NEW YORK - "Hello!" si rispondeva in ufficio, alzando la cornetta. E dall'altra parte, a sorpresa, risuonava una voce cavernosa, un po' rauca, turbata, che scandiva le parole alzando il volume ma sempre con la R ammosciata: "HELLO!? Verhgogna! Si dice: Buon Giorno, Come posso aiutarla? Se lo ricordi! Verhgogna!" E riattaccava. Immaginate la reazione di chi dall'altra parte del telefono si beccava a sorpresa il rimprovero. Chiunque fosse, faceva capolino in ufficio e diceva:" Mario credo fosse il Marchese, ha riattaccato". Riattaccava sempre. Voleva lasciare un segno chiaro del suo pensiero, della sua disapprovazione e del suo richiamo. Una vittima preferita era Alessandro Plateroti che allora lavorava con me in redazione del Sole 24 Ore a New York. Personalita' spiccata, spirito romanesco, il suo "Hello" aveva l'aggravante di essere affrettato, spazientito, anche perche' verso mezzogiorno, quando arrivavano le chiamate del Marchese, eravamo in pieno deadline:

"Hellllo,HELLOOOO!!" diceva Plateroti. E le urla del Marchese perforavano la cornetta. Poi il solito messaggio abbacchiato:"Mario, era il Marchese, ha riattaccato!".

Il Marchese era il grande Alessandro Cordero di Montezemolo, uomo tutto d'un pezzo, internazionale, ma piemontese fino al midollo; militare, cavallerizzo, finanziere, banchiere, assicuratore, filantropo, marito della bellissima e dolcissima Cathy, fashion director di Vogue, quando alla guida dal magazine c'era Diana Vreeland. Insieme Cathy e Alessandro hanno dominato la scena newyorchese italiana e americana per quarant'anni. Per il Marchese l'ordine, la disciplina, l'educazione erano valori centrali di vita e non smetteva mai di ricordarlo a chiunque gli capitasse sottomano. Di certo lasciava il segno. Chi non lo capiva, chi non capiva il suo modo di essere burbero, la sua tradizione, la sua apparente inflessibilita', reagiva male. E allora, era la fine. Ricordo quanto strapazzo' un capo della Banca d'Italia a New York, un'"autorita'". Allora, fine anni Ottanta, di banche italiane a New York ce n'erano molte. Intesa e San Paolo non erano ancora insieme. E dalla Cassa di Genova e Imperia al Banco di Sicilia, alla Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano e varie altre Casse e banche, tutti avevano uffici indipendenti. E tutti ossequiavano il capo della Banca d'Italia che poteva esercitare il potere e la minaccia di ispezioni. E che amava essere ossequiato. Ci fu una sera una cena semiufficiale con autorita' e rappresentanti di aziende e banche italiane al San Domenico di Tony May. Alessandro Montezemolo era in genere in disparte dagli affari della comunita' italiana a New York, ma essendo una personalita' conosciuta fu invitato e fu presentato al capo della Banca d'Italia. "Chi e' lei" fece brusco il Marchese. "Sono il rappresentante della Banca d'Italia" asseri' quello, pomposo, rigido, aspettandosi il bacia mano pur senza sapere chi fosse questo anziano signore con pochi capelli, il viso lungo e le palpebre un po' gonfie e cadenti. Il Marchese lo guardo' dal basso in alto, poi, grave, con la solita R moscia fece: "Ah, peccato, e' un'istituzione che meriterebbe molto di piu'". L'altro, violaceo, sembrava sull'orlo di un attacco. Poi urlo' che non era tollerabile che a una cena come quella gli si mancasse di rispetto. E il marchese, freddo, senza perdere un colpo, fissandolo negli occhi scandi', perche' tutti sentissero: "Lei e' un grhhan cafone". L'altro resto' senza parole, muto e rimpicciolito davanti a tutti i banchieri, grati per il fendente al loro aguzzino.

