«Tu la fai facile perchè in Africa si sta bene 😉», mi ha scritto Valerio un mio compagno delle superiori sulla chat Whatsapp della classe. Avrà capito tutto lui prima di me che ci vivo dal 2006? Forse si, da fuori si dice si capisca tutto meglio. Sarà solamente una boutade dopo due anni di pandemia e lo stress per la guerra in Ucraina? Oppure inizia a prendere forma anche in Italia l’idea che l’Africa potrebbe diventare il continente del futuro? Avrete probabilmente sentito in più salse parlare dell’Africa ricca di materie prime e della corruzione, delle guerre e dell’emigrazione, delle carestie e delle malattie.
Non mi stupisce che ancora oggi miei amici laureati con carriere eccezionali, non verranno mai a trovarmi perché hanno paura di finire a bollire nel pentolone con una patata (dolce) in bocca. Quando studiavo economia, il rischio paese, risuonava come qualcosa di esotico e avventuroso da Compagnia delle Indie, oggi, con uno sguardo più concreto, vedo che sebbene il rischio paese sia ancora medio-alto, le giovani economie di molti paesi africani iniziano ad assumere una fisionomia definita.
Ad esempio, Standard and Poors attribuisce al Botswana (BBB+), un rating migliore di quello d’Italia, Portogallo e Grecia; anche la Costa d’Avorio (BB-) ha lo stesso rating del Brasile e migliore della Turchia. Oggi il rischio di investire in uno stato africano esiste, ma è mitigato all’origine da una serie di agevolazioni ad hoc che molti stati africani riconoscono a chi investe nel paese determinati capitali, o lo fa in alcuni settori specifici. Si va da ammortamenti super accelerati, alla possibilità di rimpatriare gli utili, passando per l’esenzione sui dazi doganali, e molto altro, in base alla propensione ad attirare capitali dei diversi stati. La situazione politica di molti paesi è in lento miglioramento, il tempo degli aiuti quasi a fondo perduto sta finendo, ed è ormai chiaro alle crescenti classi medie che il progresso non può prescindere dallo sviluppo economico.
Il continente giovane.
L’Africa è un continente giovane, non solo da un punto di vista geo-politico, ma anche e soprattutto per la popolazione. L’età media in Africa è di 19,7 anni, contro i 42,5 dell’Europa.La popolazione africana cresce in media un 2,5% l’anno, l’Europa dello 0,12%. Nel 2020 la popolazione africana era di 1 miliardo 340 milioni, l’Europa di 747 milioni, nel 2050 l’Africa salirà a 2 miliardi e quasi 500 milioni, mentre l’Europa arretrerà a circa 710 milioni. Stesso trend fino al 2100 con l’Africa che abbatterà la soglia dei 4,2 miliardi (e con l’Europa ad arrancare verso i 629 milioni, inferiore alla sola popolazione stimata per lo stesso anno in Nigeria che raggiungerà 800 milioni). C’è molto da pensare e pianificare viene da pensare: nel 2100 una persona su tre vivrà nell’Africa sub-sahariana. Scusate la divagazione personale ma chiamatemi pure pioniere. Nei prossimi 50 anni l’Africa disporrà di un notevole dividendo demografico: le persone in età lavorativa, tra i 15 e 64 anni, secondo lo United Nations Population Fund, saranno molte di più degli studenti e dei pensionati.
Se gestita bene dai governi, questa situazione darà a livello macroeconomico un grande vantaggio competitivo all’Africa. Il dividendo demografico non produrrà di per sé un incremento del PIL, un incremento dei redditi medi, o dei profitti degli investitori, ma è un’ottima situazione di partenza.
Gli stati africani non saranno i primi a trovarsi in questa situazione, e potrebbero trarre ispirazione dalla buona gestione del dividendo demografico messo in pratica da Cina e India negli anni passati. Uno degli effetti immediati sarà una notevole necessità di nuove infrastrutture, che potrebbe dare il via ad una crescita senza precedenti nel settore delle costruzioni se i governi riusciranno a limitare la mala gestio del denaro pubblico e la corruzione. Non molti sanno che l’Africa ha circa il 60% della terra arabile del pianeta, nonostante questo, oggi ancora molti dei suoi 54 stati importano prodotti agricoli. È arrivato il momento d’introdurre la Cina, primo partner commerciale dell’Africa affamato di materie ma anche di prodotti agricoli. Nel mio viaggio a Londra in bici nel 2012, ho incontrato cinesi al lavoro in tutti i sette stati africani che ho attraversato senza soluzione di continuità. Non solo li ho visti rifare e asfaltare strade in Zambia, Tanzania, Etiopia, costruire grattacieli a Nairobi, Addis Abeba e al Cairo, ma li ho trovati anche in Sudan accampati in container nel mezzo del deserto del Sahara a sondare il terreno alla ricerca di metalli pregiati da esportare. La presenza cinese non è limitata alle grandi imprese statali, si possono trovare medi, piccoli e minuscoli imprenditori anche nei mercati rionali di Dar es Saalam o Lusaka. Uno studio del 2017 di McKinsey rilevava che delle 10mila imprese possedute da cinesi in Africa, solo un terzo erano impegnate nel settore manifatturiero e la maggior parte aveva dimensioni medio-piccole.
