«Il Talmud Babilonese dedica numerose pagine di approfondimento alle dissertazioni sul concetto di custodia e alle sue diverse applicazioni». Sul momento sembrava un ottimo incipit, ma -come spesso accade- dopo pochi miseri istanti esso mi è apparso del tutto inadeguato… Il suono della parola “dissertazioni” evoca immagini pacate, il classico simposio accademico per intenderci. Cattedratici molto istituzionali, che si confrontano con estremo garbo ed espongono la propria visione all’interno di aule finemente affrescate. Sembra persino di udire il leggero rimbombo delle voci un poco nasali sui muri pluricentenari dei loro atenei.

Ecco, nulla potrebbe essere più distante dalle discussioni talmudiche. Il Talmud è vita e la vita è terra, acqua, vento, sole. Fango, humus, tempesta, uragano. Immaginate un cadavere in formaldeide, avvolto nel proprio sudario. Pulito, diafano nella perfezione del rigor mortis. Morto per l’appunto. E ora immaginate un parto. Le urla. Il sangue, la placenta. I primi vagiti del neonato. L’ombelico. Questa è vita. Questo è il Talmud, i cui maestri non discutevano. Essi lottavano, aggredivano, percuotevano la parola e il pensiero. Senza pausa, giorno e notte, spremevano linfa vitale dal sempre attuale testo della Torah di Moshè. E credo -come è tradizione pensare- che siano proprio le loro parole a formare i pilastri su cui si sorregge il nostro universo. Sono apparentemente invisibili, ma possiamo udirle. È la Torah orale. A Sinai si vedevano le voci…

Ma perché prendere in prestito il concetto di custodia e scomodare il Talmud per scrivere di pagamenti? Di pagamenti elettronici?

Una risposta per tutte: intermediazione e complessità. Se infatti il denaro contante è un primo tentativo di virtualizzazione, informazione e cristallizzazione del valore, la sua digitalizzazione diviene per certi aspetti un’operazione derivata, e quindi dotata intrinsecamente di una certa volatilità, di un legame -soggetto a determinate regole- con il sottostante. Da ultimo, di un universo di riferimento per la sua gestione. Tradotto: la buona vecchia carta di credito non è proprio solo plastica.

Breve ripasso.

In principio fu il ferro da stiro. Ricordate quei vecchi oggetti metallici con i foglietti in copia carbone in cui veniva inserita e impressa la carta? Da qui le scritte in rilievo, servivano a lasciare traccia sulla copia carbone...

Poi le prime verifiche telefoniche e infine il POS. Ma la principale caratteristica di tutti questi metodi di validazione della transazione non cambia: unidirezionalità. La carta è “muta” non parla con il card holder, è lo strumento di processing a parlare con l’autorizzativo. Non è possibile alcuna comunicazione con il consumatore. La rivoluzione digitale, con l’introduzione dello smartphone apre alla possibilità di relazione permanente e puntuale con il card holder. Un’occasione senza precedenti!

Il modello più comune nel mondo degli e-payment è quello a quattro parti. Abbiamo una carta di pagamento, nelle mani di un attore che chiameremo card holder (in altri universi a lui ci si riferisce come consumatore), dietro al quale agisce un soggetto emettitore della carta stessa, che chiameremo issuer. Quando ci presentiamo in negozio e intendiamo pagare con carta stiamo interagendo con un merchant, il negoziante appunto, che per accettare il nostro pagamento beneficia (a pagamento a sua volta s’intende) dei servizi di un acquirer. Acquirer, ovvero colui che acquisisce la richiesta di pagamento con carta e la evade. Quello che “mette” il POS, sì sì, la buona vecchia “scatoletta” dove si “striscia” la carta…

Quattro soggetti: issuer/card holder, acquirer/merchant.

E anche qui, come in ogni romanzo di spionaggio che si rispetti, non può mancare una rete onnipresente: gli schemi internazionali. Non la Spectre, bensì i circuiti del credito, così chiamati in gergo: MasterCard, Visa, Amex, e tutti quelli che vi possono venire in mente. Sono questi ultimi ad aver creato l’insieme di regole che, nel dialogo con le differenti normative nazionali, ordinano i digital payment effettuati con le loro carte.

Prima venne la responsabilità. Liability. Se infatti la carta di pagamento sottende alla concessione di credito e/o al passaggio di denaro, le responsabilità che i diversi attori della filiera si assumono, oppure deflettono, sono fissate nell’insieme di regole che definiscono appunto la “liability shift”. Questo è il preciso momento in cui ogni interlocutore sano di mente e di conseguenza alieno rispetto al mondo degli e-payment dovrebbe interrompere bruscamente la mia esposizione. E chiedermi per quale motivo si renda necessaria la sua eduzione nel merito.

In effetti finché tutto “fila liscio” conoscere i modelli che governano i circuiti del credito è superfluo. Ma come ci insegna Murphy, se qualcosa potrà accadere, accadrà. Nel nostro mondo è precisamente in quel momento che dominare l’arte della gestione del rischio diviene indispensabile. Quando infatti viene perpetrata una frode ai danni di una carta di credito, tutti gli attori della filiera coinvolti debbono dimostrare di essersi adeguati ai principi della “liability”. Stiamo parlando di sicurezza elettronica, logica, di normative, certificazioni e molto altro ancora. Quando issuer, acquirer, merchant e card holder si attengono alle regole impostate dagli schemi internazionali, sono questi ultimi a rispondere delle frodi e a rimborsare il dovuto.

