Una storia di capitalismo familiare semplice – e che funziona - come le buone abitudini. Il latte, al mattino, e soprattutto i biscotti. Il bicchiere di spumante a Natale e a Pasqua, poi, la fetta di panettone e di colomba.

La Balocco si inscrive nella storia dell’imprenditoria italiana in quel particolare filone che è posto sul crinale fra economia e società, industria e consumi, fabbrica e gusti popolari. E, allo stesso tempo, la Balocco si proietta verso il futuro, come tassello mobile di quel mosaico dinamico che si va componendo da almeno venticinque anni, ossia da quando l’Italia ha sperimentato la fine del paradigma della grande impresa, con la ritirata delle grandi famiglie del Novecento e con il progressivo ridimensionamento della economia pubblica incardinata sull’Iri. Un mosaico basato sulla prevalenza del canone della media impresa che – se non è elemento sufficiente per il Sistema Paese che di più grande impresa avrebbe tuttora bisogno – di certo è elemento necessario per mantenere in piedi la nostra manifattura industriale, senza la quale l’intero edificio economico, sociale e civile di una Italia sempre più marginalizzata nelle cartine della geo-economia internazionale rischierebbe di sgretolarsi rapidamente per poi implodere, come in un lampo, su se stesso.

Dici Balocco. E, invece, dovresti dire la Balocco di Fossano. Sì, perché – nel suo codice genetico storico, nella sua cultura industriale del presente e nella sua prospettiva strategica di medio e lungo periodo – esiste una specificità che fa, della Balocco, una variante del canone del fordismo italiano, che ha avuto il suo cuore storico nel Piemonte. Un Piemonte iscritto, a sua volta, nel Nord-Ovest. E un Nord-Ovest ormai impegnato, altrettanto a sua volta, a trovare una collocazione all’interno dei nuovi equilibri territoriali e nelle nuove forme di specializzazione produttiva del capitalismo del nostro Paese.

La storia della Balocco è paradigmatica primo di tutto perché è in contraddizione con la tendenza strutturale del nostro capitalismo che, dall’inizio della Grande Crisi nel 2008, ha perso un quinto del suo potenziale produttivo e che, adesso, sta sperimentando una graduale e parziale ricostituzione dei suoi tessuti tecnologici e commerciali, manifatturieri e organizzativi. “Nel 2008 – racconta Alberto Balocco, presidente e amministratore delegato del gruppo – fatturavamo 103 milioni di euro e avevamo 290 addetti. Adesso i nostri ricavi sono pari a 185 milioni di euro e i nostri occupati ammontano a 370”. Quello che è sorprendente è la linearità dello sviluppo del gruppo dolciario piemontese, che procede in maniera non erratica ma continuativa e senza strappi o cadute e che, soprattutto, si realizza in un contesto tutt’altro che semplice.

Nel 2000 la Balocco aveva ricavi per 46 milioni di euro e disponeva di 200 addetti. Negli ultimi diciotto anni è successo di tutto. In una prima fase, nel passaggio successivo all’introduzione della moneta unica – come ha dimostrato l’ufficio studi della Banca d’Italia – il tessuto imprenditoriale italiano ha sperimentato una selezione delle imprese più inefficienti e si è rimodulato sulla valorizzazione delle migliori fra le piccole e medie imprese con un buon contenuto innovativo e una significativa capacità di esportare. In una seconda fase, il nostro sistema produttivo è stato investito dal contagio della crisi finanziaria che, innescatasi negli Stati Uniti nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, si è propagata fra il 2010 e il 2012 all’intero corpo della manifattura internazionale, risultando particolarmente invalidante soprattutto quando si è espansa in un corpo debole e fragile come il nostro organismo economico nazionale. In questa fase, è capitato alla Balocco il contrario di quello che è successo a molte altre imprese italiane: ha vissuto le ore del giorno, quando la più parte del nostro sistema produttivo viveva le ore della notte.

“Non soltanto non abbiamo sofferto, ma abbiamo continuato con decisione sulla strada dello sviluppo - sottolinea l’amministratore delegato – riuscendo a realizzare un progetto industriale e commerciale che viene da lontano. L’intuizione, che è stata il primo mattone su cui erigere il nostro edificio, è stata di mio padre Aldo che, a fine anni Novanta, ha deciso di puntare sulla prima colazione”. 

Nell’agroalimentare italiano, in particolare nel settore dolciario, il tema della diversificazione è stato fondamentale. E, da un lato, ha provocato la fine di alcuni protagonisti che hanno fatto la storia del Paese a partire dal Boom Economico e, dall’altro, ha creato le condizioni per l’avvio di una vera e propria fase aurea.

Per alcune imprese del settore la chimera è stata quella del Natale tutto l’anno. Una chimera, basata sull’illusione di riuscire a vendere anche negli altri mesi i prodotti di solito concentrati fra i mesi di novembre e di dicembre, rivelatasi foriera di perdite economiche e di depauperamenti patrimoniali. Un caso per tutti: Melegatti. Altri hanno, invece, destagionalizzato, usando la prima colazione come leva per sollevare verso l’alto un nuovo modo di fare business. Lo ha fatto per esempio la Bauli, che ha operato per linee esterne acquisendo una serie di attività di altri. E lo ha fatto la Balocco. “Noi – precisa Alberto Balocco – abbiamo operato per linee interne”.