 

Vi racconto di Alessandro di Montezemolo perchè l'altro giorno a Southampton, passando davanti al viale d'ingresso di Murray Place, una grande tenuta privata con decine di case che da Wickapogue Road arriva fino all'Oceano e che fu per alcuni decenni il regno del Marchese, sono stato travolto da tre riflessioni e da mille ricordi. La prima riflessione: oggi viviamo in un modo avvolto dall'insulto, dall'aggressivita', dalla maleducazione. Alessandro era brusco. Insultava anche lui, chiamava "stupido" tutti, inclusi i suoi amici piu' cari. Incluso un altro grande gentiluomo a New York, Gianluigi Gabetti di alcuni anni piu' giovane e con l'antica radice comune piemontese. Ma Alessandro lo faceva con l'affetto paterno di un romantico eccentrico d'altri tempi. Con la sua lezione per le buone maniere al telefono e con gli altri richiami piu' o meno severi, voleva salvare le convenzioni buone di un mondo che stava cambiando. E ripensando alla frase ricorrente in ufficio "...era il Marchese, ha attaccato il telefono" mi sovviene un pensiero: Alessandro sapeva quanto quella sua battaglia per la dignita', l'onesta', la trasparenza, la schiena dritta, la buona educazione, il rispetto, come parametri di vita, sarebbe andata perduta. Ma almeno, lui, provava a fare qualcosa: a educare almeno noi, nel nostro ufficio, sbrigativi nella fretta del giorno per giorno o, peggio, chi peccava di supponenza, come il baldanzoso rappresentante della Banca d'Italia.

La seconda riflessione e' legata a un mistero. Il mistero del rapporto che Alessandro aveva con suo fratello Cesare, piu' giovane di una decina d'anni, arrivato anche lui a New York per farsi una vita. Alessandro aiuto' molto Cesare, questo lo riconoscono tutti: "Erano molto vicini, molto simili, c'era forse una differenza di calibro a vantaggio di Alessandro, ma lo trattava con l'affetto del fratello maggiore e Cesare un uomo aspro come tutti in famiglia ma dolce, lo rispettava" ricorda Galileo Buzzi Ferraris che conosceva entrambi ma che, anche per un fatto generazionale, era certamente piu' amico di Cesare. A un certo punto succede che Alessandro regala a Cesare un terreno nel compound molto "American" dei Murray, a un centinaio di metri di distanza dalla sua casa, perche' ne costruisse una sua. Arrivati in anni diversi, per circostanze diverse e con vite diverse in America, questi due fratelli, uniti, finirono col vivere vicini, con residenza primaria a Southampton. Poi improvvisamente, il mistero: i due fratelli smettono di parlarsi. Ora, Southampton e' un posto tanto meraviglioso d'estate quanto freddo, umido, grigio, triste, con la maggioranza delle case chiuse fino alla primavera nella brutta stagione. E l'immagine di questi due fratelli "emigrati" in America e condannati a vivere nella solitudine invernale a cento metri di distanza l'uno dall'altro senza mai parlarsi o vedersi, ha il contorno tragico in bilico fra un racconto kafkiano e un dramma russo tolstoiano.

Ma è la terza riflessione la piu' importante per il racconto che vi sto facendo. Si trattava di una sfida, di dimostrare che in questi anni di aggressivita' volgari e gratuite, molto diverse da quelle didattiche, per le buone maniere del mio amico Alessandro, che le telefonate severe, i richiami alla responsabilita', alle promesse mantenute alla lealta' alla buona educazione, non fossero mai andate perdute. Insomma, in questo 2018, l'anno in cui, il 25 novembre per essere precisi, Alessandro avrebbe compiuto 100 anni, era arrivato il momento di chiudere il cerchio, ecco perche'.

Le mondane sorelle Murray: da sinistra Constance, Catherine e Mary Elizabeth.

