Nel Dopoguerra l’autonomia dello Sport italiano non è mai stata così presente, e in modo così acceso, nel dibattito politico come in questi ultimi mesi. La riforma impostata dal decaduto Governo Lega-Movimento 5 Stelle ha ridefinito il ruolo del Coni, riducendone le competenze e le risorse a favore della “Sport e Salute” - già Coni Servizi - società per azioni controllata al 100% dal ministero dell’Economia, alla quale è stato attribuito di fatto il controllo del settore. Le polemiche tra i vertici di Coni e Sport e Salute hanno assunto toni sempre più aspri e hanno finito per attirare l’attenzione dello stesso Comitato Olimpico Internazionale (Cio). In questo clima da “guerra fredda” l’attività e la progettualità dell’Istituto per il Credito Sportivo (Ics) - partecipato dal Ministero dell’Economia all’80% e da Sport e Salute al 6,7% - diventano fondamentali per assicurare il miglioramento e lo sviluppo infrastrutturale del sistema sportivo. La “banca” pubblica che dall’anno della fondazione, nel 1957, ha finanziato la costruzione o la ristrutturazione di tre impianti su quattro nella Penisola è chiamata al difficile compito di bilanciare e armonizzare le esigenze delle istituzioni politiche, centrali e locali, con il costante bisogno di rinnovamento dell’universo sportivo. Al presidente dell’Ics, Andrea Abodi, insediatosi nel marzo del 2018, spetta l’onere di svolgere questo ruolo nella consapevolezza che solo un mondo capace di sfruttare appieno le occasioni di crescita, di generare valore e incrementare la capacità di autofinanziarsi, potrà correre sulle proprie gambe, limitando i condizionamenti esterni. «In questa prospettiva – spiega Abodi, già alla guida della Lega di Serie B dal 2010 al 2017 – bisogna ricordare che l’anno che ha fatto da vero spartiacque nella storia dello sport italiano è stato il 2002. Fino a quel momento, infatti, il Coni gestiva il Totocalcio con i suoi cospicui ricavi settimanali che permettevano di amministrare il sistema in modo finanziariamente indipendente. Da quella data, segnata anche dalla nascita della Coni Servizi spa ribattezzata con la recente riforma “Sport e Salute”, la fonte di approvvigionamento dei concorsi pronostici, peraltro in crisi, è venuta meno passando alla struttura allora denominata Monopoli di Stato, oggi Agenzia Dogane e Monopoli, e il Coni è stato costretto a rivolgersi al Governo per ottenere i contributi per sostenere il sistema sportivo. Contributi che anno dopo anno sono andati peraltro diminuendo. Il cambio di modello ha provocato due conseguenze: la prima è che l’autonomia di gestione è diventata via via più formale che sostanziale, perché è stata depotenziata dalla perdita di indipendenza economica. La seconda è che, dipendendo il Coni, le Federazioni, le Discipline Sportive Associate, gli Enti di Promozione Sportiva e le Associazioni Benemerite da finanziamenti statali stabiliti annualmente e mai certi nel loro ammontare, è calata vistosamente la visione di medio-lungo termine e la propensione agli investimenti. A parte alcuni centri di eccellenza tutti ne hanno progressivamente risentito». In questo scenario di “precarietà” finanziaria si è inserita la riforma con la quale il Governo Lega-Movimento Cinque Stelle ha varato un nuovo assetto per l’ordinamento sportivo italiano.