 

Il modello di crescita di Balocco appare insieme semplice e complesso. Perché, in qualche maniera, modernizza uno dei canoni del fordismo classico, che ha sempre privilegiato la crescita per linee interne. Un fordismo classico che, in questo caso specifico, si trasmuta – in un settore insieme antico e modernissimo come l’agroalimentare - in una sorta di post-fordismo ibridato fra l’attitudine trasformatrice delle linee di produzione e la rabdomantica comprensione dei gusti popolari, sondati e orientati con gli strumenti del marketing e degli investimenti pubblicitari. “Abbiamo potenziato il sito produttivo. L’ampliamento verrà completato a fine anno. Alla fine, la superficie complessiva sarà di 60mila metri quadrati. Ma la nostra spinta propulsiva non è soltanto negli spazi. È soprattutto nei processi e nell’innovazione, che curiamo con grande energia”, sottolinea Alberto Balocco. Un dato su tutti: dal 2008 ad oggi gli investimenti cumulati sono stati superiori ai 50 milioni di euro. “In questa cifra – precisa – non è contenuta la parte immobiliare. Si tratta di risorse concentrate sulla tecnologia”.

L’attitudine alla crescita interna è testimoniata anche dalla propensione della famiglia Balocco, che controlla il gruppo al 100%, a lasciare nel perimetro aziendale una quota significativa di risorse: il pay-out storicamente è inferiore al 30% degli utili netti. Questo ha provocato un irrobustimento costante e pervasivo della struttura patrimoniale dell’impresa: il patrimonio netto è salito dai 12 milioni di euro del 2008 ai 56 milioni del 2017. Il profilo dell’impresa è, dunque, mutato negli ultimi anni in maniera decisiva. Questo irrobustimento tecno-industriale e questo affinamento della efficienza hanno operato sul doppio versante: commerciale e industriale. E, in entrambi i casi, il risultato appare davvero rilevante.

La crescita a volume del binomio Natale e Pasqua – i prodotti tipici che si vendono sotto le due principali festività italiane - è stata del 70% negli ultimi dieci anni e del 107% negli ultimi quindici anni. La crescita a volume della prima colazione è stata, negli stessi lassi temporali, del 90% e del 283 per cento.

Dunque, in mercati estremamente complessi come il binomio Natale e Pasqua e la prima colazione, il gruppo Balocco è stato molto efficace nella vendita. Ma, a condizioni non semplici per l’industria italiana e per i consumi degli italiani, è stato altrettanto efficace nella produzione: nel 2000, Balocco otteneva 0,94 quintali per ogni ora lavorata; nel 2007 questo fondamentale indicatore è salito a 1,1; nel 2017, i quintali per ogni ora lavorata sono aumentati a 1,7. “L’aumento della produttività – nota Alberto Balocco – è stato così considerevole anche grazie alla scelta di concentrare la produzione in un unico sito produttivo”. Questo modello industriale insieme così tradizionale e così sofisticato ha le sue origini in un altro fenomeno, altrettanto tradizionale e sofisticato: il capitalismo familiare. Che è, al contempo, tre cose: radici nel passato, albero nel presente e, anche, seme nel futuro. Quella di Alberto – classe 1966, laurea in Economia a Torino – e di Alessandra – nata nel 1964, laurea in Giurisprudenza sempre a Torino – è la terza generazione.

La prima pasticceria venne fondata nel 1927 dal nonno Francesco Antonio, in Piazza Castello degli Acaja a Fossano. Ma è stato il papà Aldo, che oggi ricopre il ruolo di presidente onorario (“rimane l’assaggiatore più amato della famiglia, quando stiamo lavorando su progetti speciali interpelliamo anche lui, non c’è nulla di più difficile che proporre qualcosa di nuovo sul mercato di oggi e lui ha una grande esperienza”), a fare evolvere la pasticceria di famiglia da artigianale a industriale. Era l’Italia del Boom Economico. Qualcosa di completamente diverso dall’Italia di oggi. Ma, anche, di molto simile: un Paese in grave difficoltà e, davvero, tutto da rifondare.

In questo caso, il riferimento familiare è insieme strategico e culturale, giuridico e di lungo periodo. “Mio padre Aldo – ricorda Alberto Balocco – era figlio unico. Di solito le famiglie alla terza generazione sono molto numerose. E, per questo, occorre regolare la governance. Nel nostro caso, la situazione è assai più semplice”. Alberto ha tre figli: Diletta (21 anni), Matteo (18) e Gabriele (14). La sorella Alessandra ne ha uno: Marco (19 anni). “Per questo impianto in apparenza semplice da gestire – spiega Balocco – non abbiamo ritenuto di attivare patti di famiglia o di fondare trust a cui conferire i nostri beni societari. Crediamo che la famiglia sia un valore e che l’impresa familiare sia un elemento fondante della nostra società e della nostra economia. Allo stesso tempo non riteniamo che sia utile normare i rapporti umani e ingessare le relazioni familiari”.

E, così, la Balocco rappresenta bene la quota minoritaria della minoranza delle imprese virtuose che, oggi, operano all’interno del paradigma 20-80: il 20% delle aziende italiane a cui si deve l’80% del valore aggiunto industriale. Una bipolarizzazione in cui, appunto, l’equilibrio sistemico è garantito da una élite di aziende di cui la Balocco fa parte a pieno titolo.

Per questa ragione la vicenda di lungo periodo e la proiezione nel futuro della Balocco esprimono bene la naturale attitudine italiana – per parafrasare Carlo Cipolla – non solo a “produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”, ma anche a produrre, all’ombra di questi campanili, cose buone.