Il ricordo rimbalza a quasi 40 anni fa, quando conobbi per la prima volta il Marchese nella sua prima meravigliosa casa nel compound privato e bellissimo dei Murray. La casa era grande, aveva un maneggio, una piscina, le stalle, i cavalli che Alessandro montava come ai vecchi tempi e un grande prato con un giardino fiorito. Fu nelle stalle, in una specie di ufficio, suo rifugio preferito con poltrone di pelle e plaid scozzesi che ci trovammo seduti a chiacchierare e a fare amicizia. E confidava i suoi ricordi, la sua vita, le sue emozioni, i suoi dolori i suoi principi al giovanissimo giornalista con una richiesta che suonava come una concessione: "prendi nota, Mario, perche' dovrai scrivere la mia biografia". Me lo ricordava sempre e io dicevo sempre di si assolutamente lo faremo prestissimo. Molti anni dopo costrui' una casa nuova, piu' piccola sempre a Murray Place e sempre vicina alla casa di Cesare. Era senza stalle o maneggio quella casa perche' non poteva piu' montare, ma era una casa deliziosa, allegra, soleggiata, aperta, arredata con la straordinaria mano di Cathy, geniale, creativa con la passione per colori solari e caldi. In cantina c'erano grandi scaffali con servizi di porcellana, collezioni di vino, tutto ordinatissimo, tutto archiviato. Poi cambio' casa di nuovo, per la prima volta fuori dal compound dei Murray, sempre a Southampton, una villetta piu' piccola, ma sempre deliziosa:"Guarda, guarda, mi diceva, c'e' l'ascensore, sai questa casa e' per la vecchiaia". Negli ultimi anni passavamo dei pomeriggi seduti in biblioteca, in comodissime poltrone, davanti al camino acceso a rivedere le sue carte. C'erano lettere del Generale Eisenhower, l'eroe che libero' l'Europa dal Nazismo e che volle Alessandro come segretario personale nel 1950, quando, prima di tornare in Patria e vincere la Presidenza, guido' l'Alleanza Atlantica. C'erano le lettere del Senatore Merzagora: colpito dal suo rapporto con il Generale/Presidente degli Stati Uniti (tra l'altro aveva anche lui una casa a Southampton) Merzagora volle Alessandro con lui alle Generali e gli chiese di guidare l'ufficio americano; poi c'erano le lettere che scrisse lui, quando passo' un periodo di qualche anno in Italia, a Milano, per denunciare inascoltato le truffe che portarono allo scandalo IOR e a quello dell'Ambrosiano. Mi raccontava del suo incontro/scontro in Vaticano con il Cardinale Marcinkus, che si chiuse con un monito tipico suo: "Stai zitto brutto prete". E poi il ritorno in America. Piu' avanti negli anni mi chiedeva meno della biografia. Vedeva che non arrivava. Ma ogni tanto tornava all'attacco "Mi raccomando, dovrai scriverla". E io di rimando, senza crederci troppo lo rassicuravo "certo Alessandro, la scrivo". Ecco perche' ora, non troppo lontani dal 25 novembre del 2018, e' giunto il momento di chiudere questo cerchio fatto di affetti e di insegnamenti e di raccontare questa sua storia cosi straordinaria e privata allo stesso tempo.

