E’ questa una fase cosiddetta “riflessiva” del mercato delle auto d’epoca: allinea meglio i valori delle vetture, distingue bene tra appassionati e speculatori puri e vede diminuire le auto che escono dai garage o dalle collezioni perchè magari la crisi economica induceva alcuni proprietari a monetizzare attraverso la vendita del proprio bene rifugio, diventato oggetto del desiderio per qualcun altro. La stessa ascesa dei prezzi, al limite della bolla, che ha caratterizzato gli ultimi anni per Ferrari e Porsche, si va stabilizzando, sia pure in alto. Nemmeno l’albero genealogico di precedenti proprietari illustri smuove più di tanto le quotazioni dal loro effettivo valore: solo la Bmw Z8 di Steven Jobs, in ottime condizioni, ha beneficiato da Sotheby’s di un ricco sovrapprezzo per essere stata nel garage, quello per le auto, del fondatore di Apple, il quale la registrò con la targa “JobsZ8”, ci fece ben 25 mila chilometri e lasciò nell’abitacolo anche il Motorola Star Tac che faceva parte della dotazione della vettura, quello molto piccolo degli anni 90 del secolo scorso. Non è andata così invece per alcune Ferrari degli anni Sessanta o Ottanta messe sul mercato dai divi inglesi della musica, da Paul Mc Carney, a Eric Clapton o a Elton John. Vedremo cosa succederà alle due Mustang usate da Steve McQueen nel film Bullitt, appena ritrovate, quando le restaureranno e le venderanno.

Resta solido invece il fenomeno delle Alfa Romeo, richiestissime non soltanto in Italia ma in tutto il mondo: le auto prodotte ad Arese, a partire da quelle della prima metà degli anni Cinquanta fino a metà dei Settanta del secolo scorso, sono la testimonianza migliore del passaggio ad un collezionismo più diffuso, anche culturalmente, pur se i prezzi lievitano.

Molte generazioni italiane sono vissute per decenni nella contemporaneità di auto, le Alfa appunto, che svettavano rispetto alla media non solo delle italiane, per lo più utilitarie (Lancia a parte), ma anche rispetto alle straniere più accreditate: le Mercedes, eccetto alcuni modelli più sportivi, erano berline massicce di grandissima qualità ma di scarso fascino, le Audi tranquille vetture per famiglia, le francesi (miracolo Citroen DS a parte) abbastanza ininfluenti, le Opel americaneggianti e basta, le Wolkswagen chiuse a riccio intorno all’intramontabile Maggiolino. L’Alfa invece era di un’altra categoria: motore, sterzo, tenuta di strada, quattro freni a disco già dall’alba degli anni Sessanta. E una gamma completa di berline, a partire dalla mitica 1900 (i fratelli Perrone, proprietari del Messaggero, si spostavano da Genova a Roma attraversando l’Appennino con due di esse, una per loro e una per i bagagli), dalla Giulietta (ne aveva una celeste Enrico Mattei, fondatore dell’Eni) per finire alla Giulia che oggi rivive una nuova stagione di gloria, alla 1750 regina dell’appena nata Autostrada del Sole, e poi all’Alfetta che sta ora entrando nel mirino degli appassionati. E le straordinarie coupè e spider: le prime sono sublimate nelle versioni Gta, quelle che dominavano la propria categoria nelle corse e che oggi costano diverse centinaia di migliaia di euro, mentre le Gt normali che fino a poco tempo fa erano ai margini del mercato, offerte sotto i diecimila euro, oggi viaggiano a quota 40 mila. E le voluttuose spider, dalla Giulietta alla Duetto “osso di seppia” o coda lunga disegnata da Pininfarina, esposta al Moma di New York e diventata celebre negli Stati Uniti, quando ne vennero utilizzate due per le riprese del Laureato con Dustin Hoffman. E le serie speciali, dalla SS alla meravigliosa TZ2, alla equilibratissima Giulietta Sprint.

Una foto scattata il 3 febbraio 2016 mostra un primo piano dello stemma del cofano di una vettura Iso Rivolta degli anni Sessanta, in mostra durante una vendita di auto e moto d’epoca al Grand Palais a Parigi.

