Fiducia nelle proprie potenzialità, lavoro, carriera, famiglia, figli, matrimonio e patrimonio: se potessimo dare un nome alle grandi partite della vita, sceglieremmo queste sette tappe. Ognuna è uno snodo fondamentale nella vita di una donna, ma anche equazioni difficili da risolvere. E molte donne non si accontentano più. Perché come diceva Ingrid Bergman: “Non chiediamo molto. Vogliamo tutto”. Solo che avere tutto è molto difficile ancora oggi che sono passati due secoli da quando le donne rappresentavano poco più di niente: nel 1800 – ma anche fino all'inizio del secolo scorso - raramente avevano la possibilità di studiare, figuriamoci poi esercitare una professione remunerativa; sposarsi non era un’opzione e i soldi li gestiva il marito. Non è passato molto tempo da quando, nel caso una donna volesse vendere un immobile o contrarre un mutuo, aveva bisogno dell’autorizzazione del coniuge. Oggi queste limitazioni non ci sono più ma la condizione femminile non risponde ancora a una piena emancipazione economica. I ruoli di mamma e papà in famiglia non sono paritari e le donne sul lavoro fanno meno carriera degli uomini, perché sono le prime a fare il passo indietro quando si sposano o hanno dei figli, ma anche per una cronica sottostima delle proprie capacità e competenze sul lavoro. Tra i coniugi, chi porta a casa la pagnotta – in termini sociologici, il 'breadwinner' - è molto più spesso lui: solo metà delle donne italiane lavora. E la busta paga pesante non è quasi mai quella della quota rosa. Tutti aspetti affrontati con un approccio tra la cronaca di storie vissute e l'analisi appassionata dei cambiamenti sociali in corso – dal libro “Matrimoni e patrimoni – istruzioni aggiornate per l'uso”, edito da Hoepli e scritto a quattro mani da Roberta Rossi Gaziano, consulente patrimoniale e Debora Rosciani, giornalista di Radio 24, gruppo Il Sole 24 Ore.

“Per le donne, nel nostro Paese” – sottolinea Magda Bianco, Titolare del Servizio Tutela clienti e antiriciclaggio della Banca d'Italia, nella prefazione del libro - “la situazione economica resta sfavorevole: un accesso al mercato del lavoro ancora contenuto, difficoltà nella crescita professionale e differenze nei compensi a parità di ruolo, legati a vincoli “esterni” (l’assenza di strumenti adeguati di conciliazione) e in qualche modo “interni” (maggiore avversione delle donne al rischio, minore self-confidence).” Tutti problemi tipicamente italiani con un’ulteriore aggravante questa volta mondiale. “Il livello di alfabetizzazione finanziaria delle donne è in media più basso, in Italia come nella maggior parte dei Paesi” – scrive Bianco – “Questo le espone a maggiori rischi, tenuto conto anche della complessiva maggiore fragilità economica”.

Nella sostanza, il rapporto tra le donne e la propria dimensione finanziaria è ancora irrisolto. Una questione universale con delle specificità però tutte italiane. “In tutti i Paesi il divario di competenze finanziarie tra maschi e femmine è alto, ma in Italia è amplissimo, molto più alto che in alcuni Paesi Emergenti” fa notare Giovanna Paladino, Direttore del Museo del Risparmio di Torino e responsabile dell'Ufficio del Presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo. I dati sono in alcuni casi allarmanti. Sembra incredibile a dirsi, eppure in Italia una donna su cinque non ha un conto corrente, proprio come ha avuto modo di rilevare un’indagine dello stesso Museo del Risparmio. A chi come noi (autrici del libro e di questo articolo, ndr) si occupa per lavoro di finanza sembra incredibile, mentre per molte donne è invece addirittura un 'sollievo' non doversi occupare di questi problemi. Salvo poi sbatterci la faccia in caso di emergenza. Che cosa si fa quando arriva la doccia fredda che non ti aspetti. Tuo marito perde il lavoro o la testa, per un’altra donna, e la prima moglie non viene uccisa come nella favola di Barbablù, ma rottamata alla velocità della luce …... cercando perdipiù di limitare quanto più possibile l'onere economico della disfatta matrimoniale. Come fa notare il Presidente degli Avvocati Matrimonialisti Italiani Gian Ettore Gassani in “Vi dichiaro divorziati” (Impirimatur Editore)  capita di sentirsi fare discorsi come questi da un maturo imprenditore che si innamora di una donna più giovane “Avvocato, voglio separarmi da mia moglie ma intendo salvare i miei soldi, il mio patrimonio…ho fatto anni di sacrifici, ho sgobbato come un mulo, ora non voglio perdere tutto a causa di un matrimonio sbagliato…mia moglie ha quarantanove anni, l’altra ne ha ventiquattro ed è un fiore…mia moglie è un ostacolo fastidioso e lei me la deve togliere dal mio percorso di vita senza che io ci vada a rimettere troppi soldi”. In effetti oggi con le nuove regole in materia di assegno divorzile, chi ha più da perdere è il coniuge debole. La rivoluzionaria sentenza Grilli del maggio 2017, dal nome dell’ex Ministro dell’Economia italiano – Vittorio Grilli, appunto - trascinato in Tribunale dalla ex moglie che voleva continuare a percepire un cospicuo assegno di mantenimento, ha mandato in soffitta il criterio del tenore di vita. Così Lisa Lowenstein, dopo quindici anni di matrimonio in cui ha rinunciato a far carriera per sostenere quella di lui, oggi si ritrova senza niente: secondo i giudici ha tutte le condizioni per raggiungere l’autosufficienza economica. Il matrimonio, anche per chi sposa un uomo benestante, non può essere più “win for life” ma una decisione di cui ciascuno dei coniugi si assume le rispettive responsabilità, anche economiche. Un punto centrale questo: per le donne che fanno un passo indietro sul lavoro, la decisione di investire tutto nella vita matrimoniale rischia di diventare un punto di non ritorno. Anche perché, dopo esserne state lontane per un po', il mondo del lavoro diventa respingente e rientrarvi non è affatto facile. Certo, il numero dei divorzi in Italia non è ai livelli del Lussemburgo, dove si separano il 70% delle coppie sposate, ma nemmeno quello del Cile dove solo una coppia su 10 finisce in Tribunale. In Italia si separa una coppia su quattro (il 25%): statisticamente un numero non proprio “banale”.