La famiglia Montezemolo proviene, come dice il nome da un piccolo paese del Piemonte, in provincia di Cuneo, poco lontano dalla strada che porta a Savona. Una famiglia numerosa, fatta da militari che per generazioni prestarono giuramento ai Savoia. Sia il nonno, Vittorio, che Alberto, il padre di Alessandro erano militari, giravano l'Italia ed erano meno legati alle terre d’origine. Era ufficiale, di marina anche Ottavio, il fratello gemello di Alessandro che mori' giovanissimo per un banale incidente fuori servizio: parti' un colpo dal fucile mentre scendeva da una jeep e resto' ucciso sul colpo. Per Alessandro fu un dramma sotto ogni punto di vista, perdeva un fratello, un compagno di vita, di avventure e di scorribande sociali nell'Italia aristocratica e dell'alta borghesia sociale degli anni Trenta. Alessandro aveva invece fatto il corso ufficiali di cavalleria alla Scuola militare di Cavalleria di Pinerolo e fu destinato alla fine degli anni Trenta al leggendario Nizza Cavalleria di stanza sempre a Pinerolo. Gianluigi Gabetti mi racconta che l'Accademia e il Reggimento Nizza Cavalleria furono le esperienze che piu' di ogni altra segnarono la sua vita: "il codice di cavalleria, ancora ottocentesco in quegli anni, gli resto' per sempre come codice di vita", ricorda Gabetti che negli ultimi anni lo vedeva soprattutto d'estate a New York o a Southampton. Alessandro non aveva figli. Era uno dei suoi crucci piu' amari. Ma era padrino di molti molti figliocci e figliocce, Alessandro Gabetti, il figlio di Gianluigi, Alessandro Guerrini Maraldi, Alessandro Manfredini, il suo nipote preferito, che lavoro' con lui per molti anni alla Marsh McLennon di cui Montezemolo era diventato Presidente della controllata internazionale. Alessandra Monteleone, figlia di un suo carissimo amico capo a New York dell'Alitalia. Alessandra Monteleone avrebbe incontrato Luca Cordero di Montezemolo quando era un giovane sconosciuto che venne a studiare legge a New York alla Columbia University accolto come tutti da Alessandro. Per un salto generazionale Luca era tecnicamente un secondo cugino ma per via della differenza di eta' Alessando era sempre stato per lui, in gioventu' piu' uno zio, burbero e severo con lui come con tutti, a cui resto' sempre molto legato. Pochi mesi dopo l'incontro, per la felicita' di Alessandro, suo "nipote" Luca e la sua "figlioccia" Alessandra, si sposarono, e fu festa grande per tutti.

La carriera a New York di Alessandro era in realta' cominciata con la Piaggio. Alessandro faceva parte del milieu sociale italiano, amico degli Agnelli, fi Gianni, appena piu' vecchio di lui e di tutte le sorelle, era socio del Whist a Torino. Si sposo' a Roma con una Teodoli, ma il matrimonio duro' poco.

Il suo destino era legato all'America e alla donna che li' avrebbe incontrato e che sarebbe stata per 45 anni la compagna della sua vita. A New York fu amore a prima vista. Alessandro aveva gia' oltre 45 anni, Caterina, come la chiamava, ne aveva forse 38, si chiamava Catherine Murray, della stessa famiglia che aveva dato il nome al compound dove Alessandro aveva costruito la sua prima casa americana. Catherine guidava la sezione moda di Vogue quando la leggendaria Diana Vreeland era il Direttore.

