Si legge spesso come i cinesi siano grandi risparmiatori, grandi consumatori e come la crescente classe media cinese rappresenti una grossa opportunità per i produttori italiani che volessero esportare in Cina. A parte l’impossibilità matematica di essere allo stesso tempo “grandi risparmiatori e grandi consumatori”, dato che la somma dei due deve essere uguale al reddito, una delle cause principali alla base del fallimento di tanti business-plan sta nella carenza di una comprensione approfondita del quadro macro-economico e del quasi totale affidamento a luoghi comuni, senza mai fare i calcoli per bene. Direi che la Sindrome Romiti – che negli anni Ottanta ai cinesi che volevano fare accordi con la Fiat pare abbia detto che erano poveri, che non si sarebbero potuti permettere le auto italiane e che, comunque, in Cina non c’erano strade – non sia ancora stata debellata. Oggi, in Cina, l’acronimo usato tra i giovani internauti per indicare la parola automobile è BBA: BMW, Benz, Audi.

In questo mia breve riflessione, che non vuole (e non potrebbe) essere esaustiva di tutte le problematiche, mi voglio soffermare su tre osservazioni: Il tasso di risparmio dei cinesi non è così elevato come si pensa, perchè si confondono i risparmi aggregati con i risparmi delle famiglie e non lo si rapporta ai redditi disponibili. Il cinese medio non risparmia il 48% del proprio reddito, bensì il 27%, circa. Analizzando il Pil della Cina dal lato della spesa (Y = C + I + NX), la percentuale dei consumi, C, sul Pil, è del 52%. Dal momento che i risparmi e i consumi fanno 100, si deduce, erroneamente che il cinese medio risparmi il 48% del proprio reddito. Ma ciò risulta errato. L’errore nasce perchè all’interno di quel 52% di consumi sono compresi sia i consumi delle famiglie (quello che interessa a noi) sia i consumi del settore pubblico, il governo. Decomponiamo, quindi, quel 52%, C, in consumi delle famiglie (38% del Pil) e consumi del pubblico (14%). A questo punto la tentazione dei non esperti sarebbe ancora quella di concludere che il tasso di risparmio sale addirittura al 62% (100-38), il che sarebbe ancora errato. Per calcolare il tasso di risparmio (risparmio diviso reddito), bisogna andare a guardare al Pil dal lato del reddito (Y = Salari + Prodotti Tasse), dove i salari contano il 51% del Pil. Quindi, il cinese medio spende 38 su un reddito di 51, cioè il 74%. Quindi, il tasso di risparmio è 26%, ben diverso dal 62% ma anche lontanissimo dalla stima iniziale del 48%. In aggiunta all’approccio macro che parte dalla scomposizione del Pil, esiste anche un’altra metodologia per il calcolo del risparmio medio, ed è quella del censimento diretto che NBS (National Bureau of Statistics) fa ogni anno su un campione di poco meno di centomila famiglie. Secondo questo censimento, il cittadino medio cinese guadagna, all’anno, 22.000 RMB e ne spende 15.800, pari al 72% del suo reddito. Quindi, il censimento ci dice che il risparmio medio delle famiglie è del 28%, numero molto vicino al 26% calcolato in precedenza. Diciamo che siamo in un range di stima del risparmio intorno al 27% dei redditi.

La domanda che segue è: questa stima al ribasso dei risparmi del cittadino medio è una buona o una cattiva notizia, per chi cerca di esportare prodotti in Cina?

La risposta dipende dal tipo di prodotto che si vuole esportare, e anche dal fatto se si voglia o meno andare a pescare in quel 27% di risparmi – facendo quindi concorrenza alle banche e alle ragioni alla base di tale risparmio (mancanza di welfare, risparmi precauzionali) – oppure in quel 73% di spesa – facendo quindi concorrenza ad altri fornitori di prodotti di consumo –, cercando di analizzare bene quale parte di quel 73% di spesa si presti a una sostituzione con i nostri prodotti e quale, invece, risulti sticky sul mercato domestico, sia per 2 motivi di accesso al mercato (spese legate alla residenza, istruzione, assicurazione, sport, cultura e altro risultano di difficile penetrazione per operatori stranieri), sia per motivi di preferenza (spese legate al cibo e vestiario sono più aperte agli stranieri. Anche se la nostra presunzione che il cibo italiano sia il migliore al mondo fa sì che per no l’Irlanda, oltre alla Francia, esporti in Cina più food&beverage di noi).

