Nel film Green Card, Andie MacDowell finge un matrimonio di convenienza con un immigrato irregolare negli Stati Uniti. I motivi del bruto Gérard Depardieu sono evidenti, quelli di Brontë Parrish (la MacDowell), un po’ meno abituali: la necessità dell’unione formale risiede infatti nel poter essere l’inquilina-giardiniera di questo appartamento bohémienne e vagamente scricchiolante che si apre su una serra tropicale con una fontana in pietra al suo centro. A chi non darebbe felicità quel verde, se solo si avessero tempo e competenza per portarlo avanti. Il momento chiave di tutta la scena iniziale è pero l’evento prima dell’evento, ossia lo stato di conservazione del giardino prima che la bella americana attivista inizi ad occuparsene: alcune piante lussureggiano sulle altre, talune sono in non buone condizioni di salute, altre invece sono semplicemente mutate. Sembra di stare in un libro di Gilles Clément, in cui ci sono persone, piccole e affabili manutentrici del bello, custodi di una normale, quasi felicemente banale, integrità comune, che escono al mattino per percorrere le strade delle città ed occuparsi del verde pubblico, costruire piccoli giardini, anche di pochi centimetri quadrati, tra gli sparti-traffico, sui displuvi delle strade e delle ferrovie. Non è detto che ci sia qualcuno a notarle, sembrano esistere solo per l’idea che questa possibilità si verifichi, come eremi che hanno tutto il senso di vivere in quanto tali. La natura addomesticata, e la natura che imperversa. Non serve scomodare grandi immagini o professorali citazioni per comprendere tutte le sfumature di tali estremi (non poi così impervi, a dire il vero). Camminarci dentro è, invece, quello che fa Michel Blazy. Le sue opere non sembrano opere naturali fatte e finite, come sono quelle emaciatamente struggenti e apollinee di Christiane Löhr*, ad esempio, oppure quelle socialmente profonde e affilate di Caretto&Spagna**. Come se fossero degli stargate iniziano il loro percorso tra le cose del mondo per evolvere, lontane dal loro habitat di origine. Ha costruito alcuni vivarium che entreranno poi, per la logica del mercato, - è sempre bene ricordare e ripetere che il mercato dell’arte è esattamente come il mercato del cacao o dei salumi, solo un mercato -, nella vita e nelle case di altre persone. Qui inizia il rapporto impossibile a distanza tra l’idea, la sua creazione e la vita di un’opera in movimento, lontana dalle mani di chi l’ha creata. E anche se lo stesso Blazy fornisce istruzioni per il loro mantenimento e la loro riproduzione, il loro persistere è totalmente affidato alla volontà, all’amore forse, di quello che in termini legali è il proprietario. Il discorso non è diverso dalla cura del verde di casa, della rosa altaica del giardino dell’abitazione maledettamente impervia, ereditata nel paesello d’origine di un qualche nostro avo. Tutte cose che abbiamo provato e di cui conosciamo l’esigente difficoltà. Ed è con questa lente che ci deve sembrare civicamente eroico lo sforzo di quei giardinieri volontari, vividi come le stesse piante spontanee che curano: questo lavorio pubblico, infine, può anche non differire da quello che alcune persone compiono ancora durante le nevicate in città, ad esempio, spazzando e liberando il proprio metro, o poco più, di fronte a casa o al proprio negozio per evitare che ghiacci; senza attendere che sia il pubblico a dover riempire anche il più piccolo vuoto di controllo. Tutto questo è il grande elastico che crea l’opera di Blazy, senza tuttavia implodere nell’utopia di sé stessa, sotto il peso della promessa narrativa. Se il vivarium o la colonna d’arance devono scomparire, come fossero un giardino qualunque, per mano dell’uomo o delle circostanze, per fare spazio ad altro, che così sia. Resisteranno forse nei ricordi e nell’amore del loro giardiniere, in queste parole, o eventualmente nel nulla di una traccia sulla sabbia della memoria. D’altronde come ha detto molto meglio di me Michel Blazy stesso, «quanto alla possibilità che quest’opera scompaia, quello che mi viene da dire è che qualche volta è meglio scomparire. Io sparirò se dovrò sparire, se nessuno si interesserà più al mio lavoro».