Perché tutto questo è importante?

Perché siamo testimoni nell’ultima decade di fortissime spinte verso la disintermediazione. Accade nel mondo dei pagamenti elettronici così come in altri mercati. Ma, diversamente dai casi in cui la regolamentazione costituisce prevalentemente un ostacolo alla libera concorrenza, nel nostro universo essa è frutto della volontà di operatori di rilievo ed ha anche l’obiettivo di tutelare i principali stakeholder del sistema. Insomma, non si tratta di normative esclusivamente esogene, bensì di forme parziali di equilibrio di mercato assistito.

Mercato che viene spesso scambiato per quello meramente bancario e non a caso. I principali issuer ed acquirer sono stati per molti anni grandi banche di rilievo. Forti del “trust” acquisito dai propri clienti e avvalendosi delle licenze e del brand dei circuiti, esse hanno fatto propri questi ruoli perché ritenuti adiacenti al loro business tradizionale. Ma ora non più. Poiché l’attrazione verso la frontiera dell’efficienza che gonfia da sempre le vele del grande vascello Disintermediazione, negli ultimi anni ha portato allo smascheramento di politiche di pricing in alcuni casi piuttosto promiscue. Fee per transazione annegate in altre aree di costo, offerte composite con forte leva sul credito ed effetti poco piacevoli sul risk rating…

Insomma, il classico scenario da start up. Vecchi mastodonti abituati al quasi monopolio, senza spinta innovativa e una certa propensione al maltrattamento dei propri clienti. I merchant per intenderci, coloro che tutto desiderano, meno che pagare per incassare.

L’oggetto del contendere, l’incasso elettronico, nel contesto che abbiamo appena dipinto era ed in parte è ancora percepito come un centro di costo da minimizzare. Da una parte quindi grandissimi player che normano e garantiscono il rischio implicito della filiera di processing dell’incasso e del pagamento elettronici. Dall’altra grandi retailer e una moltitudine di merchant che vivono i costi relativi all’incasso in forma elettronica come ingiustificati. In mezzo, una filiera che si occupa del trasporto delle informazioni inerenti i pagamenti (chi paga, quanto, a chi, per cosa, quando, con quale strumento), della loro validazione (la carta è genuina? Sta pagando il proprietario? C’è sufficiente plafond? Il merchant è reale?) della loro compensazione (accredito, addebito), della tecnologia che garantisce sicurezza, privacy, stabilità, velocità, multicanalità (POS, Wallet, autorizzativi, reti di accettazione…), dell’analisi e della conservazione dei dati.

Tutta questa filiera ed i suoi relativi costi, così mal vissuti dai merchant, hanno la funzione di garantire la sicurezza di un bene prezioso, il denaro, seppure digitalizzato. D’altra parte, chi affiderebbe i propri averi ad un portavalori in motorino? Preferiamo tutti l’autoblindo, meglio ancora che quest’ultima viaggi su un’autostrada chiusa all’uopo. Per riprendere le fila del discorso passiamo in veloce rassegna quanto trattato sinora: custodia, normativa, responsabilità, rischio, filiera lunga, frammentaria, apparentemente povera e orientata al costo.

In questo contesto si affacciano sul mercato da una decina d’anni numerose start up fintech con il preciso scopo di efficientare, creare spazio e valore.  Possiamo per comodità classificare queste nuove realtà a seconda del modello di business e della mission. Troviamo in prima battuta società che intendono disintermediare ed accorciare la filiera, il cui modello di business si addensa attorno alla riduzione dei costi. Niente più schemi internazionali, ma solo passaggi di denaro digitalizzato da conto a conto. Ovviamente al loro posto si propone la novella start up, che con i propri sistemi collegherà i conti in banca di merchant e consumatore ed effettuerà le operazioni di addebito accredito. Da qui le varianti possibili sono molte. Borsellini ricaricabili, operazioni conto su conto, conti di pagamento aperti dalla start up stessa e così via. Gli elementi caratteristici: costi per transazione molto bassi o azzerati, modello di ricavi basato sul trasferimento dei costi su altre realtà (le banche sottostanti ad esempio) e tipicamente una piccola voragine per quanto riguarda gestione di rischio e responsabilità. A fare da contraltare si propongono tutte le realtà che prendono parte alla filiera classica e la migliorano, tecnologicamente (nuovi gateway di pagamento, wallet provider…) e funzionalmente (concentratori di informazioni, aggregatori di servizi, ibridatori di servizi e così via). Sono queste società che adottano solitamente modelli di business incentrati sulla creazione di valore e l’efficientamento tecnologico.