Alessandro mi racconto' di essere rimasto folgorato da Cathy quando la incontro' per la prima volta a una cena, ma di non essere stato ricambiato, "Figlio mio - raccontava - e' stata un'imprhhesa Durhhisima. Non ne voleva saperne. Cominciai a mandarhle delle Rhose, 36 rhose rhosse ogni giornho". Anche Cathy usciva da un divorzio era restia ad avere altre avventure e Alessandro era il tipo che era, aristocratico ma difficile. Le rose continuavano ad arrivare, ma lei non prendeva le sue telefonate. Un italiano, per quanto blasonato non faceva per lei. I portieri di Caterina furono in qualche modo complici:" Poveretto, gli ha parlato?" "Lo ascolti". La convinsero che non c'era nulla da perdere, lei cedette. E furono i portieri di Park Avenue a "incastrarla" per il resto della sua vita. A New York erano i primi anni Sessanta, gli anni del trionfo di El Morocco, il night club del momento, di vita scintillante di grandi cambiamenti culturali in arrivo subito prima della crisi degli anni Settanta. Catherine e Alessandro si sposarono e divennero una coppia fantastica, innamorati fino all'ultimo l'uno dell'altra. Lui completamente devoto a lei, l'unica che riuscisse davvero a "domarlo" quando la sua ossessione per la disciplina rischiava - e succedeva spesso - di degenerare. Il loro raggio d'azione si divideva fra Manhattan e Southampton, dove allora c'erano ancora molti suggestivi campi di patate prima delle dune dell'Oceano Atlantico, poche case, paesaggio rurale e pochissimi stranieri. Il terreno della famiglia Murray era di oltre cento ettari davanti all'Oceano, oggi varrebbe se fosse rimasto intatto 500 milioni di dollari. Era stato comprato con grande visione dal nonno di Catherine, il leggendario Thomas Murray, un inventore che porto' fra le altre cose l'elettricita' a Brooklyn e che fu socio di Thomas Edison quando Edison costrui' la prima rete elettrica americana. Le prima case sul terreno furono costruite negli anni Venti e solo per la famiglia. Come cattolici erano comunque malvisti. Ed entrarono al Beach Club di Southampton, il piu' esclusivo in assoluto, solo perche' il vecchio Tom regalò un impianto elettrico, cosa che allora sembrava impossibile. "C'erano solo quattro o cinque case, per i miei zii, le mie cugine per noi nipoti. Tutti adoravamo Alessandro, non ho mai sentito una lamentala contro di lui e non che non fossimo, come irlandesi cattolici, poco litigiosi!" confida David Murray nipote di Alessandro attraverso la moglie Caterina. Racconta che una volta lo prese da parte quando si fece crescere i capelli lunghi sulle spalle e gli disse:"Sei una rhagazza?" "No rispose lui", "con questi capelli sei una rhagazza, ti chiamerho' Sybille. E mi ha continuato a chiamare Sybille fino a quando anni dopo non me li sono tagliati". C'erano anche altre due nipoti nella famiglia americana, che Alessandro adorava, Robin e Hillary. Robin, con suo marito Pickett, acquisto' la seconda casa di Alessandro. Hillary si sposo' in seconde nozze con un finanziere che si chiama Wilbur Ross, matrimonio di cui Alessandro andava molto orgoglioso perche' Wilbur era uno dei finanzieri di maggior successo a New York. Hillary, socia di tutti i circoli importanti a Southampton fece da piattaforma sociale sociale per Wilbur, che conoscevo da frequentazioni comuni, uomo di grande intelligenza, pronto a cogliere ogni occasione sia che fosse un fallimento di miniere di carbone o di impianti di acciaio. Oggi Wilbur Ross e' il segretario al Commercio dell'Amministrazione Trump. Con Hillary, che per gusto e grazia ha preso molto dalla zia Cathy, hanno organizzato una delle case piu' belle a Washington e le feste, i cocktails le cene organizzate da Hillary sono oggi fra le piu' ricercate della Capitale, per quel sapore di eleganza, di esclusivita' e raffinatezza che prima avevano portato in citta' solo Jackie Kennedy e Nancy Reagan. Ogni tanto penso a quanto Alessandro avrebbe goduto se avesse potuto vedere sua nipote a dominare la scena sociale nella Capitale e suo nipote a dominare quella che oggi tutti chiamano ( secondo sbagliando, ma vedremo) la guerra commerciale. Si sentiva molto americano. Mi raccontava della cerimonia di giuramento, "tutti insieme a giurharhe con una rhaccomandazione: dovete rhiinunciarhe a ogni titolo nobiliarhe, cosa che ho subito fatto". Non so se fu una rinuncia davvero facile. Le tradizioni non si dimenticano. E la famiglia Montezemolo non e' certo mai stata afflitta dalla modestia. Luca a parte, ci sono stati altri Montezemolo di grande successo - generali, ambasciatori, nunzi apostolici -. Ma Alessandro, per la sua dignita', intelligenza, arguzia, vinceva su tutti, cugini nipoti. E pur avendo rinunciato ai suoi titoli nobiliari giurando fedelta' alla Bandiera Americana, aveva il portamento di chi sembrava dire con buoni margini di certezza:

"guardatemi, fra tutti, il Marchese sono io".