Il ruolo del Dragone.
Il 29 novembre 2021 nel suo discorso all’apertura dell’8° Forum on China–Africa Cooperation, tenutosi a Dakar, il presidente cinese Xi Jinping, ha riaffermato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, la necessità di rafforzare i legami, soprattutto commerciali, tra Cina e continente africano. In particolare, ha anticipato l’avvio di dieci progetti di cooperazione di ambito agricolo, con l’invio di 500 agronomi esperti e la realizzazione di un «green channel» per far arrivare prodotti agricoli africani in Cina. Il piano che prevede agevolazioni fiscali per chi esporterà varrà almeno 300 miliardi di dollari in tre anni. La Cina, seguita dall’India, ha capito molto sul potenziale dell’Africa da molto tempo. Inoltre, come ben spiega Dambisa Moyo, un’economista zambiana che siede anche nei consigli di amministrazione di 3M e Chevron, il modello di sviluppo cinese è ritenuto in Africa e dagli africani quello migliore per loro, in grado di migliorare il loro standard di vita nel breve termine. Il modello cinese a capitale prevalentemente statale, incentrato sui diritti economici più che su quelli politici ha un appeal nei mercati emergenti per due motivi inoppugnabili: in primis l’incredibile performance economica degli ultimi 30 anni, che ha permesso alla Cina di far uscire dallo stato d’indigenza 300 milioni di cinesi. Poi la capacità di sviluppare infrastrutture su larghissima scala come strade, dighe, porti, ospedali e centrali elettriche; spettacolare la metropolitana, sotterranea e sopralevata, di Addis Abeba, l’ho fatta tutta avanti indietro due volte. Anche per quanto riguarda l’assistenza sanitaria la Cina sta dando un contributo sia in termini di ospedali che di medicinali soprattutto nelle aree rurali. Lo so che nel mondo occidentale prevale un’idea della Cina in Africa non molto positiva, si parla di neocolonialismo attuato attraverso corruzione, accordi opachi e con l’erogazione di finanziamenti come mezzo per guidare le politiche locali secondo i desideri di Pechino. C’è chi rincara la dose accusando la Cina di legami con despoti, di inquinare e di approffitare delle poco qualificate amministrazioni locali e in generale di avere un approccio predatorio, poco sostenibile.
In Africa però la percezione è diversa, molti non ritengono che le nazioni africane siano vittime di una seconda colonizzazione, bensì vedono nella Cina un partner senza velleità coloniali e rispettoso della cultura e delle tradizioni dei diversi stati africani. Gli africani sono ben consapevoli di alcune carenze della partnership con la Cina, dallo squilibrio della bilancia commerciale al pesante indebitamento, dalla poca attenzione alla sostenibilità alla mancanza di trasparenza, dalla corruzione alla scarsa qualità dei prodotti esportati in Africa.
Gli africani però pensano che siano i loro governi a doversi assicurare che la Cina non li sfrutti o approfitti delle loro debolezze. In Zambia gira questa barzelletta che conferma la consapevolezza dello stato delle cose. Siamo a Kitwe, capitale del Copperbelt, regno delle miniere di rame. Una donna zambiana, Mutinta, sposa Mr. Wu, un tecnico minerario cinese. Hanno un bambino che chiamano Wu junior, improvvisamente dopo 7 mesi il bambino muore. Al funerale il papà della sposa piange disperato sul portone della chiesa ripetendo «Lo sapevo, lo sapevo, ... io lo sapevo ...». «Cosa sapevi?» chiede uno dei presenti. «Lo sapevo che le cose cinesi non durano a lungo ...». Alcuni prodotti cinesi non durano a lungo ma sono di gran lunga più economici di quelli occidentali, ad esempio una moto cinese costa circa di mille dollari, un terzo di una moto giapponese. Certo la moto cinese darà più problemi di manutenzione, sarà meno stabile con look un po’ retro, però i pezzi di ricambio costano pochissimo e un contadino zambiano creativo e paziente risuscirà quasi sempre a sistemarla in qualche modo, e ad andare a comprare il mangime o a consegnare il latte alla cooperativa. Stessa cosa per i trattori, o le pompe idrauliche, le macchine per estrarre l’olio dalle arachidi. Questo muove l’economia; la Cina (e in misura minore l’India) ha una gamma di prodotti accessibili anche per persone con basso reddito. A livello macro i prestiti cinesi a interessi molto bassi hanno consentito a molti stati africani di aggirare le grinfie del Fondo Monetario Internazionale o della World Bank, e di sottrarsi agli aggiustamenti strutturali che non gioverebbero di sicuro ai cittadini africani. Allo stesso tempo la Cina ha aiutato i governi africani a rispondere tempestivamente alla crescente domanda interna di servizi e infrastrutture. Da un sodaggio di Afrobarometer del novembre scorso è emerso che la stragrande maggioranza dei tanzaniani percepiscono l’influenza economica e politica della Cina come positiva, e per la prima volta il modello di sviluppo cinese, è risultato preferito a quello americano.