Nell'estate del 2018 la nuova pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione ha parzialmente ridotto la portata della precedente sentenza Grilli, riguardo al criterio che stabiliva che bastasse l’autosufficienza economica a far cessare il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento, confermando però che il tenore di vita goduto durante il matrimonio non conta più. Il parametro primario per calcolare l’entità dell’assegno è oggi la durata del matrimonio: più è longevo maggiore sarà l’assegno, perché si presuppone che la decisione di stare a casa di uno dei due – tipicamente la moglie - sia stata stabilità di comune accordo tra i coniugi e che la durata della vita a due abbia definitivamente compromesso la capacità della parte che richiede l’assegno di rendersi finanziariamente autonoma. Se la durata del matrimonio non è però sufficientemente lunga si aprono territori inesplorati.

Ci si potrebbe trovare nella situazione di non aver diritto all’assegno e di non essere più appetibili per il mondo del lavoro. In fondo bastano pochi anni per non riuscire più a rientrare in un mondo in cui le conoscenze diventano obsolete e il giro delle conoscenze è vivace finché si è in prima linea. Eppure, molte donne di questi rischi non sono assolutamente consapevoli. L’autonomia finanziaria non è considerata così importante e occuparsi dei soldi propri o della famiglia è un compito da delegare al coniuge. Qualsiasi sia il reddito e il patrimonio disponibile.

Tante donne non sono finanziariamente autonome e dipendono dagli uomini. Tante, pur avendo un patrimonio di dimensioni notevoli, magari ereditato dalle proprie famiglie di origine e poi 'condiviso' amorevolmente con il coniuge, non se ne occupano in prima persona. Una donna sue due in Italia non lavora e anche quando lavora guadagna meno del partner. Il 40% delle donne dichiara di gestire in modo autonomo i propri soldi auto-definendosi “manager delle spese familiari”. Ma, fa notare ancora Giovanna Paladino, “un manager non gestisce solo le spese quotidiane, decide tutto, compresi gli investimenti. Così, se si va a scavare si scopre che la donna gestisce le spese quotidiane, mentre le spese straordinarie e gli investimenti sono appannaggio degli uomini.” Sarà certo importante poter decidere in autonomia se comprare il pollo o il manzo per cena o se vestire i figli con gli abiti di Desigual o di Benetton, se comprare una borsa di Furla o di Hermes (a seconda del perimetro del patrimonio familiare) ma chi controlla il patrimonio della famiglia? Chi decide come investirlo? Chi è totalmente autonoma nel decidere quali investimenti fare? Insomma, la regina della casa può avere o un grande regno o a malapena uno scettro in gentile concessione.

La paghetta a quarant’anni è una forma di violenza domestica e non è neanche percepita come violenza – sostiene Giovanna Paladino – e invece le donne devono prendere coscienza che non è normale ricevere una paghetta. Soprattutto se si è sposate.

Anche se si decide di rimanere a casa è opportuno dotarsi di un bancomat personale, di una carta di credito senza chiedere permesso, nell’ottica che si sappia gestire consapevolmente il denaro di tutta la famiglia. Eppure, quando si parla di patrimonio, è più spesso lui a decidere. E se è lui che lavora, assomma la gestione del patrimonio finanziario a quello personale, frutto di anni di lavoro: il capitale umano. Alla donna che decide di rimanere a casa e di non occuparsi e preoccuparsi dell’investimento che si tratti di quello nel proprio capitale umano o in quello finanziario cosa rimane? La lista della spesa? Forse è un po’ poco. Molte donne non capiscono che hanno oggi grandi opportunità – tra cui anche quella di gestirsi totalmente dal punto di vista economico pure se si è in coppia - ma corrono, altresì, dei grandi rischi, primo su tutti quello demografico: vivono più degli uomini, e non per qualche anno, per parecchi anni. Sono preparate a questo scenario? Spesso per molte è un’autentica doccia fredda sentirsi dire queste cose, che si tratti del mondo del lavoro verso il quale hanno fatto un passo indietro rinunciando a sviluppare il loro capitale umano o della gestione del patrimonio, che rimane un mondo inesplorato e verso il quale si registra frequentemente un alto tasso di disinteresse.

