Datemi un diamante, vi rivelerò i segreti della Terra. È la scommessa vincente di Fabrizio Nestola, classe 1972, il geologo balzato all’attenzione della comunità internazionale per i risultati delle sue ricerche su quel che avviene sotto la superficie della pianeta. I risultati, pubblicati addirittura su Science e su Nature, le due riviste scientifiche più importanti, hanno aperto nuovi orizzonti su quel che avviene sotto la crosta terrestre. Un lavoro in costante evoluzione, e in attesa di nuove scoperte, perché lo scienziato, alla testa di una squadra internazionale che ha la sua base all’Università di Padova, non intende accontentarsi di aver dimostrato la presenza di grandi quantità di acqua a quote di profondità finora nemmeno immaginate, o di aver individuato un  cristallo incastonato in un diamante proveniente da una profondità di 800 chilometri sotto la superficie terrestre.

Già si lavora ad altre scoperte, che potrebbero risultare altrettanto affascinanti anche agli occhi di un profano: la caccia alla bridgmanite, per esempio. Si tratta di un materiale che, secondo le ipotesi formulate dai geologi, dovrebbe essere uno dei più abbondanti all’interno del nostro pianeta. Ma, per ora, le uniche tracce della sua esistenza sono state trovate su alcune meteoriti che hanno subito impatti di altissima pressione nello spazio.  Un altro interrogativo, questo, cui l’équipe del professor Nestola, equipaggiata di strumenti unici al mondo, potrebbe dare una risposta.

I CLIPPIR, CHIAVE D’ACCESSO AI SEGRETI DELLA TERRA

 “Ma l’unico modo per riuscirci” spiega lo scienziato “è lo studio dei diamanti super profondi e super giganti”, cioè la categoria di diamanti che ha fornito la chiave per rispondere a molti quesiti sulla Terra. Stiamo parlando dei  diamanti Clippir, ovvero quelli che si formano tra i 300 e i 1.000 chilometri di profondità, a differenza dei diamanti litosferici che cristallizzano a profondità molto inferiori, comprese tra i 120 e i 250 chilometri circa. Solo il 6% delle pietre è considerato super profondo, e come tale in grado di raccontarci, grazie alle impurità che si sono accumulate nel corso del loro lungo viaggio nello spazio e nel tempo, i segreti del pianeta che la squadra di ricercatori, armata di strumenti particolari, ha decifrato in questi anni.

A partire dalla conferma che, a grandissime profondità nel nostro pianeta, sono presenti significative quantità di idrogeno. A queste pietre rarissime Nestola ha dedicato la sua vita di ricercatore. E ne è stato ricambiato, perché il suo progetto di indagare su cosa contengono i diamanti super giganti (anche di 3.000 carati) e super profondi – quelli rarissimi che si formano oltre i 300 chilometri di profondità rispetto alla superficie terrestre – è stato un crescendo di soddisfazioni. «Il motivo per cui mi sono dedicato allo studio dei diamanti» ha spiegato lo scienziato «è legato al diamante stesso, o meglio alle sue proprietà fisiche (ricordo che il diamante è il materiale che presenta la massima durezza al mondo). In particolare, fino al 2008-2009 la mia ricerca scientifica era concentrata quasi completamente sulla cristallografia di alta pressione: in pratica, utilizzavo uno strumento particolare, chiamato ‘incudine a diamante’ che è fondamentale per generare in laboratorio le stesse pressioni che si trovano all’interno della Terra, e questo proprio grazie alle proprietà fisiche eccezionali del diamante.» 

TANTO ENTUSIASMO PER 1.100 EURO AL MESE

All’origine dell’impresa c’è, prima di tutto, l’entusiasmo, accompagnato da una certa flessibilità, che hanno reso possibile quello che Nestola, in un colloquio con il Corriere della Sera, ha definito «un caso di esodo al contrario». Dopo la laurea a Torino, per inseguire la voglia di ricerca sui minerali – forse non è un caso che Nestola sia il nipote di un minatore scampato alla tragedia di Marcinelle – il giovane ricercatore si era spostato all’estero, prima in Germania e poi negli Stati Uniti. Ma una certa sera gli arrivò a sorpresa una telefonata dall’Italia. Era un professore dell’università di Padova. «Mi chiese: Vuoi venire da noi? Hai una notte per decidere. Accettai,» continua a raccontare Nestola, «purché mi fosse assicurata la garanzia di avere gli strumenti per continuare le ricerche. Mi accontentarono. Padova in questo è straordinaria, sono dei visionari.» Ma le decisioni di impulso hanno i loro inconvenienti. E il professore se ne accorse al momento di ricevere la prima busta paga: 1.100 euro.

