Esiste un momento in cui il tempo si allarga a dismisura, tutto è fermo, le persone intorno a te paiono scomparire, tu percepisci lo scorrere degli eventi quasi “da fuori”, come se il tempo, appunto, fosse un fiume che scorre lentissimo, intrappolato sotto uno strato di ghiaccio. È un momento che nella testa limitata di noi piccoli uomini assurge all’infinito, anche perché accade quasi sempre in cronotopi catartici della nostra esistenza o, almeno, di un nostro frame esistenziale. Quel “momento” per me è stato il 13 maggio del 2004, Sant Antonio, Texas, Stati Uniti. Sul parquet del già AT&T Center, si affrontavano in quello che veniva definito “pivotal game”, ossia la partita su cui “gira” una serie di play-off, a quel punto inchiodata sul 2-2, i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neill e i Sant Antonio Spurs di Gregg Popovich, il Colosseo degli allenatori NBA, e Tim Duncan, il Taj Mahal dei lunghi della storia del gioco. I Lakers andranno fino in fondo, quell’anno perdendo in finale contro i Detroit Pistons, squadra dei nuovi “bad boys”, la coppia dei Wallace, Rasheed e Ben, allenata da coach Larry Brown, una vita da decano meraviglioso della panchina, passato recentemente anche in Italia proprio a Torino, unico essere umano in grado di allenare l’immarcescibile Allen Iverson, portarlo in finale e perdere, con onore, proprio contro i Lakers di Kobe&Shaq, che avrebbero inaugurato un ciclo di tre anelli (vittorie del titolo NBA), interrotta in questo stesso 2014 dallo stesso Brown sulla panchina dei Pistons. Le storie, in NBA, non mancano mai. Sul cronometro di questa gara-5 ci sono 5,4 secondi, Lakers 72-71, rimessa laterale in attacco per Sant Antonio nelle mani dell’argentino Emanuel Ginobili (ogni aggettivo è superfluo). Ho visto gli eventi che seguiranno questo momento, quando le dita di “Manu” lasceranno andare quel pallone, per quei seguenti 5,4 secondi che impegneranno a passare circa 8 o 10 minuti solari, da molte angolazioni, su Youtube, su TNT, su vari siti web amatoriali o istituzionali. Ma non dimenticherò mai la prospettiva che avevo quel giorno, con il mio third tier ticket, a venti metri in linea d’aria dall’azione. “Manu” prima di rimettere in gioco la palla credo che la accarezzi, poi la porta sul suo fianco sinistro, all’altezza della spalla, e un signore che ha mangiato tacos putrescenti tutta la partita si alza, proprio davanti a me, che vedo la canotta numero 20 di spalle, e mi toglie la visuale del passaggio che arriva nelle mani di Tim Duncan dopo, credo, una finta dal lato opposto, per aprire lo spazio tra le braccia di Kobe Bryant, il quale difende a suo modo, facendo solo finta di non essere interessato agli eventi. Duncan è nella trappola dei Lakers, a 5,2 secondi dalla fine dei suoi playoff, spalle a canestro, sul lato destro della lunetta, e Shaquille O’Neill che non si spinge mai a quelle latitudini, solo per l’odore della vittoria che lo attira, che lo marca a distanza francobollare. Ginobili porta un blocco proprio su di lui, per creare un vantaggio, Kobe ci si attacca, e quasi si fa sorpassare dall’argentino che per una frazione di secondo ho la sensazione che prenderà palla per un facile lay-up – ma la Storia, ha piani diversi. E allora Duncan, fa quello che ogni tifoso già sa, ma non vorrebbe: fa due palleggi verso il centro dell’area con Shaq che lo spinge verso la linea da tre punti con la sua pancia dinamitica. Il risultato è che a cronometro pericolosamente verso lo zero, Duncan con l’abbrivio datogli dal peso e dalla forza centrifuga del movimento, quasi in un terzo tempo laterale, torce il busto come un ramo di ciliegio, e girando lo sguardo, solo all’ultimo, verso il canestro, adesso gli è davanti, ma a cinque metri abbondanti, con il tronco e i piedi verso la panchina laterale e solo le spalle e la parte alta del busto in proiezione verso l’anello, lascia andare la palla, spezzando il polso con un “flip” inusuale ma efficace. Il tiro parte a 2 secondi dalla fine, e io vedo intorno a me una coppia che si era baciata a lungo durante la partita, stringersi fortissimo, il texano con i nachos è sempre in piedi, e io con lui, e sento l’acre odore delle sue ascelle e noto i tacos finalmente a terra, in questa frazione, in cui credo di vedere il pallone scheggiare il ferro e i Lakers vincere, mi rendo conto che il tiro ha una parabola che qualche commentatore in camicia e cravatta viola, definirebbe “interessante”. A cinque decimi dalla fine, il pallone è entrato, toccando la base del secondo ferro, e io ricordo solo Hidayet Türkoğlu, il giocatore turco dei Sant Antonio, stare con le braccia alte e i pugni chiusi, come se qualcuno armato di pistola gli avesse urlato di alzare le braccia. È cereo, e informe, con le braccia alzate. Tutti corrono verso Duncan e verso la panchina degli Spurs, che è dall’altro lato del campo e nessuno si rende conto che mancano ancora quei fatidici 4 decimi. La gente è impazzita, io mi sento un po’ stranito perché anche se non tifo gli Spurs, mi rendo conto di aver avuto la fortuna di aver trovato un gronchi rosa sul marciapiede sotto casa. Tim Duncan batte i Lakers con un tiro da cinque metri e mezzo, Shaq addosso, praticamente allo scadere, dopo che un canestro di Kobe Bryant 3 secondi prima nella cronistoria della gara sembrava aver consegnato la vittoria agli stessi Lakers di Los Angeles. Il resto è nei libri di storia di quell’attimo infinito cui si faceva riferimento prima: il tempo si allarga, siamo tutti in questo affresco enorme, in cui il texano è in piedi sui suoi nachos, io sbilenco, semi-seduto, la coppia a fianco ancora abbracciata. I Lakers, storditi, metteranno in campo una rimessa porosa, non riuscendo a passarla a Kobe (primo ricevitore) e mettendola in mano a Derek Fisher, anche lui spalle a canestro, inseguito da Ginobili. Tutti pensiamo di vedere il pallone in aria non toccare nulla e vedere scendere i coriandoli dal soffittone dell’AT&T Center. Siamo immobili e quei quattro decimi si espandono sopra di noi. Il finale lo conoscete. Fisher prende il pallone in mano, si gira, tira con la sua mancina, parabola infinita, canestro, vittoria, corsa dei Lakers in spogliatoio, review degli arbitri, “it’s out of his hands”, ha tirato in tempo prima della fine, Lakers 4-2 nella serie (vinceranno allo Staples Center, tre giorni dopo gara-6).  L’infinito momento di questi uomini in canotta sulla Terra.