E arriviamo al mistero della rottura col fratello. Non credo sia stato il successo che Alessandro riusciva a conquistare ad aver guastato i rapporti con Cesare. E' vero che Alessandro ha avuto piu' successo del fratello. Ha lavorato con le Generali di Merzagora. Poi rientro' in Italia per occuparsi d'alta finanza e Caterina con lui organizzo' come sempre una casa a Milano impeccabile, piena di colori, moderna, creativa, che lascio' tutti col fiato sospeso. In Italia Alessandro trovo' modo di litigare, ma se lo faceva, era per non tradire i suoi principi. Per alcuni era il classico rompicoglioni. Come? "Volevano che firmassi degli assegni in bianco, ma gliele ho cantate. C'erano problemi con il Banco Ambrosiamo e andai fino a Roma a incontrare quel pretaccio di Marcinkus. Niente da fare gli dissi. Niente firme per assegni in bianco: me ne ritorno in America". Quando rientro' divenne il Chairman della Marsh McLennon International e con la sua severita', le esigenze, la sua disciplina rovino' gli umori di molti dipendenti, ma guido' benissimo e crebbe le importanti attivita' internazionali del piu' grande broker di assicurazioni al mondo. In quegli anni ha anche costituito una fondazione per la ricerca e la prevenzione del cancro, l'American Italian Cancer Foundation, la lancio' con Veronesi con due obiettivi, mandare centri mobili per raggi X a fare mammografie nei quartieri poveri della citta'; e finanziarie borse di studio in America per giovani ricercatori italiani sul cancro. E' stato un gran successo anche perche' e' sopravvissuta al fondatore: quando invecchio', il Marchese capi' che per dare un futuro a questa straordinaria missione doveva cedere il testimone. Scelse Daniele Bodini un imprenditore immobiliare a New York di grande successo, fino a qualche fa, anche Ambasciatore di San Marino all'Onu. Oggi la tradizione continua. Bodini e il consiglio continuano la doppia missione. Bodini ha lasciato invariato lo spirito del programma e quello dell'evento annuale per la raccolta fondi, il piu' importante per la comunita' italiana a New York. Dopo essere stato per molti anni al Pierre, piu' recentemente l'evento si e' tenuto nello spettacolare Mandarin Hotel, sempre affollatissimo e allegro: da Anna Bulgari, co-fondatrice con Alessandro, a Chiara Ferragamo a mille altre persone dopo essere stato per molti anni al Pierre. E c'e' sempre il Lifetime Achievment Award dedicato alla memoria di Alessandro, un momento commovente perche' tutti lo ricordano e a tutti manca la sua verve, la sua acidita', la sua generosita' d'animo per gli amici veri. New York e la sua comunita' italiana sono grandi ma non grandissime. Possibile che fosse davvero la personalita' dirompente di Alessandro ad avere rovinato il rapporto con Cesare? Sia Alessandro Manfredini, il nipote prediletto che Galieo Buzzi Ferraris amico di Cesare escludono che fosse una questione di invidia e puntano il dito su un fattore, come spesso accade in questi casi tutto sommato banale: Cesare aveva divorziato anche lui dalla moglie italiana, la Marchesa Gerini con la quale aveva avuto dei figli e si era innamorato di una donna molto piu' giovane di lui che si chiama Nedda. E' stato questo, verso la fine degli anni Settanta, a condannare i due fratelli al mutismo reciproco. Per Alessandro c'era solo una marchesa Montezemolo ed era la sua dolcissima amatissima Caterina:" Quella T... Il cognome di mia moglie non puo' essere infangato..". E' vero che Nedda non veniva dall'aristocrazia industriale americana come Caterina e forse non era socialmente perfetta, ma sia Alessandro Manfredini, il nipote, che Galileo Buzzi Ferrrsi concordano: Nedda in fondo era una bravissima persona. Il problema era che Alessandro si era fissato e tolse il saluto a entrambi, di nuovo il principio prevaleva sugli affetti. E non c'e' dubbio che dietro questa rottura c'erano le lezioni di integrita'del Nizza Cavalleria, che lo avrebbero inseguito per tutta la vita. Cesare mori' poi di cancro nel 1997. Rividi Cesare prima che rientrasse in Italia, doveva voleva morire. Ma con Alessandro non si rividero mai piu'.