La meravigliosa stagione delle Alfa di fatto si chiuse con la Montreal, l’auto costruita su richiesta dell’Expo canadese del 1966 che aveva individuato proprio nell’Alfa Romeo la casa automobilistica mondiale che poteva più delle altre rappresentare l’auto dei sogni. La linea della Montreal venne disegnata da Marcello Gandini, il creatore della Lamborghini Miura, la granturismo che per la prima volta fece seriamente concorrenza alle Ferrari. Ma la più grande e sportiva (33 Stradale a parte, della quale ne vennero costruite solo 18) delle Alfa Romeo, che oggi viaggia sui 100 mila euro per un esemplare in ottime condizioni, non ebbe la fortuna che avrebbe meritato: la casa ci mise più del previsto a passare dal prototipo presentato all’Expo all’auto presentata ai concessionari, il nuovo corso tecnologico prevedeva motori posteriori (vedi Maserati Merak o Ferrari Dino 246 Gt), il prezzo era alto rispetto alla concorrenza e, ciliegina sulla torta, era in arrivo la grande crisi petrolifera che mise gli italiani a piedi la domenica, fece esplodere la bolletta energetica del Paese e mise da un giorno all’altro fuori  gioco tutte le granturismo, costose, assetate di benzina e soprattutto fuori contesto in un’Italia che si era già da qualche anno lasciato alle spalle il boom economico e che si apprestava invece a vivere gli anni difficili del terrorismo, il decennio più buio dal secondo dopoguerra.

Gli anni che vanno dalla fine dei Cinquanta ai primi anni Settanta rappresentano l’epoca d’oro dell’automobilismo italiano prima e di quello mondiale poi e costituiscono oggi il grandissimo serbatoio del collezionismo internazionale. Gli oggetti del desiderio sono prima di tutto le grandissime italiane che hanno fatto la storia dell’automobilismo sportivo: Ferrari, Maserati, Lamborghini, Bizzarrini, Iso Rivolta, poi De Tomaso insieme ai modelli alto di gamma delle Lancia (dall’Aurelia B20 e B24 alle Flaminia Superleggera, per finire con la Stratos e la Delta integrale che a fine anni Ottanta, ultima delle icone, vince sei campionati mondiali Rallye) alle Alfa Romeo di cui sopra. E poi le Abarth e persino alcune sportive della Fiat, dalla rarissima Coupè 8C alle popolarissime 124 coupè e spider e persino alla 850 spider (Anna Magnani nell’ultima serie TV cui partecipò ne utilizzò una gialla) e coupè, la cui seconda serie a quattro fari anteriori e a luci posteriori rotonde in Spagna veniva quasi contrabbandata come una piccola Ferrari. E poi le inglesi, le tedesche e qualche americana Corvette.

Stati Uniti, 2 agosto 1966: test dell’ultima Iso Rivolta GT sulla pista di Riverside.

Ovviamente si trattava anche di grandi storie industriali, nate dalla passione per i motori in un momento storico di grande crescita, di fine degli incubi legati al dopoguerra e alla prima ricostruzione del Paese, di assenza di limiti ambientali, quindi la ricerca delle prestazioni riusciva a legarsi alla bellezza delle carrozzerie disegnate e costruite da Pininfarina, Scaglietti, Zagato, Ghia, Bertone e tanti altri che ha dettato gli stilemi di un’epoca. La rivalità tra Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini, l’uomo che aveva contribuito a motorizzare le campagne con i suoi trattori è quella passata alla storia: il secondo comprava le Ferrari dal primo, per sè e per la moglie, ma non era contento della frizione, la giudicava pesante. Non l’avesse mai detto al Drake, che gli ribattè piccato più o meno così: ma cosa vuoi capire tu di frizioni, pensa a fare i trattori. Il vulcanico Ferruccio non se lo fece dire due volte e mise su la Lamborghini auto: dopo qualche prova d’autore, arrivò il capolavoro assoluto, la Miura. Il dodici cilindri passò in posizione posteriore centrale, contravvenendo alla regola d’oro di Enzo Ferrari per la quale i buoi (il motore) si mettono davanti e non dietro al carro, la carrozzeria disegnata da Gandini divenne larga, bassa e filante. Una rivoluzione, consacrata dopo qualche anno nella versione SV, la migliore di tutte, quella che oggi viene contesa nelle principali aste tra un milione e mezzo e due milioni di euro.

