembrati o nazionalizzati e ora nessuno appare in grado di farlo, come la mettiamo con quella cosa che si chiama democrazia? E ancora: se il lavoro non è più un meccanismo sufficiente di redistribuzione della ricchezza, con cosa lo sostituiamo? E poi, certo l’Italia è un paese che invecchia, nessuno (anni alla mano) può negarlo, ma chi ammette che se invecchiamo più di quanto avveniva prima è anche grazie ad un sistema di sanità pubblica che, con tutti i suoi difetti, è uno dei migliori del mondo? Ma per quanto riusciremo a sostenerne i costi?

Quando avrete Infinito fra le mani avrete e avremo già votato nelle elezioni politiche più importanti degli ultimi decenni. Credo che, quali che siano i risultati, il paziente ottimismo di cui sopra debba accompagnarci ancora per molto, insieme alla voglia di ricostruire coesione, cultura ed etica nel secondo paese industriale d’Europa che, senza una nuova stagione di consapevolezza delle sue classi dirigenti, rischia di scivolare dal terzo in giù. Ovviamente, ogni riferimento alla forza politica per cui ciascuno di noi ha votato è puramente casuale.

Lungi da me l’idea di fare il politologo della domenica, e poi su Infinito che si occupa del tutto, ed è quadrimestrale. Ma, mi perdonerete, qui ci vuole il coraggio di sentirsi cittadini, di prendere in mano il destino collettivo del nostro Paese, di rinunciare alle proprie pigrizie e, per chi li ha, a qualcosa dei propri lussi per non lasciare che il nostro Paese si avviti, si perda tra la pressione del mondo e le nostre indolenze. Credo che i peccati di omissione esistano oggi soprattutto nell’apporto di ciascuno di noi alla propria comunità, al proprio territorio, al proprio Paese. Una volta, nemmeno tanto tempo fa, erano i compiti che si autoassegnava la borghesia. Ora è economicamente impoverita, ma è più larga e ha più strumenti di conoscenza di prima. Deve ritrovare tutta la passione civile che serve.