«Negli Stati Uniti all’epoca prendevo tre volte tanto.» Roba da rifar le valigie di corsa, soprattutto quando si ha una famiglia sulle spalle. Ma ce ne vuole, per piegare Nestola, animo sensibile ma volontà di roccia. La ricerca italiana, circostanza che la retorica euroscettica tende a rimuovere, può far conto sull’Unione Europea. Mica è facile. Anzi, ottenere un contributo di Bruxelles «equivale a vincere la Coppa dei Campioni»,

scherza ma non toppo il nostro scienziato. Nestola, però, c’è riuscito: nel 2013 il professore ha ottenuto un European Research Council Grant di circa 1,4 milioni di euro, per un progetto quinquennale incentrato sullo studio dei diamanti naturali e delle loro inclusioni mineralogiche, con l’obiettivo di individuare, per la prima volta, le profondità alle quali i diamanti cristallizzano all’interno del nostro pianeta. Un quesito di capitale importanza perché, visto che il diamante è costituito da carbonio puro e non di rado può contenere idrogeno come impurezza, è evidente che conoscere fino a che profondità può formarsi significa comprendere il reale ciclo del carbonio terrestre e, indirettamente, anche quello dell’acqua.

La partenza non è stata facile. «I primi sei mesi» mi dice Nestola «li ho passati a completare le pratiche amministrative. Altro che Italia: per burocrazia Bruxelles è anche peggio. Però ti danno una libertà micidiale. Certo, la pressione è altissima, ma cambia anche la tua prospettiva, punti molto più in alto. » E così, comprate le macchine e creata la squadra – tre dottorande e cinque ricercatori – l’avventura ha preso velocità. Dopo il finanziamento europeo, anno 2012, Nestola ha potuto convincere un’azienda svizzera e una giapponese a superare le rivalità e costruire insieme un diffrattometro a raggi X unico al mondo. Grazie anche a questo e ad altri strumenti il professor Nestola, assieme a un team di ricercatori internazionale, ha messo a segno il primo grande successo: la scoperta di un frammento molto piccolo di ringwoodite – un minerale mai trovato prima sul nostro pianeta – contenuto all’interno di un diamante super profondo proveniente dal Brasile.

La ringwoodite, ancora intrappolata nel diamante, mostrava un significativo contenuto in H2O (fino all’1.4%). Considerando che il minerale può formarsi esclusivamente tra i 525 e i 660 chilometri di profondità e che in tale fascia rappresenta circa il 35% in volume di tutti i minerali stabili in quelle condizioni di pressione, questo ha fatto riconsiderare completamente il reale contenuto di H2O sul nostro pianeta, che risulterebbe essere 3-4 volte superiore a quanto ritenuto sino a oggi.

Di lì è cominciata la collaborazione con il Geological Institute of America che, grazie agli strumenti del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, ha messo a disposizione dell’equipe di Nestola diamanti molto grandi, dal valore di diverse decine di milioni, che di solito non sono alla portata dei laboratori: 53 campioni, che hanno consentito di far luce sulla genesi dei diamanti super giganti, cioè quelli che, come abbiamo detto, si formano a profondità comprese tra i 360 e i 750 chilometri. Sono stati individuato così i Clippir e si è ipotizzato che essi si formino all’interno di “tasche liquide di metallo”, aprendo in questo modo un nuovo scenario sui processi geologici che possono avvenire alle grandi profondità del nostro pianeta, come ha evidenziato la pubblicazione su Science che ha dedicato il servizio di copertina alla ricerca. 