I primi anni Ottanta del secolo scorso cominciarono a segnare l’avvento del collezionismo sulle auto del secondo dopoguerra, quindi sui capolavori italiani di quindici-vent’anni prima (in precedenza si trattava di un fenomeno di totale elite: si conservavano le auto di famiglia, persino più raramente quelle usate nelle corse dai gentleman driver, si mantenevano alcune grandi Mercedes degli Anni Trenta, così come le Bugatti, le Rolls Royce, o le Bentley e poi le prime Cisitalia dell’immediato dopoguerra). Quegli anni, i primi Ottanta, sono entrati nella leggenda come l’epoca dei ritrovamenti incredibili delle grandi sportive abbandonate nei garage e persino nei pagliai delle campagne qualche decennio prima. Pochi erano consapevoli del valore storico di tali vetture e ancora meno prefiguravano lo sviluppo del mercato e del collezionismo. Si trattava di auto vecchie, che passavano di mano per qualche milione dell’epoca, mentre magari costavano di più auto sportive più piccole della stessa epoca, perchè erano più fruibili.

Oggi le punte in alto del mercato, quello che scende dai 42 milioni della Gto alle decine di milioni per altre grandi Ferrari, o ai 12 milioni della McLaren P1 sono appannaggio di pochissimi appassionati nel mondo, a cominciare da Ralph Lauren che ha un garage del valore di 350 milioni di dollari, dalla sua auto più amata, la Bugatti Type 57 SC Atlantic di colore nero del 1936, una delle due sopravvissute delle quattro originarie, nota come la prima effettiva supercar della storia (capace di raggiungere allora, e anche oggi, i 210 kilometri orari) a tutti i modelli sportivi degli ultimi decenni. Al centro del mercato si situano, sia pure con quotazioni che vanno dai due milioni ai trecentomila euro, le regine italiane della fine degli anni Sessanta, dalla Miura, alla Ferrari Daytona, alla Maserati Ghibli. E poi le Mercedes ad ala di gabbiano, le Porsche più esclusive tra le centinaia di migliaia prodotte, le Aston Martin (tra cui la prima Db7 usata da Sean Connery e che oggi vale svariati milioni di euro). Oppure le Ford Gt 40 che vinsero a Le Mans, o le Cobra Shelby. Ci sono criteri oggettivi, in base alla rarità, alla storia e quindi al prezzo.

Ma ciascuno ha la sua auto del cuore, spesso legata alla sua giovinezza, al desiderio inconscio di tornare indietro nel tempo, o magari solo di essere in grado oggi di comprare la vettura che si sognava ieri. E l’auto del cuore può essere anche la prima Panda, quella che sostituì la 127, che venne disegnata da Giugiaro e prefigurava con qualche decennio di anticipo quasi l’avvento dei Suv: oggi molti continuano ad usarla per la praticità e i costi ridotti, e persino qualche sofisticato collezionista inglese di Aston Martin usa tutti i giorni la versione 4x4. Nel frattempo, e anche per questo, l’auto d’epoca è diventata un fenomeno molto esteso anche in Italia, dove però solo ora le case stanno cercando di porre rimedio all’indifferenza di ieri. Se si compra una Jaguar E, la casa ti sa dire all’istante la situazione dei ricambi, mentre un’auto bellissima come la Fiat 130 Coupè disegnata da Pininfarina marcisce abbandonata perchè non vi sono ricambi e il numero ridotto degli esemplari rimasti non rende conveniente alle ditte specializzate produrli.

In definitiva, il Novecento è stato (tra le altre cose) il secolo delle automobili e la passione per quelle d’epoca rende omaggio insieme ad un patrimonio culturale e alla giovinezza di tutti. Si tratta quindi di un secolo e di un romanzo non breve: Infinito continuerà ad occuparsene, magari scrivendo di una vettura oppure di una casa automobilistica alla volta. Con passione, e una punta di nostalgia per il tempo che passa, e che per le auto passa rendendole più belle.