I consumi dei cinesi sono concentrati in un gruppo ristretto, composto da 400 milioni di perso- ne che mettono sotto il materasso il 4% del Pil nazionale. Passiamo a un secondo livello: risparmi e consumi divisi per cittadini urbani e rurali. Quel 27% di cui prima si può scomporre in un tasso di risparmio del 19% relativo alle zone rurali e del 31% relativo alle zone urbane. Quindi, chi vive in campagna spende circa l’80% dei propri guadagni. Quel 20% è uno zoccolo duro che quasi non si tocca, perché è necessario a coprire spese impreviste di sanità, scuole, pensione e tutto il sistema welfare che in Cina manca, nonché aspetti culturali, quali la composizione del nucleo familiare, numero e sesso della prole che alterano le abitudini al risparmio. Quindi, le zone rurali appaiono quasi off-limits per prodotti importati. Resta quel 31% di risparmi medi della classe urbana (57% della popolazione totale), che si può ulteriormente dividere in cinque fasce di reddito per capire da quali tasche pescare: la fascia di reddito più bassa (il cui reddito si configura in circa 12.000 RMB all’anno) risparmia solo il 20%, pari a quello zoccolo duro della classe rurale. Quindi, intoccabile. La fascia media risparmia il 30% del proprio reddito e la classe più ricca, cioè il 20% della popolazione urbana più abbiente (il cui reddito è 65.000 RMB all’anno) risparmia circa 25.000 RMB, quasi il 40%. Quindi, è possibile andare a pescare nelle tasche delle tre fasce di reddito più elevate. Lasciando anche a loro quel 20% precauzionale, le tre fasce top per reddito della popolazione urbana posseggono un potenziale aggiuntivo di spesa rispettivamente pari a 3.000, 5.000 e 12.000 RMB all’anno a testa. Questi tre gruppi sono quello che va dalla classe medio bassa alla medio alta, che è costituita da tre quinti della popolazione urbana, ossia il 57% della popolazione totale. Parliamo di circa 440 milioni di persone. Il totale dei risparmi di questo gruppo di cittadini è di circa 3.000 miliardi di RMB all’anno, o il 4% del Pil. Il che, sembra un’ottima notizia.

Nonostante il numero di individui con alto tasso di risparmio sembri elevato, prima di cantar vittoria va purtroppo ricordato che questa “spesa latente” si è concentrata su poche fasce, ma è geograficamente distribuita a macchia di leopardo. Esiste la percezione che le province costiere siano molto più ricche delle province interne occidentali e che, per esempio, ci sia un surplus evidente di ricchezza a Shanghai. Un altro tranello dove si può cadere se non si sta bene attenti a fare la differenza tra Pil/Capita e reddito disponibile medio. Il Pil/Capita di Shanghai (103.000 RMB/anno) è 3,5 volte più alto di quello del Guizhou (29.000 RMB/anno)1, la provincia più povera della Cina. Scendiamo di un gradino e confrontiamo il Pil/Capita tra le zone urbane di Shanghai e le zone urbane del Guizhou. Passando poi a confrontare il Pil con il reddito personale medio, essendo il Guizhou una provincia con più alta percentuale di residenti rurali (57%), il rapporto tra redditi disponibili dei residenti urbani, ripulito da chi abbassa la media, scende al 2,2x (Shanghai = 53.000 RMB/anno, Guizhou =24.000 RMB/anno).

Quindi chi vive a Shanghai guadagna solo 2,2 volte in più di chi vive in una qualsiasi zona urbana della provincia del Guizhou, nel lontano sud-ovest della Cina.

Infine, ricordiamo che la provincia del Guizhou stessa è composta da varie città che, non essendo capitali di provincia, tendono ad abbassare la media. Se eliminiamo dal calcolo la popolazione che risiede nelle zone urbane delle città di seconda fascia e confrontiamo il rapporto tra il reddito medio urbano di chi vive a Shanghai (53.000 RMB/anno) e il reddito medio urbano della capitale Guiyang (27.200 RMB/ anno)2 il rapporto scende a 1,9 volte.

Dal momento che il costo della vita a Shanghai è più del doppio di quello di Guiyang, viene da chiedersi: non sarà mai che il potenziale di spesa del cittadino medio sia più elevato nello sperduto Guizhou che non tra i grattacieli di Shanghai? Magari, visto che pochi ne avranno sentito parlare, potrebbe esserci anche meno concorrenza che a Shanghai. Ma, anche là a Guiyang, sarà dura! Eppure, non resta che pensarci (e provarci).

In apertura: Liu Bolin, Camouflage 26 (Sous le drapeau), cm 160 x 100, 2006. Courtesy of the artist / Galerie Paris-Beijing