Le quote rosa? “La legge ha avuto il merito di smuovere le acque e di aver portare a galla il tema della diversità. Ma sono contro il principio degli sconti di genere: le donne non sono dei panda. Anzi, hanno tutti gli strumenti per poter crescere e camminare sulle proprie gambe senza aver bisogno di una protezione particolare”. Non ama le mezze misure una delle donne di maggior successo nel mondo della finanza: Alessandra Gritti, amministratore delegato di Tip, la società fondata assieme a Gianni Tamburi che è ormai un punto di riferimento per il “quarto capitalismo”, ovvero il sistema delle medie imprese, in genere familiari (o comunque costruite attorno ad un manager dalla leadership forte), che rappresentano il meglio del sistema industriale del Bel Paese. E parla sulla base dei successi conquistati sul campo, passo dopo passo,  compresi i compromessi compiuti negli anni dedicati all’educazione dei figli, che l’hanno costretta per anni a limitare l’attività con i clienti, “che vanno seguiti da vicino, anche se questo ci costringe a percorrer per lavoro per almeno 50 mila chilometri in un anno lungo tutta l’Italia”. Solo così, con un’assistenza costante sul territorio si possono fornire alle aziende familiari del made in Italy quei servizi che i colossi tipo Goldman Sachs o Morgan Stanley non possono garantire. ”Molte aziende che abbiamo in portafoglio – spiega – sono venute da noi perché abbiamo saputo far la differenza aiutandole a prendere le decisioni che riguardavano l’azionariato o il consiglio di amministrazione. E’un asset unico che in questo momento non ha nessun altro”. Un onere, quello delle trasferte, che negli anni è ricaduto soprattutto sulle spalle di Gianni Tamburi, il compagno di Alessandria nel lavoro e nella vita, padre dei suoi due figli che oggi studiano in America lontani dalle tentazioni di una gioventù dorata (“ho scartato Londra perché anche lì il nome Tamburi rischia di essere troppo importante”). Un partner con cui dividere discussioni e decisioni  da prendere senza indugi, perché in finanza il tempo è davvero denaro.

“L’importante è non trovarsi mai nella condizioni di dire in seguito: te l’avevo detto”.

Un obiettivo  peraltro difficile per una coppia qualsiasi, figurarsi per un tandem che opera in uno dei crocevia più sensibili e trafficati della finanza italiana. “Il segreto consiste nel saper lavorare in team e di essere molto flessibili", risponde la manager, sottolineando il ruolo del direttore generale Claudio Berretti, in  azienda dal 1995. Senza trascurare l’ingrediente base: la stima reciproca. “Gianni ha una capacità di visione straordinaria”dice lei. “E’ una donna di grande intelligenza – replica lui – i cui consigli, pur se improntati ad un’estrema prudenza, spesso preziose”. E, a proposito di consigli, Alessandra ne rivolge uno alle colleghe della finanza: fatevi avanti.

”Troppo spesso –spiega - le donne sono le prime a tirarsi indietro, senza provarci nemmeno. Nel mondo della finanza ci sono e sono anche molto brave, ma la maggior parte di loro non ha l’ambizione o il desiderio di farsi vedere”.

Cioè? Le donne sono le prime a ritirarsi. Io le ho cercate, le cerco e le voglio tuttora ma è difficile anche solo farci un colloquio. Il motivo? Le donne studiano, fanno sacrifici, arrivano a 30 anni indaffarate e desiderose ma al primo marito o uomo che arriva sentono la pressione del compagno forte, dell’impegno familiare, e mollano. Ci sono almeno 5 mila laureate alla Bocconi che sono sparite negli ultimi anni. Dove vanno a finire? A lavorare al desk in banca o nel mondo della comunicazione. Perché hanno la sensazione che siano professioni più gestibili, che si possa lavorare anche da casa”. Tra queste non c’è di sicuro il mestiere del private equity. “Certo, se sei sul deal non puoi lavorare da casa”.

Perciò non è possibile combinare carriera e vita privata? “No, ma bisogna crederci."

"Intraprendere questo percorso è possibile. Certo, devi far un passo indietro quando entri nella, diciamo così, modalità figli. Ma la struttura è pronta a concederti i tuoi spazi per il tempo necessario. Molte donne si lamentano per aver dovuto scegliere tra lavoro e famiglia. Ma io chiedo loro? Ci avete provato sul serio combinare le due attività?  O vi siete ritirate prima? Ho imparato in ospedale, facendo la volontaria della Croce Rossa, che non bisogna lamentarsi per questioni che si possono risolvere senza drammi. I veri problemi, quelli insolubili, sono altri ”. 

La legge sulle quote rosa ha favorito la tutela della donna nel mondo del business? “Sono molto contraria a prendere una persona e, solo perché è donna, metterla in un consiglio di amministrazione. A suorischio e pericolo. Viene inserita in un’azienda di cui non sa niente, in cui non ha mai lavorato, con responsabilità elevatissime e spesso le vengono affidati ruoli “scomodi” che nessuno vuole ricoprire. Perché una donna dovrebbe accettare tutto questo? Io non credo, poi, che si siano in Italia 900 donne all’altezza delle posizioni previste secondo la legge. E così si generano situazioni assurde. Donne che, per sentirsi all’altezza, seguono corsi sulla redazione di un comunicato stampa, quasi fosse il compito di un amministratore che, al contrario, è il frutto di  un percorso professionale all’interno dell’azienda attraverso cui l’amministratore, uomo o donna che sia, acquisisce le competenze e le conoscenze necessarie per affrontare le situazioni, anche le più difficili”.