La riforma dello sport e l’allarme del Cio
Con la Legge di Stabilità per il 2019 e il cosiddetto “collegato Sport”, la legge delega approvata lo scorso mese di agosto, sono state introdotte nuove regole che potrebbero addirittura mettere a rischio la partecipazione dell’Italia alle Olimpiadi di Tokyo 2020, se non rientrerà l’”alert” del Cio di Thomas Bach che ha rilevato la mancata adesione della riforma alla Carta Olimpica in almeno sei punti. Le contestazioni del Cio attengono alla nuova governance del settore incardinata su Sport e Salute e al ridimensionamento del Coni di Giovanni Malagò, a cui viene riservata l’attività strettamente propedeutica alla partecipazione alle Olimpiadi. Tuttavia, a leggerle con attenzione, investono anche il nuovo modello di finanziamento dello sport. In effetti, a Sport e Salute, ora guidata da Rocco Sabelli, viene attribuita la direzione del comparto sport in tutte le sue declinazioni, nonché la facoltà di ripartire le risorse economiche tra gli enti accreditati (al Coni afferiscono 45 Federazioni, 19 Discipline Sportive Associate, 14 Enti di Promozione Sportiva nazionali e uno territoriale e 20 Associazioni Benemerite cui aderiscono circa 95mila società sportive per un totale di circa 11 milioni di tesserati). La Legge di Stabilità 2019, sancendo il principio dell’autofinanziamento, ha prescritto che il livello dei contributi assegnati annualmente allo sport sia parametrato
«al 32% delle entrate effettivamente incassate dal bilancio dello Stato, registrate nell’anno precedente, e comunque in misura non inferiore a 410 milioni di euro annui (equivalente al finanziamento assegnato al Coni nel 2018), derivanti dal versamento delle imposte ai fini Ires, Iva, Irap e Irpef» nel comparto sportivo.
In pratica, il prelievo fiscale a carico delle società di calcio professionistico – pari a oltre 900 milioni – serve a sostenere per circa due terzi tutto lo sport tricolore. I proventi derivanti dagli altri soggetti (circa 50mila tra club e società di gestione di impianti) invece superano di poco i 400 milioni annui. A queste entrate – 1,3 miliardi – si attinge, dunque, per supportare l’intera filiera sportiva. Nel dettaglio un minimo di 40 milioni va al Coni, mentre a Sport e Salute va un assegno base di 368 milioni, dei quali 280 milioni destinati agli organismi sportivi e alle Federazioni. In questo caso, di positivo, oltre al “minimo garantito” del contributo pubblico annuo, va registrato che nel 2019 il gettito fiscale è stato più generoso delle previsioni e il budget a disposizione è salito a 468 milioni.
La società partecipata al 100% dal ministero dell’Economia dovrà occuparsi anche del fondo Sport e Periferie. Gli interventi dedicati alla ristrutturazione di impianti sportivi promossi inizialmente dal Governo Renzi con uno stanziamento di 100 milioni, da destinare a contributi in conto capitale, sono stati reindirizzati dal Governo gialloverde soprattutto verso l’edilizia sportiva scolastica (con la compartecipazione dei Comuni). Dei primi due bandi si era occupato il Coni, ma ora Sport e Salute oltre a seguire tutto l’iter amministrativo (si avvarrà di un censimento in fase di completamento in sinergia con l’Ics di circa 56mila impianti), fungerà anche da stazione appaltante.
L’Istituto per il Credito Sportivo
La nuova impostazione data al bando di Sport e Periferie prevede, in modo premiante in funzione della graduatoria, il cofinanziamento e a questo proposito diventa fondamentale la collaborazione con il Credito Sportivo, impegnato da circa un anno e mezzo nella complessa fase di rilancio dopo un commissariamento record durato dal 1° gennaio 2012 al 28 febbraio 2018. Come ha certificato la Banca d’Italia i commissari, Paolo D’Alessio (ora direttore generale della banca) e Marcello Clarich (che ha coadiuvato la riforma dello Statuto nel 2014), sono riusciti a migliorare tutti i fondamentali patrimoniali ed economici, rendendo l’Ics la banca più patrimonializzata d’Italia.
Fra il 2011 e il 28 febbraio 2018 il totale dell’attivo dell’Ics è aumentato di 830 milioni, attestandosi a quota 2,83 miliardi e aumentati di altri 100 milioni alla fine del 2018. Il patrimonio netto, sempre nel periodo 2011-2018, è aumentato del 22% (da 774 a 946 milioni) e i fondi propri ammontano a 899 milioni (+7,6% rispetto alla fase precommissariamento). L’utile complessivo ottenuto durante l’amministrazione straordinaria è stato di 105,8 milioni e sono state staccate cedole a titolo di dividendo per 47,6 milioni. Risultati positivi che hanno permesso di allontanare le voci che paventavano un accorpamento con la Cassa depositi e prestiti e quelle relative a una restituzione straordinaria di una quota del patrimonio al ministero dell’Economia (400 milioni).
