Può esser la penna che non finisce mai, grazie ad una punta in Ethergraf, una lega di metalliche consente di scrivere e disegnare senza preoccuparsi di ricariche e cartucce. Oppure il design della vettura che uscirà dalle linee di montaggio di Vinfast, il primo modello che uscirà dalla fabbrica vietnamita inaugurata il 2 di settembre, anniversario dell’indipendenza dopo la disfatta dei francesi a Dien Bien Phu, a conferma del fascino e dell’orgoglio che ancora oggi sa ispirare l’auto, bandiera di indipendenza e di progresso economico. O ancor di più, il brand a grandi lettere disegnato sulla carrozzeria della M4 Electro, la vettura che il colosso indiano Mahindra schiera nel campionato mondiale per monoposto elettriche.

Sono sempre più numerosi i segnali che stanno ad indicare che Pininfarina, mito dell’auto del XX° secolo, è pronta a ripetersi nel futuro, dopo esser uscito dal tunnel di una crisi che sembrava fatale. La conferma è arrivata anche dai conti di fine 2017: il bilancio consolidato del gruppo ha chiuso con un risultato netto positivo di 1,3 milioni di euro. Poca roba, ma si tratta della prima volta dopo 14 anni, al netto di operazioni di finanza straordinaria. Tutti gli indicatori economici e finanziari sono in forte crescita rispetto al 2016: il valore della produzione ha raggiunto 87.1 milioni, con un incremento del 27% sul 2016; il patrimonio netto è salito a 59 milioni (contro circa 30). Il debito lordo si è ridotto a 37.8 milioni dai 41.2 milioni dell’anno precedente; la posizione finanziaria netta torna, gradita novità, in terreno positivo per 12 milioni contro - 17,7 nel 2016. Ancora più confortante è l’andamento degli ordini in arrivo da 102 clienti di tutto il mondo (di cui 25 nell’automotive): “la loro durata – si legge nella lettera agli azionisti – consente di concentrare il 2018 sulla ricerca e sullo sviluppo di altre opportunità altrettanto significative nell’ambito dei servizi di design nel mondo automobilistico e industriale, nella architettura civile, nella nautica e più in generale, nei trasporti. Al già ampio portafoglio clienti, si sono aggiunti numerosi clienti di mercati del mondo a più alto tasso di crescita come la Cina, la Germania, gli Stati Uniti, il Vietnam”.

Una ripresa in piena regola, insomma,  su cui ben pochi avrebbero scommesso dieci anni, nel momento più tragico, segnato dalla scomparsa per un incidente  di Andrea Pininfarina, falciato in Vespa all’uscita dello stabilimento di Cambiano, e senz’altro più cupo dal punto di vista del conto e delle prospettive economiche del gruppo: alla crisi della produzione in piccole serie, comune a tutte le aziende del settore dopo la ritirata delle grandi case, si accompagnava la crescita dei debiti accumulati a fronte degli investimenti, non ultimo l’acquisto da Lagardère delle attività di Matra.

 A complicare la situazione, il colpo da ko. Ecco come lo racconta l’amministratore delegato Silvio Angori arrivato in azienda pochi mesi fa. “Nel 2008 – ricorda – ho ricevuto un fax da Detroit: Ford cancellava con effetto immediato le nostre commesse. Telefonai subito a Steven O’Dell, allora C.E.O. di Ford Europe per dirgli che quella decisione ci metteva in gravissima difficoltà. Non mi fece neanche finire: Silvio, ieri Lehman Brothers mi ha cancellato una linea di credito di quattro miliardi di dollari”.  E non andò meglio con le controparti francesi, in quell’atmosfera da Apocalisse, in cui valeva il detto si salvi chi può.

E Pininfarina ha potuto. Certo, grazie all’arrivo di Mahindra, ma che si è però innestato su un forte impegno nella ricerca di soluzioni nuove, in grado di rispondere ai problemi della mobilità. “L’80% delle nostre attività di sviluppo è su veicoli a propulsione alternativa” sottolinea Angori classe 1960, laureato in fisica teorica, un Mba a Chicago– Sulle tecnologie pulite abbiamo investito per anni e per questo siamo competitivi” per partecipare ad un cambiamento che, assicura, “sarà più rapido del previsto e toccherà non solo l’auto, ma l’intero mondo della mobilità”.

 

Una partita per colossi che si giocherà su un campo di gara mondiale, in cui l’Italia può giocare l’arma della bellezza, quella che si respira nello stabilimento di Cambiano o alla Galleria del Vento, ancor oggi tra le più avanzate al mondo per valutare aerodinamica e aero-acustica dei prototipi (affittato per 220 giorni l’anno dai costruttori.  Ma, soprattutto, per l’esperienza che può vantare un’azienda che non ha avuto paura del nuovo.

