«Che questa convention di unità possa durare mille anni!». Con questo augurio dell’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié 59 anni fa si chiuse ad Addis Abeba una conferenza storica: i leader di 30 degli allora 32 stati africani indipendenti, firmarono la carta costitutiva che diede ufficialmente vita all’Organizzazione dell’Unità africana (Oua). Era il 25 maggio del 1963. Da allora, quel giorno, è l’Africa day, una festa che ricorda ed esalta il processo di decolonizzazione continentale. Nel frattempo, l’Oua, nel 2002, è divenuta Unione africana (Ua) e i restanti stati – in tutto l’Ua ne comprende 55, tra i quali anche la Repubblica Araba Saharawi, riconosciuta dall’Unione ma non da gran parte dal resto del mondo – hanno preso a farne parte nel corso degli anni.

AFRICA POVERA? NO, IMPOVERITA

Dall’epoca della grande decolonizzazione, l’Africa ha fatto enormi cambiamenti e si presenta ora al mondo con un volto, anzi, tanti volti, che meritano nuovi approcci e attenzione. La retorica del continente povero e sottosviluppato è ormai una ripetizione stanca e misera di approfondimento. Dire che l’Africa è povera è quanto di più sbagliato. Il «continente nero», infatti, è infinitamente ricco di tutto. E se giace (ancora per poco) negli ultimi posti delle statistiche di benessere e sviluppo è perché «impoverito» per secoli. Le stime più recenti ci dicono che accoglie al suo interno il 65 per cento delle riserve di materie prime globali (petrolio, oro, diamanti, rame, cobalto, eccetera). Più nello specifico, circa metà dell’oro del mondo e un terzo di tutti i minerali sono in Africa. Nel continente ci sono milioni di ettari di terreni coltivabili, escludendo le foreste, un potenziale enorme che attende di essere sfruttato (solo il 25 per cento è coltivato e il 5 per cento irrigato). La sua popolazione ha un’età media di meno di 20 anni: un baby-booming che sta innescando una crescita economica seconda solo – nel giro di qualche decennio – a quello del Sud-Est Asiatico.

IL CINEMA TRASLOCA A NOLLYWOOD

Si dovrebbe poi parlare a lungo del patrimonio e dell’indotto artistico-culturale dell’Africa. Uno degli esempi più lampanti ci viene dall’industria cinematografica nigeriana. Nollywood già nel 2006 registrava una produzione superiore a Hollywood e seconda solo a Bollywood. Il box office lo scorso anno ha incassato 4,8 miliardi di dollari, un aumento del 128,57 per cento rispetto al 2020. Ad oggi, contribuisce al 2,3 per cento del Pil interno della Nigeria e sta creando un effetto domino in altri paesi del continente. Naturalmente non si vuole qui fornire un’immagine irenica e a-problematica dell’Africa che resta il continente con il numero maggiore di paesi in cui si consumano conflitti (31), dittature (anche se in diminuzione), in cui un numero ancora alto di individui vive sotto la soglia di povertà, o dove le emergenze climatiche e umanitarie sono diffuse. Quello che si intende affermare qui è che l’Africa non è solo questo e che restare ancorati a questa vecchia narrativa figlia di un pensiero unico colonialista, è totalmente fuorviante. Purtroppo, però, stando a quanto ci restituisce Amref Italia con la preziosa indagine l’«Africa mediata» svolta in collaborazione con Osservatorio di Pavia, in uscita puntualmente ogni anno in occasione dell’Africa Day, il nostro paese è ancora drammaticamente indietro in quanto a informazione sul continente. 

L’«AFRICA MEDIATA»…

L’analisi della ricerca, svolta nel periodo marzo 2021 – febbraio 2022, si divide in tre aree. La prima riguarda le prime pagine dei principali quotidiani (Avvenire, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, La Repubblica, La Stampa) e conferma un interesse marginale per l’Africa. La media mensile di notizie è pari a 16, un numero ancora decisamente basso che rivela, inoltre, una tendenza sempre molto italocentrica: il 67,6 per cento di queste 16 notizie fanno parte della categoria che Amref chiama «Africa qui» e solo il 32,4 per cento da «Africa là» (quasi solo Libia, Egitto – per Zaki e Regeni – Etiopia e Repubblica Democratica del Congo per l’omicidio Attanasio). Va ancora peggio nei principali telegiornali. Su più di 44mila notizie analizzate solo 1522 (3,4 per cento) hanno riguardato direttamente o indirettamente l’Africa. Il silenzio sull’Africa nei Tg è quasi assoluto e quando viene rotto, è spesso a causa di notizie di colore, curiosità che ancora riportano a un immaginario banalizzante, arcaico e folkloristico del continente.

…E IGNORATA: UNA NOTIZIA OGNI 63 ORE DI TG

La terza area indagata riguarda i programmi di informazione e infotainment e ha utilizzato un campione di 90 trasmissioni in onda sulle sette reti generaliste a diffusione nazionale. Su 61.320 ore trasmesse in un anno dalle sette reti monitorate, sono stati rilevati solo 967 riferimenti all’Africa, in media uno ogni 63 ore di programmazione.

La fotografia che l’Italia scatta sull’Africa, quindi, è piena zeppa di imperfezioni. La scarsissima presenza nei media, l’assenza quasi totale nei dibattiti, causano un pericoloso provincialismo, brodo culturale ideale in cui far proliferare ignoranza e razzismo da una parte, e incapacità di cogliere opportunità di relazioni dall’altra. Come ripete Amref «le diversità evidenti tra i paesi africani, in termini geografici, storici, culturali, linguistici, climatici, politici, sociali sono appiattite da un racconto sull’Africa che tramanda il mito - inesistente - dell’omogeneità africana».

L’Africa appare come un luogo remoto, dannato e senza prospettiva. Manca del tutto la visione di una normalità africana fatta di industrie ed economie in grande ascesa, di città moderne, di artisti, scrittori, di nuove classi politiche, movimenti femminili, ambientalisti, di attivisti Lgbtq. Come se l’Africa fosse un luogo sostanzialmente statico, cristallizzato in quell’immagine di continente depredato e senza speranza a cui l’Europa lo ha ridotto per secoli. Uno stereotipo che, per fortuna, è sempre più lontano dal vero.