Queste munizioni, al contrario, sono state impiegate a beneficio del settore sport attraverso vari canali. Fra il 2015 al 2017, ad esempio, sono stati finanziati 1332 interventi, ai quali se ne sono aggiunti 337 nel 2018, con prestiti agevolati a tasso zero a favore dei Comuni per un importo di 334 milioni, incrementati dai 110 milioni del 2018, impiegati soprattutto per la messa in sicurezza, l’efficienza energetica e l’abbattimento delle barriere architettoniche di vecchie strutture (il “budget” 2019 prevede un incremento del livello di erogazioni). L’Ics ha poi operato attraverso il Fondo di Garanzia, attivato nel 2015, per rendere possibili investimenti privati nel settore dello sport sociale privi in partenza delle sufficienti garanzie. A febbraio 2018 così il Fondo ha rilasciato 71 garanzie per 26,8 milioni (si tratta di garanzie sino a 2,5 milioni e fino all’80% del finanziamento, per mutui di durata massima ventennale) soprattutto in favore del settore No profit e dei concessionari di impianti sportivi pubblici. La cooperazione dell’Istituto inoltre è stata fondamentale per l’ammodernamento degli stadi italiani che hanno un’età media di oltre 60 anni, ma serve uno sforzo ulteriore. Avere stadi di qualità, come le migliori esperienze a livello internazionali testimoniano, è cruciale per aumentare i ricavi e assicurare una maggiore indipendenza dai diritti televisivi: vale per i club piccoli e medi, e ancor di più per le società che partecipano alle competizioni europee. L’Ics in questi anni ha finanziato la realizzazione dell’Allianz Arena di Torino, del Dacia Arena di Udine, dello stadio Benito Stirpe di Frosinone (terminato 2016), mentre in sinergia con Ubi Banca ha favorito l’acquisto dello stadio Atleti Azzurri d’Italia di Bergamo da parte dell’Atalanta. Il piano per il restyling, acquisito formalmente il 17 ottobre 2017 dalla società nerazzurra con un esborso di circa 8 milioni, prevede lavori per una spesa complessiva di 35 milioni di euro (i lavori di ristrutturazione dovrebbero terminare per l’avvio della stagione 2020/21).
«Il quadro – osserva Abodi - è comunque poco edificante. L’ultimo rapporto della Uefa ha certificato come la Serie A disponga di soli tre stadi di proprietà dei club - al netto di quelli che hanno o si apprestano a ottenere il diritto di superficie - una percentuale misera se paragonata a quella della Premier (15 su 20 club), della Bundesliga (9 su 18), della Liga (16 su 20), ma anche della Scozia (9 su 12) e dell’Irlanda del Nord (7 su 12). La proprietà dell’impianto, in realtà, è un problema relativo. Ci possono essere differenti modalità di utilizzo da parte dei club: il discrimine sta nella gestione ottimizzata dello stadio, in termini economici e di fidelizzazione del pubblico, che è possibile solo attraverso un profondo rinnovamento infrastrutturale. Tuttavia, da Nord a Sud una ventina di piazze che hanno messo nella propria agenda delle priorità il tema delle infrastrutture: parlo di Vicenza, Verona, Cremona, Brescia, Bergamo, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Empoli, Pisa, Cagliari, Ascoli, Terni, Perugia, Roma, Pescara, Lecce, Cosenza e Reggio Calabria. Alcuni sono progetti avanzati, altri stanno muovendo i primi passi. Alcuni prevedono abbattimenti e ricostruzioni, altri profonde rigenerazioni. Nel complesso, valgono potenzialmente due miliardi di euro. Ma è arrivatosi il momento di affrontare il tema in chiave industriale, strutturata e quotidiana, uscendo dalla dimensione convegnistica e di mero accertamento della nostra inadeguatezza».
Sempre in tema di infrastrutture calcistiche, il Credito Sportivo ha sostenuto diversi acquisti e/o ristrutturazioni di centri tecnici, fra questi: Bogliasco (Sampdoria), Casteldebole (Bologna), Zingonia (Atalanta), Continassa J Medical (Juventus) e Bottagisio(Chievo Verona).