Catherine Murray in una foto del suo primo matrimonio,Vogue 1948.

C'era poi un tratto comune che ci aveva molto legato. Come capita spesso quando si chiacchera, un giorno di tanto tempo fa, con Alessandro, abbiamo scoperto di avere una cosa importante in comune, Tripoli e la Libia. Io ci sono nato e ci sono rimasto fino a 14 anni, lui arrivo' con tutta la famiglia quando aveva 9 o dieci anni. Alberto, il padre Generale e la madre, una donna decisa, Maria Alessandra Muzi Falconi, arrivarono a Tripoli con sette figli e ci rimasero per una decina d'anni. Mia madre ricorda questa famiglia numerosa che portava allegria e vita sociale in citta'. Il Generale Alberto Montezemolo era stato assegnato a Tripoli, comando centrale della colonia italiana e fini' col fare il numero due del Generale Graziani. Graziani era un personaggio controverso, odiato dai libici per la sua durezza, non amato dai coniugi Montezemolo che non vedevano il lui l'uomo leale e trasparente come avrebbe richiesto un qualunque codice cavalleresco. Graziani ebbe l'ordine da Mussolini di sedare la rivolta guidata da Omar al Mukhtar, un eroe della resitenza araba e berbera all'occupazione italiana. E qui potrebbero aprirsi molte leggende sul capitolo libico dei Montezemolo. La vita coloniale, i balli, le feste, la crescita delle concessioni, l'arrivo di 20.000 nuovi italiani, erano in contrasto con la strategia del massacro seguita da Graziani contro i ribelli e le loro famiglie. Uso' addirittura il gas per sedare la rivolta, metodi che non furono approvati dal Generale Montezemolo. Fra i due c'era molta tensione e una delle leggende di famiglia racconta che la grande matriarca, Maria Alessandra a un certo punto diede persino rifugio a Omar al Mukhtar per proteggerlo da Graziani che non sopportava. La cosa sembra improbabile perche' Omar el Mukhtar combatteva a oriente, piu' verso la Cirenaica e sud est, nel Fezzan, che in Tripolitania. Ma la storia e' suggestiva e dunque la racconto lo stesso. Ma con Alessandro non si parlava troppo della politica di allora si parlava di cose leggere. Si parlava per esempio di un mio lontano parente che lui aveva conosciuto bene a Tripoli, Roberto Haggiag, un uomo, come si dice in America, "Larger than Life". Pettegolezzi leggeri, conditi dai pasticci che Berto combinava con le ragazze. Soprattutto si parlava della nostra infanzia. Infanzie vissute a distanza di molti decenni l'una dall'altra e con mondi diversi di famiglia e di tradizioni che ci separavano. Ma il legame, forte, c'era eccome: erano i tramonti dorati, tiepidi che si trovano solo in Africa, il ricordo dei Tuaregh che spuntavano all'improvviso, della Citta' Vecchia, dell'Argentiere Angelini, delle palme; il profumo del gelsomino, che gli arabi vendevano intrecciati per strada, il circolo Italia dove da ragazzini si poteva andare a giocare, il Gambrinus, le rovine romane, la scuola e la citta'. Questa bellissima citta' costruita da grandi architetti italiani in stile modernista mediterraneo che si differenziava con grande creativita' e innovazione dalle opere di Le Corbusier o di Mies van de Rohe i modernisti piu' conosciuti. E c'erano il porto, un lungomare indimenticabile e un Castello residuo dell'impero Ottomano e del periodo dei pirati che nell'Ottocento infestavano la citta'. Fra noi due non c'era differenza d'eta' quando si parlava di Tripoli, dei tempi andati, di un passato remoto. E Alessandro in quei ricordi si immergeva, e suoi occhi guardavano lontano, rivedevano la famiglia unita, i momenti felici, il padre, la madre, le sorelle piu' piccole, il gemello Ottavio. Ricordi che riempivano le lunghe giornate invernali del Marchese e addolcivano il suo animo, come nessuno, da fuori, avrebbe potuto mai immaginare.