Insomma, no alle quote imposte per legge. “Diverso sarebbe se in sistema delle quote valesse dall’inizio: tanti uomini e tante donne assunte, in una percentuale da mantenere a ogni tornata di promozioni. In questo modo non solo nelle aziende avremmo un bilanciamento di genere a tutti i livelli, ma anche un aumento delle responsabilità in maniera graduale e quindi la possibilità di valorizzare le qualità delle donne come la diligenza, la determinazione e le capacità organizzative. Si potrebbe così dar vita ad mix di genere che è  abbastanza comune nelle società del Nord Europa”.

Care amiche, è il messaggio, non arrendetevi. Anzi, sgomitate. Ma nel modo giusto, senza far conto su presunti aiuti che rischiano di rivelarsi un’arma a doppio taglio. Non è facile, ma è possibile, come dimostra la storia, ormai lunga di Alessandra Gritti che si avvia a compiere 35 anni di carriera nel mondo della finanza. La sua gavetta, infatti, inizia nel 1983 ancor prima della tesi con cui la giovane di Varese, diplomata al liceo internazionale, si laurea in Economia Internazionale, specializzazione in Finanza Aziendale con un eloquente 110 e lode che giustifica la chiamata di Jody Vender, il pioniere del private equità venture capital italiano, che ha imparato ad apprezzare in aula le qualità della discepola al punto da invitarla a collaborare ancor prima della consegna della tesi (110 e lode, naturalmente). “Dopo quell’offerta mi sembrava di camminare un metro sopra la terra –ricorda- avevo appena cominciato a lavorare e già coronavo il mio sogno: fare pratica come venture capital, ”.  Eppure, dopo nemmeno un anno, lascia la boutique finanziaria di Vender. La ragione? “Semplice: non percepivo uno stipendio. Anzi nemmeno un rimborso spese”. Il problema però non era solo o soprattutto denaro perché, data anche la giovane età, Gritti può senz’altro fare affidamento sulla famiglia. “Ma era questione di rispetto per quel che facevo. La responsabilità non era di Vender ma non mi trovavo a mio agio nella struttura”. E così, a poco più di 24 anni, Gritti lascia il maestro, prima prova di quella determinazione e di quel coraggio che la spinge “a sgomitare nel modo giusto”: il nuovo impiego è all’ufficio studi del Mediocredito Lombardo, una posizione più tranquilla che occupa fino al maggio del 1986, in attesa di mettersi di nuovo alla prova nella prima linea della finanza più innovativa. E’ in questo periodo che incrocia per la prima volta Giovanni Tamburi, romano, laureato alla Sapienza, che si va facendo le  ossa all’Euromobiliare di Guido Roberto Vitale ed Alberto Milla, la merchant bank di riferimento della finanza meneghina in pieno fermento sotto la spinta di soci come il vulcanico Carlo De Benedetti degli anni Ottanta o del ciclone Gardini. “Non fu granché  quell’incontro – ricorda – Finora hai sbagliato tutto, mi disse Gianni”. Forse lo pensava, forse i ricordi ingannano. Sta di fatto che, a metà del 1986, Tamburi invita Alessandra a mandare un curriculum.  Inizia la lunga stagione dell’Euromobiliare, otto anni in cui la merchant bank cambia pelle e soci di riferiment. Il periodo più interessante è quello in cui, sottola guida dei “maestri”, Gritti entra in contatto con segreti e protagonisti del business, guadagnandosi sul campo i galloni di responsabile del settore M&A. Ma, nel frattempo, Euromobiliare passa di mano. La  società entra nell’orbita di Midland Hong Kong & Shangai Bank che vi concentra tutte la attività di investment-merchant bank per l’Italia. “Hsbc era un colosso internazionale che si occupa di deal di grandi dimensioni – spiega –  che mal si conciliano con le caratteristiche del mercato italiano ”. E così, spesso l’attività della consociata italiana si riduce alla partecipazione pro quota alle operazioni internazionale decise dalla casa madre. E, vista con gli occhi della dirigente italiana, a costanti trasferte in quel di Londra per assistere alla presentazione delle operazioni pensate da altri. Passata la stagione di Hsbc, Euromobiliare entra nell’orbita del Credito Emiliano. Per carità, niente contro le banche, ma la routine dell’attività di credito non è certo il posto che fa per Alessandra che cerca un ruolo più vicino al cuore del business. Assieme a Tamburi che, lasciata Euromobiliare, ha nel frattempo affrontato altre esperienze, non ultima quella nella Commissione per le Privatizzazioni.

Nel 1994 Gianni ed Alessandra sono maturi per l’impresa della vita: nasce Tamburi & Associati, società specializzata nell’assistenza di operazioni di finanza aziendale (M&A, IPO, Adivsory in genere) che nel 2007 verrà fusa per incorporazione in Tamburi Investment Partners. Il resto è storia. Il primo cliente è Giulio Malgara, patron di Chiari & Forti, che affida loro i dossier sullo sviluppo delle partecipazioni alimentari. Segue l’incontro con Datalogic, una delle prime imprese coinvolte nella grande rete che accomuna le 130 e più famiglie del capitalismo italiano che hanno consentito il decollo di Tip, che nel 2018 ha superato la soglia di un miliardo di capitalizzazione. Una rete costruita sotto traccia, tra grandi intuizioni ed aumenti di capitale fatti per rafforzare Tip e le aziende partecipate piuttosto che il portafoglio dei fondatori. “Potremmo essere più ricchi – precisa Alessandra – ma sarebbe tradire la missione che ci siamo dati: il nostro obiettivo era di creare qualcosa che ancora non c’era”. E ci sono riusciti.