La Cina ci può aiutare?
Come sostiene Dambisa Moyo, con una Cina a questi livelli bisognerebbe cooperare per poi competere invece di contrapporsi. Per un investitore europeo la presenza cinese in Africa è sicuramente un grande vantaggio perché si troverà a disposizione strade, ponti, energia, telecomunicazioni e ospedali difficilmente immaginabili 20 anni fa. Inoltre, la baldanza della Cina non può essere trascurata dall’Europa e gli Stati Uniti, ad è notizia recente che l’UE sta preparando un pacchetto di finanzimenti per 150 miliardi di euro, 20 miliardi all’anno a supporto degli stessi settori di rete dei trasporti, energia, telecomunicazioni, istruzione e sanità. Un tempo era la Cina a copiarci. Questa competizione nel cercare di diventare partner privilegiati del continente del futuro prossimo offrirà grandi opportunità agli investitori privati europei.
L'Africa del futuro, oggi.
Dopo questo quadro generale, incompleto e in continua evoluzione, proviamo a scendere a livello micro. Se l’Africa è il continente del futuro, lo sarà per tutti i suoi giovani abitanti, ma anche per chi vorrà investirci. Nel luglio 2012, in cima a uno dei tanti passi etiopi, un pastore mi ferma e vuole fare una foto con me e tutta la sua famiglia, foto bellissime. Il 93% degli africani possiede un telefonino, Samsung è uno status symbol, la cinese TECNO, penso sconosciuta in Italia, ha un mercato enorme, tutti i telefoni hanno due sim card, alcuni tre. Tutte le compagnie telefoniche permettono di usare il telefonino come un c/c bancario, per depositare e trasferire denaro, acquistare l’abbonamento della televisione satellitare, prepagare la corrente, pagare rette scolastiche e la tassa di circolazione. In Zambia col telefono gli agricoltori ricevono il voucher per ritirare le semente e il fertilizzante sussidiato dal governo. Tra le prime dieci aziende per capitalizzazione di mercato quattro sono compagnie telefoniche. L’Africa del futuro farà uso crescente di tecnologia, al momento esistono già più di 600 tech hubs in Africa, che producono un numero crescente di start-up e aziende come Sokowatch, da poco ha cambiato il nome in Wasoko, che fornisce servizi a 24mila negozietti informali in Kenya, dove è nata, Tanzania, Rwanda e Uganda, dove a Kampala usa tuk tuk elettrici per le consegne. Durante l’emergenza per il COVID, la cinese ZTE ha fornito gratis agli operatori sudafricani il primo lotto di banda 5G aggiornando più di 1500 antenne. Già nel 2011 ricordo una receptionist di un albergo di Nairobi dire che ormai la gente si lamenta di più per l’assenza di WI-FI, che per la mancanza d’acqua. La classe media, la cui crescita è una delle condizioni per mantenere le premesse ottimistiche di questo articolo, è affamata di prodotti e servizi di valore e qualità, non solo tecnologica. Di questo quasi per caso se ne è accorto una quindicina di anni fa Donato Elicio; dopo un sopralluogo in Zambia in visita allo zio Nunzio Apostolico, pensò che non sarebbe più tornato. Poi in Italia il settore della conceria e dei pellami dove lavorava va in crisi a causa della competizione cinese, e lui si ritrova in Zambia a girare gli uffici acquisti dei supermercati con cataloghi di pasta e olio d’oliva pugliese. L’inizio è lento, deve spiegare alle catene della distribuzione che gli spaghetti sono pasta, e ha lo stesso prezzo dei maccheroni, mentre per loro era qualcosa di diverso che pagavano di più senza motivo. Oggi importa in Zambia più di 200 prodotti tra pasta, olio d’oliva e vino, per 1,5 milioni di euro dando lavoro a 43 dipendenti. Il futuro dinamico è qui, la statica Europa è bella in vacanza.