La «collaborazione fa la forza»
L’Istituto per il Credito Sportivo ha avviato una nuova stagione di cooperazione con altri enti ed istituzioni pubbliche per aumentare il volume di finanziamenti a supporto del sistema sportivo. «La nostra idea – chiarisce al riguardo il presidente dell’Ics – è che sia necessario un tavolo di coordinamento di tutti gli incentivi disponibili. Sulla carta si può ricorrere a vario titolo e con differenti modalità a fondi di provenienza dell’Unione europea, a stanziamenti statali o di strutture regionali o comunali. Tutti questi strumenti vanno integrati per massimizzare l’impatto, sia che si tratti di impianti pubblici, che privati. Da soli si è sempre meno efficienti che giocando in squadra, con un obiettivo condiviso. L’Istituto, in quanto soggetto pubblico specializzato, può e deve fare da catalizzatore per mappare e mettere a sistema tutte queste misure incentivate». Ad agosto 2019 così è stata siglata una partnership con la Cassa depositi e prestiti dedicata alla costruzione, all’ampliamento e al miglioramento degli impianti sportivi e al sostegno delle attività sociali e culturali nell’ambito di più ampi progetti di rigenerazione urbana e valorizzazione di beni del patrimonio pubblico. L’accordo potrebbe risultare utile anche per iniziative di grande impatto: dalle Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026, fino ai Giochi del Mediterraneo del 2026 recentemente aggiudicati a Taranto. Un aiuto importante per l’economia della città pugliese alle prese con la crisi dell’acciaio potrebbe venire infatti dagli interventi per ospitare l’evento, come un nuovo stadio del nuoto, per i quali serviranno circa 250 milioni. Ma forme ancora più innovative di cooperazione possono essere instaurate con le Regioni, le Finanziarie regionali e le Fondazioni di origine bancaria.
«Vogliamo costituire degli hub, con base regionale – continua Abodi - che consentano di pianificare e programmare gli interventi, evitando sovrapposizioni, garantendo uno sviluppo sostenibile e sfruttando tutte le potenzialità finanziarie che si possono attivare combinando pubblico e privato. L’obiettivo prioritario è concentrarsi sul miglioramento di ciò che è esistente e solo dopo pensare alle nuove infrastrutture. Essenziale è far dialogare tra loro tutte le possibili misure finanziare incentivate anche a livello territoriale, favorendo il coordinamento tra le varie realtà coinvolte, lavorando in un'ottica di pianificazione e programmazione degli interventi che limiti la costruzione di nuovi impianti e il consumo di territorio. Si favorisce così la riqualificazione, prioritariamente in termini di messa in sicurezza, abbattimento delle barriere architettoniche ed efficientamento energetico, temi rilevanti e cruciali per una banca sociale per lo sviluppo come il Credito Sportivo. A questo proposito è significativo rilevare che i finanziamenti su infrastrutture esistenti rappresentano l’85% degli affidamenti annui agli enti locali».
La “sostenibilità” ad ampio spettro delle strutture sportive è il cuore della filosofia che ispira l’Ics. «Il tema dell’efficientamento energetico è una questione ambientale – spiega Abodi - da agenda verde alla quale il sistema sportivo deve dare assolutamente il suo contributo. Ma non solo, considerando che mediamente il 30% dei costi di gestione degli impianti sono legati al consumo energetico e sono davvero pochi quelli che hanno subito un intervento di razionalizzazione e ammodernamento sotto questo profilo. Quindi, rendere più efficiente il rapporto produzione-consumi di energia di arene, piscine, stadi e palazzetti consente non solo di rendere il comparto più indipendente dalle fonti fossili lanciando un adeguato ed efficace messaggio educativo, ma anche di migliorare il bilancio degli impianti». Il progetto pilota della collaborazione sui territori è stato realizzato in Toscana. «Siamo partiti da una Regione nella quale la nostra attività di finanziamento è un po' sotto la media nazionale - spiega Abodi -. Ma è una realtà virtuosa nella quale vogliamo sperimentare una stretta relazione, che non c’è mai stata, tra Istituto, Regione, Finanziaria Regionale e il mondo delle fondazioni, per poi coinvolgere l’altro pilastro: quello della finanza privata. Fattori principali sono le garanzie, la contribuzione in conto capitale delle Regioni e delle Fondazioni e la contribuzione in conto interessi da parte della nostra banca. Il meccanismo prevede che sia strutturato un sistema di garanzie, al quale associare una quota di fondo perduto, da parte delle Regioni per gli enti locali e delle finanziarie regionali per i privati. Poi ci sono le Fondazioni - nel caso toscano abbiamo iniziato con quella della Cassa di Risparmio di Lucca - con i loro bandi. Tutto questo si combina con le incentivazioni dei tassi di interesse che può fare la nostra banca attraverso la gestione separata del Fondo Contributo Interessi, che lo Stato ha affidato al Credito Sportivo: per gli enti locali il tasso può tendere a zero, per i privati può essere agevolato».