Come sempre accade per ogni binomio, esiste poi un terzo tipo di realtà che si caratterizza principalmente per la tempestiva interpretazione dei nuovi trend che influenzano il mercato, ma soprattutto per l’inversione netta del paradigma per cui l’incasso elettronico costituisce un costo. Esse infatti interpretano il momento del pagamento come climax dei processi di acquisto e vendita e in quanto tale ricca occasione di contatto con il vero generatore di valore per tutta la filiera: il consumatore. Se è vero che gli OTP (Google, Facebook, Apple, Samsung…) ottengono, aggregano e possiedono tonnellate di informazioni preziose in merito al comportamento degli utenti, essi sono però carenti quando andiamo a trattare dell’effettivo anello di chiusura della filiera. Mi riferisco alla sanzione del processo di acquisto e vendita, il pagamento. Apple ha ben compreso e Google anche a sua volta l’importanza di questo presidio. Da qui il lancio di Apple e Android Pay. Lo stesso vale per Samsung pay. Tutti tentativi di guadagnare un posto al sole sulla nuova grande baia dei digital payment. Ma la debolezza di questi player presso la realtà merchant impedisce per ora un’efficace “chiusura del cerchio” e consente un posizionamento strategico appunto alle start up che di questo si occupano.

Nascono così nuove società e start-up* che propongono da un lato al card holder la completa digitalizzazione degli strumenti di pagamento, la loro messa a disposizione su tutti i canali indistintamente ed il loro utilizzo combinato con strumenti di fidelizzazione ed engagement, e dall’altro al merchant la possibilità di effettuare attività di CRM intelligenti, guidate da dati di pagamento opportunamente gestiti e di incassare qualunque forma di pagamento digitale con semplicità. Il paradigma in questi casi si basa sulla trasformazione del momento di incasso elettronico in un’occasione per generare ricavi, tramite l’ingaggio del cliente, la sua fidelizzazione, e l’imbastimento di un rapporto continuativo fra merchant e cliente guidato da dati preziosi e soprattutto traducibili in azioni immediate e automatiche.

Il trend che queste società interpretano porta alla totale virtualizzazione degli strumenti di pagamento e fidelizzazione e alla loro sempre maggiore convergenza. In parole povere anziché dovermi gestire decine di carte fedeltà, diverse carte di pagamento, e utilizzare il tutto in modo diverso a seconda del canale su cui sto pagando, posso richiamare con semplicità ovunque mi trovi, su qualunque canale, tutte le mie carte, di pagamento e non, farmi riconoscere e godere di tutti i benefici che mi spettano. E allora niente più code alla cassa, pago attraverso applicazioni al tavolo se sono al ristorante, oppure uscendo dal supermercato se sto facendo la spesa.

Gli schemi internazionali e le maggiori realtà bancarie stanno abbracciando questo trend così da consentire alle start up che lo cavalcano di rivoluzionare il concetto apparentemente inflazionato di wallet, dandone implicitamente una nuova definizione. Il tutto, senza mai scordarsi del merchant cui si rende disponibile assieme al POS un’applicazione “payment data driven” (ossia che nasce integrata ai sistemi d’incasso) per gestire i rapporti con la propria clientela. Si tratta di un circolo virtuoso: per il consumatore maggiore sicurezza e comodità, per il merchant sempre più passaggio di clienti, visite in negozio, acquisti più ricorrenti e scontrino medio più alto. Come ricordavamo prima, generazione di valore e ricavi e non centro di costo.

Per concludere, una riflessione sue due macro trend che si stanno inesorabilmente imponendo. Abbiamo aperto con una riflessione più o meno esplicita in merito al concetto di custodia e quindi di responsabilità. Ora, poiché la tutela del consumatore e del privato è una delle prerogative degli organismi statali e onde favorire l’ingresso nel mercato di nuovi player, si è resa necessaria un’evoluzione della normativa. Evoluzione che ha portato prima alla definizione di IMEL e PI. Nuove figure non bancarie, ma regolamentate, che possono agire nel mercato dei digital payment occupandosi delle diverse fasi che caratterizzano un pagamento elettronico, ma escludendo dal proprio scopo d’azione la collezione, gli impieghi e la conservazione di denaro. Solo passaggio quindi. E poi in continuità con il trend evolutivo, la definizione e l’entrata in vigore di una nuova normativa, la PSD2, che -pur preservando gli aspetti di sicurezza e trasparenza- consente fra le altre cose la creazione di nuovi player non bancari, ma regolamentati, con diritto d’accesso e in parte movimentazione dei conti bancari.

Tutti questi passaggi richiedono l’adeguamento delle attuali realtà di mercato, la garanzia di un equilibrio competitivo e consentono l’ingresso dei nuovi player di cui abbiamo fatto precedentemente menzione. Il mercato si arricchisce quindi con la creazione di nuovi servizi sulla costosa infrastruttura tradizionalmente dedicata alla sola gestione dei pagamenti elettronici.

Il secondo trend ha un nome: Blockchain. Un binomio piuttosto inflazionato di recente. Criptovalute e Blockchain. Esso merita ovviamente approfondimenti a parte ed esula dal perimetro del nostro breve spaccato. Ma non resisto alla tentazione di chiudere con il fascino uroborico che esercita un sistema di scambi auto-bilanciato, che non richiede garanti o terze parti ingombranti…