In tutte le donne – in via teorica – c’è un enorme interesse verso il concetto di emancipazione finanziaria personale. E molte discutono attivamente in casa sulle scelte migliori da fare. Ma altrettante, pur avendo una visione precisa delle proprie ‘debolezze finanziarie’, non fanno scelte operative destinate a cambiare il proprio status di “marito-dipendenti”. Come a dire: si, so che dovrei fare tante cose per me e la mia vecchiaia ma …”. Forse un dato può servire a far fare un bagno di realtà alle piu'. Le donne culturalmente sono portate ad assumersi meno rischi. Diversi studi dimostrano ad esempio che sul lavoro, a parità di conoscenze e competenze, chiedono meno promozioni dei maschi. Non si sentono mai abbastanza brave, sottostimano regolarmente quando valgono, e hanno troppa paura di fallire. In campi in cui non sentono di avere perfettamente il controllo della situazione arretrano. Succede anche nell'ambito degli investimenti, dove un linguaggio tecnico e spesso incomprensibile per gli addetti ai lavori le respinge e le fa sentire piccole e inadeguate.

“Di finanza non capisco nulla” è l’affermazione più ricorrente detta da una donna. E così quando hanno un patrimonio, spesso si rifugiano in ciò che conoscono. E comprano case. Veronica Berlusconi ha creato una società immobiliare, Alba Parietti compra e ristruttura case. Investire su qualcosa solo perché è conosciuto è una “scorciatoia mentale” e ha anche un nome secondo la finanza comportamentale: “home bias”. Essendo una scorciatoia, non è quasi mai un investimento eccellente. Ne sa qualcosa proprio la signora Berlusconi: la sua società immobiliare, Il Poggio Srl, ha chiuso il 2017 con una perdita di 1,5 milioni di euro, che sommata alle perdite precedenti porta a 6 milioni di euro la perdita complessiva su un patrimonio di 42 milioni di euro.

C'è da dire che comunque alla signora Berlusconi/Lario fanno compagnia quasi tutti gli italiani, storicamente grandi investitori nel mattone nella convinzione che sia un cavallo sempre vincente su cui puntare. E invece in media negli ultimi 10 anni il comparto immobiliare italiano si è svalutato del 25%, deludendo tutti coloro che ancora si ostinano a pensare che questo settore sia del tutto diverso dalle altre classi di investimento. E invece, come si è potuto constatare non è esattamente così, dato che si tratta di un mercato come tutti gli altri, oggetto a oscillazioni e dinamiche che non possiamo controllare. Quando – forse pensando proprio al retaggio mentale legato all'immobile – le donne si rivolgono a un consulente finanziario chiedono più spesso “non mi faccia perdere”. Gli uomini all’opposto “mi faccia guadagnare”.  Ebbene, oggi soddisfare la richiesta di non perdere è quasi impossibile. Anche gli investimenti finanziari che possiamo considerare sicuri (ad esempio un titolo di stato a breve termine) in realtà l'unica sicurezza che oggi possono dare è quella di ottenere rendimenti negativi: domani si avrà meno di oggi. Gli investimenti che hanno un potenziale di rendimento positivo non possono garantire certezze e, anzi, fanno correre dei rischi. E le donne odiano correre dei rischi, hanno troppa paura del fallimento. E questa paura che è figlia del mito della perfezione, che ci dicono alcune professoresse che stanno leggendo il nostro libro, permea le donne fin da ragazze. E condiziona tutta la loro vita futura. Per cui come diciamo nel libro se anche non fossimo l’unico genere in grado di procreare, se anche lavorassimo quanto gli uomini, dimenticandoci di avere per un attimo una famiglia, probabilmente anche messe tutte insieme non guadagneremmo quanto gli uomini. E perché? Perché loro continueranno a riempire più crocette di noi nei test, anche quando non sono sicuri di avere la risposta giusta, mentre noi preferiremo il “non so” e perché noi donne chiederemo un aumento di stipendio o ci candideremo a una posizione quando avremo il 100% dei requisisti richiesti, mentre agli uomini basta il 60%.

Finché noi non avremo il coraggio di salire sugli alberi e di cadere, rimarremo sempre un passo indietro. Che si tratti del lavoro, della gestione del patrimonio, di come ci si divide i lavori di casa. Siamo meglio di quello che pensiamo di essere. E soprattutto gli uomini che ci stanno accanto sono diversi da quelli di un tempo. Più collaborativi, attenti ai figli, solidali. Andare avanti insieme oggi si può. Per diventare la seconda terza e quarta gamba su cui si può reggere una famiglia. E soprattutto per stare in piedi anche da sole.