Un giocatore infinito. È questa l’espressione che molti telecronisti hanno usato per descrivere qualcosa di straordinario. Di solito più che un singolo gesto tecnico, il perdurare di un’attitudine, il prolungarsi di una carriera fuori dal comune, forse il seguitare immarcescibile di uno sportivo ad un certo livello, quasi a sfidare le leggi dell’umano.

Tim Duncan è stato un giocatore infinito, un pivot che anche al limite dei suoi quarant’anni sapeva trovare il modo di fare una cosa meglio di chiunque altro. Roger Federer, sua maestà, è un giocatore infinito, perché anche quando deciderà dentro di sé di ritirarsi, prima di annunciarlo a tutti noi, anche nella sua ultima partita, farà qualcosa che prolungherà di quel tanto la sua vita tennistica.

L’infinitezza di uno sportivo, in fondo, è proprio questo: il prolungare un’esistenza sportiva del tutto finita e mortale, e anzi, brevissima se paragonata anche solo alla vita umana, che è brevissima rispetto a qualsiasi infinito vogliamo considerare come metro di misura – posto che la misura dell’infinito è solo l’infinito -, di quel tanto in più da sembrare di renderla poco più estesa del necessario e del possibile. Ma al di là delle descrizioni agiografiche da telecronisti cosa c’è dunque di infinito nello sport? Poco o nulla verrebbe da pensare. Quando Michael Jordan salì i gradini della Hall of Fame NBA nel settembre del 2009, lui che era già più grande di quella stessa stanza di memorabilia cestistiche viventi, ancora prima di ascrivercisi, disse qualcosa che rimarrà nella reminiscenza di chi parla di sport e di cose come queste: limits, like fears, are often just an illusion. È questa frase ad accorciare, restringere, rimpiccolire l’infinito sportivo. Era infatti, ad esempio, il 1942 quando lo statunitense Cornelius  Warmerdam stabilì l’allora primato del mondo di salto con l’asta a 4,77 metri. A rileggere le cronache dell’epoca l’aggettivo usato più di frequente è imbattibile: così infatti veniva definita la prestazione dell’atleta americano. Per il salto si usavano aste di bambù. Quel record durò quindici anni: l’avvento dell’alluminio consentì a un altro americano, Robert Gutowski, di salire a 4,78 metri. Morale: nello sport molti limiti che sembrano insuperabili vengono poi raggiunti e sorpassati. Esistono in ogni caso dei limiti fisiologici alle prestazioni umane, sebbene lo sviluppo tecnologico – ne abbiamo visto un esempio parlando dell’asta di bambù e d’alluminio –, le metodologie di allenamento e la ricerca scientifica in campi come l’alimentazione consentano di spostarne i confini in avanti. Eppure, spostarli o abbatterli all’infinito? Ci dicono che non dovremmo avere timore di sbilanciarci affermando che nei prossimi due secoli nessun uomo riuscirà a correre i 100 m in meno di 9 secondi. Di più: molti sostengono che mai essere umano riuscirà a scendere sotto quel limite. Nell’ottobre 2005, Alan M. Nevill (dell’Università di Wolverhampton) e Gregory Whyte (ora coordinatore scientifico dell’English institute of sport) pubblicarono un interessante articolo sulla rivista «Medicine & science in sports & exercise» (Are there limits to running world records?, pp. 1785-88). Lo studio era concentrato sui risultati ottenuti in tutte le specialità dell’atletica leggera nel 20° secolo e sosteneva che «molti primati sulla media e lunga distanza sono attualmente vicini al proprio limite assoluto». L’indagine sul “quanto” una prestazione, o un infinito se preferite, sia migliorabile è difficile, ma allo stesso tempo affascinante. Per intraprenderla si possono utilizzare le proiezioni, necessariamente approssimative, avanzate da un convegno organizzato dalla IAAF (International Association of Athletics Federations) nell’autunno del 1997 a Budapest. Dal convegno, che pure ha registrato alcuni pareri discordanti, sono emerse numerose ipotesi di massima sui primati assoluti per l’uomo. Alla ricerca di una prestazione insuperabile, “infinita”, appunto, come si presumeva del già ricordato record del 1942 di Warmerdam nell’asta, durante il convegno sono state ipotizzate alcune misure massime.

Nello specifico, si è calcolato che mai nessun uomo riuscirà a scendere sotto i 9″15 nei 100 m, con un margine d’errore dell’1%. Vuol dire che l’attuale record del mondo del giamaicano Usain Bolt, il 9″69 stabilito il 16 agosto 2008 al National Stadium di Pechino, potrà essere migliorato al massimo di 54 centesimi. E quanto ci vorrà? Difficile fare proiezioni temporali e forse anche poco fascinoso.

l prossimo Bolt potrebbe nascere anche domani, essere già in fasce, o forse mai più. Esistono però calcoli statistici che parametrano le innovazioni tecnologiche sportive con la storia dell’abbattimento dei record e queste ci dicono che potrà accadere che un atleta corra quei bellissimi e amati 100 metri in 9″24 in un lasso temporale compreso tra il 2187 e il 2254. Manca molto e noi non ci saremo, così come Bolt. Ecco, è certo che non sia infinito questo tempo ma per la mia capacità a immaginare è qualcosa che ci si avvicina molto.