E questa anche la visione dell’azionista di maggioranza, forte del 76 per cento del capitale: Mahindra, gigante con 240 mila dipendenti, tra i leader indiani del software e dell’ingegneria, che a metà aprile hanno annunciato il varo di Auto Pininfarina, una società del tutto indipendente dall’azienda italiana. Ma il gruppo indiano ha già coinvolto la casa torinese nell’avventura dagli obiettivi assai ambiziosi.  Auto Pininfarina, nei programmi di Mahindra, dovrà dar vita entro il 2020 ad una hypercar elettrica capace di performance stellari in grado di far impallidire Tesla: sarà un bolide, prezzo sui 2 milioni di euro, in grado di superare i 400 all’ora, toccare i 300 da fermo in meno di 12 secondi con un’autonomia di 500 chilometri.  Un centinaio di vetture, non di più, disegnate dal Centro Stile della Pininfarina spa sotto la guida di Carlo Bonzanigo mentre un ex, Luca Borgogno, che conta anche un passaggio in Lamborghini sarà il responsabile Stile. Al comando della nuova azienda, sede in Germania (Paese in cui è attiva una sede estera di Pininfarina) ci sarà Michael Perschke, ex top manager di Audi india. È già previsto che dopo l’ammiraglia la collaborazione proseguirà con una serie di Suv, come ha anticipato Arvind Mathew, Chief of International Operations del costruttore indiano. Una collaborazione, insomma, di lungo respiro ancora per tanti versi top secret. Quel che è evidente, per ora, è che l’avventura dell’auto elettrica di Pininfarina non si limiterà di sicuro all’asse con il suo azionista principale, approvato da Paolo Pininfarina, presidente ed erede della famiglia del fondatore, “firma” di buona parte delle creature dall’azienda fuori dal mondo automotive. “Questo progetto – ha dichiarato -  aiuta me e la mia famiglia a realizzare il sogno di mio nonno di vedere auto innovative e straordinarie marchiate esclusivamente Pininfarina sulle strade”.

L’asse industriale con Mahindra non esaurisce la presenza del gruppo nella mobilità di nuovo tipo. È già operativo l’accordo strategico con Hybrid Kinetic group, l’azienda cinese quotata ad Hong Kong specializzata nelle vetture elettriche. Sulla scia del contratto di collaborazione (durata 46 mesi, valore 65 milioni di dollari siglato un anno fa la casa torinese e il cliente cinese hanno presentato quest’anno la HK GT, una Gran Turismo di lusso connotata dall’apertura delle porte a forma di ali di gabbiano dotata di una tecnologia d’avanguardia messa a punto da HK per un sistema di trazione con batteria, motori elettrici, centralina di controllo e range extender. E’ solo una tappa in vista del debutto commerciale nel 2020. Ma già si guarda più avanti con il Suv H350 a quattro porte e la Berlina H500 disegnate per HK e presentate al salone di Pechino con la H2 Speed, l’auto da pista alimentata dalla tecnologia ad idrogeno realizzata nell’atelier di Cambiano in serie limitata (12 pezzi) a marchio Pininfarina: un propulsore elettrico-idrogeno fuel cell per una vettura a zero emissioni in grado di raggiungere una potenza di 653 cavalli rilasciando solo vapore acqueo.   

Concetti da fantascienza che preparano il terreno ad un futuro nemmeno troppo lontano che offre più di un’opportunità ad un’industria votata alla grande bellezza. ”Il bisogno del consumatore finale di distinzione e di unicità e di personalizzazione dei prodotti genera opportunità illimitate alla Pininfarina attraverso la concezione e realizzazione di vetture uniche o in serie limitata” spiega Angori. In discussione non c’è una semplice evoluzione estetica, ma un’evoluzione profonda dei rapporti sociali che investe la natura stessa dell’automotive. “In Cina – spiega a mo’ di esempio -  fino a non molti anni fa si producevano solo berline per clienti esclusivi, per lo più burocrati e dignitari di partito. L’auto riproduceva lo schema tradizionale: una portantina per l’ospite di lusso, preceduta da una staffetta e seguita da una scorta. Oggi il sistema, anche nel Paese del Drago, evolve verso la formula del monovolume. Ma già batte alle porte una rivoluzione ancor più profonda che, assicura Angori, coinvolgerà tutte le aree avanzate del pianeta. “Le auto a guida autonoma – prevede – arriveranno nelle nostre strade e nella nostra vita molto prima di quel che non si creda. Non più di 5-7 anni o anche meno. Le tecnologie sono ormai adeguate, nonostante quel che lascino intendere gli incidenti, peraltro pochi”. Certo, cambierà il modo di viaggiare nelle città. La circolazione delle auto driverless avverrà lungo corsie preferenziali (un po’come i taxi), magari riservate ad auto ad uso collettivo. Si eviteranno, grazie a sensori in grado di disciplinare il traffico, code ed ingorghi rendendo così più vivibili l’esistenza nei mega centri urbani del futuro, accomunati da problemi che sono ormai comuni da Londra a Los Angeles a Shanghai. Al designer si impongono così due missioni. La prima, quella di pensare ad auto per viaggiatori che, come oggi accade su un treno, non si devono preoccupare della guida. Ma, non meno importante, pensare all’auto per il tempo libero, comunque sganciata dalla semplice esigenza di muoversi. L’auto come piacere, l’auto come libertà. Pensata da artisti, come accadeva nelle botteghe del Rinascimento, mica tanto diverse dall’atelier di Cambiano, pieno di porte chiuse per evitare che i clienti possano copiare i prototipi studiati per i concorrenti. Ma anche di macchinari più piccoli, robot che eseguono lavori senza aver bisogno di grandi superfici, come ormai avviene nell’economia dei makers, ovvero 4.0.  E qui torna in gioco la tradizione perché, come nelle botteghe del Trecento, a far la differenza è la sapienza del modellista, capace di aggiungere quel tocco “Gran Torino” che piace ad Hong Kong come a New Dehli o in Baviera.

“I dipendenti – sottolinea il manager – hanno avuto un grande ruolo nella ripresa, assieme ai sindacati, alle banche creditrici ed alla famiglia che ha messo l’interesse dell’azienda davanti al proprio. Oltre, naturalmente, all’azionista indiano che ha fornito i mezzi per uscire una volta per tutte dalla tempesta perfetta”. Un’emergenza che non ha spaventato il manager che, chissà come, trova il tempo per le buone letture, stampa e libri, una passione che l’ha condotto (costoso hobby) ad un’altra missione impossibile: la guida manageriale de “L’indice dei libri del mese”, uno dei più autorevoli mensili dedicati alla lettura in un paese che legge poco. Insomma, provaci ancora Silvio.