 

Insomma, i quattrini investiti dall’Unione Europea sono stato ben spesi. «Abbiamo scoperto,» riassume Nestola, «che all’interno della Terra vi sono grandi quantità d’acqua, come si supponeva ma ancora mai era stato dimostrato. Abbiamo capito come si formano i diamanti super giganti, caratterizzati da dimensioni fino a 3.000 carati: a grandi profondità, e grazie anche alla presenza di metano e idrogeno molecolare. A completare il quadro è arrivata una terza, straordinaria scoperta: è stato infatti dimostrato, e in modo definitivo, che la crosta oceanica superficiale può arrivare fino a circa 800 chilometri di profondità.»

Un tuffo di 780 chilometri, dove nascono i diamanti

L’ultima scoperta in ordine di tempo riguarda un piccolo minerale di appena 0.03 millimetri, inglobato all’interno di un frammento di diamante 40 volte più grande proveniente dalla miniera sudafricana del Cullinan; la stessa in cui venne rinvenuto, nel 1869, il diamante grezzo più grande del mondo: 3.107 carati di peso. La particolarità di questo piccolo cristallo, oggetto di uno studio pubblicato su Nature, è di aver fornito preziose informazioni sulle profondità alle quali possono cristallizzare i diamanti e sui processi di subduzione profondi. Le inclusioni di CaSiO3 scoperte da Fabrizio Nestola dimostrano infatti che il diamante si è formato a 780 chilometri di profondità, in un settore della Terra chiamato “mantello inferiore”: quest’ultimo va dai 660 chilometri fino al limite che confina con il nucleo terrestre, che inizia a 2.900 chilometri di profondità. Si tratta della prima prova diretta, empirica, di quel che finora era stato solo ipotizzato, data l’impossibilità materiale di raggiungere simili profondità. Attraverso esperimenti ad altissima pressione e temperatura, effettuati in laboratorio, si era già teorizzato che nel mantello inferiore poteva trovarsi il cristallo individuato all’interno del diamante, appartenente alla famiglia dei perovskiti. Ma la composizione chimica del diamante sudafricano studiato dal team di Nestola è di estremo interesse perché non si presenta in forma pura, ma contiene un certo grado di impurezza, ovvero un 6% di titanio. Esperimenti in laboratorio hanno poi confermato che un tale contenuto di titanio nella CaSiO3 si può trovare solo a una profondità di 780 chilometri.

«Il nostro lavoro» conclude Fabrizio Nestola «fornisce una chiara evidenza dell’origine superficiale dell’impurità»

«Il materiale che ha poi dato origine al cristallino CaSiO3 deriverebbe dalla crosta oceanica terrestre (materiale superficiale), che sarebbe andata in subduzione fino al mantello inferiore, come previsto teoricamente dalla geofisica ma mai dimostrato empiricamente prima di questa pubblicazione. Dati di laboratorio indicano che la perovskite CaSiO3 è il quarto minerale più abbondante della Terra, ma anche che riesce a trasportare dall’alto a grandi profondità elementi radioattivi come uranio e torio (U e Th). Questi ultimi potrebbero essere tra i generatori di calore che, a loro volta, a quelle profondità, contribuiscono a creare nuove e inaspettate dinamiche terrestri.»

Oggi, esaurito il primo ciclo di ricerche finanziato da Bruxelles, Nestola si trova alla testa di un centro leader per le nuove frontiere della mineralogia, da cui è lecito attendersi nuove straordinarie scoperte scientifiche in grado, tra l’altro, di generare grandi ricadute tecnologiche nel tempo. Il centro è meta dei super diamanti che qui arrivano dal Sud Africa come dal Brasile, per essere sottoposti al vaglio dello scienziato italiano e della sua equipe. Uno scienziato che, almeno all’apparenza, ha ben poco del topo di laboratorio: uno che ama il calcio e la corsa, ma attacca a lavorare anche alle sei del mattino, senza rubare tempo ed energia all’attività didattica, e tantomeno alla famiglia: la moglie Tatiana e i due figli. Senza rinunciare alla chitarra o al bel canto, come si conviene a un entusiasta che si ricarica lavorando perché, confessa Nestola, «è nella ricerca che mi diverto come un pazzo».