La prossima tappa la Puglia. «Siamo andati avanti in maniera significativa – prosegue Abodi - con la Regione e Puglia Sviluppo. Si sono attivati in modo molto proficuo per raccogliere risorse comunitarie, soprattutto per la parte di competenza di Puglia Sviluppo, che consentono di investire a fondo perduto percentuali rilevanti, fino al 45 per cento. Questa componente di equity pubblica e il contributo dato dalla banca in termini di garanzie e di costo del denaro, migliorano sensibilmente la finanziabilità delle iniziative, contenendo in modo sano il coinvolgimento del privato, purché ovviamente sia ritenuto affidabile e meritevole dell’agevolazione. Da questo punto di vista è una Regione che può disporre di un potenziale finanziario che altre Regioni, anche al Nord, ancora non hanno».
La fiducia del mercato
La maggiore dote che oggi può spendere il Credito Sportivo è la credibilità. Un concetto che si traduce in fiducia e nell’accesso a fonti di finanziamento primario a condizioni piuttosto convenienti. Attestati di stima sono arrivati in questi mesi anche a livello internazionale da parte della Development Bank of Japan, che ha studiato e apprezzato il Credito Sportivo considerandolo un “modello esemplare di funzionamento” e da parte della Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa (Ceb). Con quest’ultima struttura che ha sede a Parigi ed è partecipata da 41 paesi del Vecchio Continente è stato sottoscritto a novembre 2018 un primo finanziamento a lungo termine e tassi iper-agevolati di 150 milioni, per sostenere iniziative degli enti locali sul fronte dell’impiantistica sportiva, anche in ambito scolastico. «Per il Credito sportivo si tratta di una grande opportunità – rimarca il presidente dell’Ics – perché stiamo dimostrando che una banca pubblica sa utilizzare, in modo utile ed efficace per il Paese, tutte le risorse finanziarie alle quali ha accesso. Entro la fine dell’anno otterremo nuove linee di finanziamento agevolato, allargando e diversificando il nostro portafoglio che fino allo scorso anno era concentrato su linee di credito concesse principalmente da Cassa Depositi e Prestiti e Banca Centrale Europea». A breve il Credito sportivo aggiungerà un ulteriore canale istituzionale rappresentato dalla Bei (Banca Europei per gli Investimenti). Anche in questo caso si tratterà di una linea di credito di lungo termine finalizzata a promuovere interventi ad alto tasso di socialità. È anche da questo tipo di fiducia che l’Istituto per il Credito Sportivo e lo Sport italiano possono trarre beneficio per tutelare e rafforzare la propria autonomia.
«E nel 2020 lanceremo un prodotto finanziario dedicato, un social bond che sia proprio ad alto tasso di rendimento sociale. Questo in linea con il nostro piano industriale – conclude Abodi – che punta ad aumentare il portafoglio di prodotti e di servizi per essere sempre più indipendenti, propositivi e al servizio del cliente, pubblico o provato che sia, mettendo insieme e valorizzando lo sport e il benessere, in una chiave moderna, in sintonia con i beni e le attività culturali, capaci di riverberarsi sul territorio e metterne in risalto le qualità e i motivi di attrazione».